sabato, maggio 28, 2005
Cavaliere ti prego cerca di dire meno bischerate!
A margine della visita lampo di Blair a Roma, di passaggio per raggiungere l’amata Toscana per una breve vacanza, il nostro Premier – in occasione della tradizionale conferenza stampa congiunta – ha sparato una serie di “repliche-cavolate”, di quelle che ci fanno sempre più convincere di essere uno strano Paese.
Anzitutto ha replicato al britannico “Economist” che aveva definito l’Italia come “il grande malato d’Europa”, che il nostro Paese, oltre che il più bello (e fin qui siamo d’accordo) è anche il più ricco d’ Europa poiché abbiamo il più alto numero di automobili e di telefonini rispetto alla popolazione. E siamo anche un paese pieno di playboy, dato che i nostri ragazzi mandano almeno dieci messaggini al giorno dal loro cellulare verso quello delle loro tante ragazze.
Come si fa a rispondere a questa superficialità che viene mostrata per affrontare un argomento molto serio! Evidentemente il Cavaliere pensa che i diminuiti consumi delle famiglie (anche nel settore alimentare) dipendono da un virus che ha infestato tutta la popolazione e l’ha resa improvvisamente avara.
In quell’occasione ha replicato anche a Montezemolo affermando che le cose da fare elencate dal Presidente di Confindustria sono da lui ben conosciute ed ha aggiunto di essere anche d’accordo, ma la loro realizzazione è resa difficile dal fatto che siamo in presenza di un governo di coalizione e abbiamo una “certa opposizione” e, soprattutto, scarseggiano le disponibilità economiche per porvi mano.
Un’altra sequela di sciocchezze: che il governo fosse di coalizione gli doveva essere stranoto e del resto questa forma dell’esecutivo non gli ha impedito di realizzare le “sue” leggi; che si fosse in difficoltà economiche smentisce quanto affermato poco prima circa la ostentata ricchezza degli italiani.
Ripeto quanto detto altre volte: poveri noi! Da una parte abbiamo un capo del governo che sembra non rendersi conto in quale paese vive e che continua a governare a forza di battute ironiche (tipo quella sui playboy); dall’altra, il suo antagonista è stato bruscamente disarcionato di sella da una specie di congiura di palazzo: peraltro anche a lui debbo rinfacciare una cosa: presentarsi agli italiani senza appartenere ad alcun partito politico, il volere, cioè, fare il “superiore a tutti”, colui che non si vuole sporcare le mani con i partiti e che invece – essendo una sorta di Unto del Signore – si traghetta direttamente alla guida del governo.
Eppure, essendo sempre stato nel sottobosco della politica ed essendosi arricchito in questo “lavoro”, avrebbe dovuto conoscere un po’ meglio la situazione e sapere che non è facile assolutamente scardinare un sistema che porta prebende, auto blù e soldi ad amici e clienti.
Comunque, tornando ai nostri guai, il paese continua a rotolare verso il baratro pur con i suoi telefonini e le sue automobili, ma non c’è un cane che venga a dirci quale dovrebbe essere la medicina da ingurgitare per guarire da questa malattia; continuano a parlarsi tra loro, con affermazioni in codice che comprendono solo loro e noi restiamo alla finestra senza sapere quello che sarebbe bene fare.
Chiudiamo con una battuta, cioè con la descrizione della vignetta che Angese pubblica su vari quotidiani: Berlusconi legge un foglio e dice: “dai dati in mio possesso risulta che siamo un paese straricco, possediamo telefonini, case, automobili di lusso, ville al mare e in montagna…” viene interrotto da un suo collaboratore che dice: “capo, hai sbagliato foglio, quella è la tua denuncia dei redditi”!
La battuta è molto graziosa, ma a me non ha fatto ridere, chissà perché.
Anzitutto ha replicato al britannico “Economist” che aveva definito l’Italia come “il grande malato d’Europa”, che il nostro Paese, oltre che il più bello (e fin qui siamo d’accordo) è anche il più ricco d’ Europa poiché abbiamo il più alto numero di automobili e di telefonini rispetto alla popolazione. E siamo anche un paese pieno di playboy, dato che i nostri ragazzi mandano almeno dieci messaggini al giorno dal loro cellulare verso quello delle loro tante ragazze.
Come si fa a rispondere a questa superficialità che viene mostrata per affrontare un argomento molto serio! Evidentemente il Cavaliere pensa che i diminuiti consumi delle famiglie (anche nel settore alimentare) dipendono da un virus che ha infestato tutta la popolazione e l’ha resa improvvisamente avara.
In quell’occasione ha replicato anche a Montezemolo affermando che le cose da fare elencate dal Presidente di Confindustria sono da lui ben conosciute ed ha aggiunto di essere anche d’accordo, ma la loro realizzazione è resa difficile dal fatto che siamo in presenza di un governo di coalizione e abbiamo una “certa opposizione” e, soprattutto, scarseggiano le disponibilità economiche per porvi mano.
Un’altra sequela di sciocchezze: che il governo fosse di coalizione gli doveva essere stranoto e del resto questa forma dell’esecutivo non gli ha impedito di realizzare le “sue” leggi; che si fosse in difficoltà economiche smentisce quanto affermato poco prima circa la ostentata ricchezza degli italiani.
Ripeto quanto detto altre volte: poveri noi! Da una parte abbiamo un capo del governo che sembra non rendersi conto in quale paese vive e che continua a governare a forza di battute ironiche (tipo quella sui playboy); dall’altra, il suo antagonista è stato bruscamente disarcionato di sella da una specie di congiura di palazzo: peraltro anche a lui debbo rinfacciare una cosa: presentarsi agli italiani senza appartenere ad alcun partito politico, il volere, cioè, fare il “superiore a tutti”, colui che non si vuole sporcare le mani con i partiti e che invece – essendo una sorta di Unto del Signore – si traghetta direttamente alla guida del governo.
Eppure, essendo sempre stato nel sottobosco della politica ed essendosi arricchito in questo “lavoro”, avrebbe dovuto conoscere un po’ meglio la situazione e sapere che non è facile assolutamente scardinare un sistema che porta prebende, auto blù e soldi ad amici e clienti.
Comunque, tornando ai nostri guai, il paese continua a rotolare verso il baratro pur con i suoi telefonini e le sue automobili, ma non c’è un cane che venga a dirci quale dovrebbe essere la medicina da ingurgitare per guarire da questa malattia; continuano a parlarsi tra loro, con affermazioni in codice che comprendono solo loro e noi restiamo alla finestra senza sapere quello che sarebbe bene fare.
Chiudiamo con una battuta, cioè con la descrizione della vignetta che Angese pubblica su vari quotidiani: Berlusconi legge un foglio e dice: “dai dati in mio possesso risulta che siamo un paese straricco, possediamo telefonini, case, automobili di lusso, ville al mare e in montagna…” viene interrotto da un suo collaboratore che dice: “capo, hai sbagliato foglio, quella è la tua denuncia dei redditi”!
La battuta è molto graziosa, ma a me non ha fatto ridere, chissà perché.
venerdì, maggio 27, 2005
Chi sa parli!
Non è una richiesta di tipo poliziesco, basata su un delitto che non si riesce a risolvere e conseguentemente le Autorità si rivolgono a eventuali testimoni per spronarli a rivelare quello che sanno.
La frase invece si riferisce alla giornata di ieri dove due “autorità” del nostro Paese hanno avuto l’ardire di fare delle affermazioni che mi hanno lasciato perplesso; ha cominciato il bel Luca Cordero di Montezemolo che all’annuale assemblea di Confindustria ha lanciato un patto tra i cittadini, “un patto cioè fra tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell’Italia e orientarlo alla crescita e allo sviluppo”; oltre a questo ha avuto parole pesanti per tutti, Governo e Sindacati, assolvendo solo la sua augusta persona e l’Associazione che rappresenta.
Ma torniamo al patto: il Devoto – Oli mi suggerisce che dicesi patto un “impegno reciproco sancito da una convenzione o da un accordo tra due o più persone o parti”; abbiamo bisogno quindi di un oggetto che possa rappresentare questo impegno reciproco tra le due parti; mi spiego meglio, cosa mette una parte e cosa mette l’altra? Cioè, cosa mette la Confindustria e cosa chiede di mettere ai cittadini?
Come al solito – siamo in Italia, non scordiamocelo – si lancia il sasso e ci si nasconde dietro un paravento; sarebbe bastato che il bel Luca avesse detto: la Confindustria s’impegna a fare questo o quello, a patto che i cittadini – supportati dal Governo e dalle forze politiche e sociali – facciano questo o quello: troppo semplice, vero??
Passiamo adesso alla seconda frase uscita dalla bocca di un’altra Autorità: qui siamo in presenza addirittura del Presidente della Repubblica che non ha mancato di far sentire anche la sua voce a proposito della crisi in cui versa l’economia italiana; ed il bravo Carlo Azeglio ha chiesto ai politici di “fare in fretta e fare bene” ed ha continuato affermando che “ciò che va fatto è chiaro, ma nessuno si muove”.
Illustre Presidente, forse sarà chiaro per Lei, ma per noi comuni mortali non è chiaro affatto; allora, mettendomi alla testa dei comuni mortali, Le chiedo di spiegare con parole semplici – se le sue prerogative costituzionali glielo consentono – questa cosa chiara a tutti e se invece lei “non può parlare” per vincoli istituzionali, allora avrebbe fatto meglio a tacere anche prima, poiché quella frase lanciata in aria e non fatta cadere a terra, mi ricorda tanto i messaggi trasversali in politichese scambiati in maniera che solo l’effettivo destinatario ne venisse a conoscenza: devo dire la verità, da Lei, così schietto e pulito dentro, non me lo sarei aspettato questo tipo di atteggiamento.
Quindi ripeto, per noi che capiamo poco, i due illustri personaggi che ho sopra citato, dovrebbero dire le cose con la massima chiarezza e trasparenza, chiamando i responsabili della crisi con nome e cognome e invitando chi di dovere – facendo ancora nome e cognome – a comportarsi nel modo che lor signori suggeriscono: sia poi la gente a decidere se i consigli sono buoni o cattivi. Ma forse non vogliono “disturbare” la gente comune, sapendola impegnata a cercare di mettere insieme il pranzo con la cena!
Anche perché – e qui termino – i personaggi di cui sopra ho citato nome e cognome, non è che siano approdati il mese scorso da una navicella proveniente da Marte, ma hanno preso parte (e che parte!) a tutta la storia economica italiana degli ultimi venti anni (almeno) e quindi avranno anch’essi le loro responsabilità, tenuto conto – come ha dichiarato il Presidente dell’ISTAT – che la crisi italiana ha avuto inizio dieci anni fa e non il mese scorso.
La frase invece si riferisce alla giornata di ieri dove due “autorità” del nostro Paese hanno avuto l’ardire di fare delle affermazioni che mi hanno lasciato perplesso; ha cominciato il bel Luca Cordero di Montezemolo che all’annuale assemblea di Confindustria ha lanciato un patto tra i cittadini, “un patto cioè fra tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell’Italia e orientarlo alla crescita e allo sviluppo”; oltre a questo ha avuto parole pesanti per tutti, Governo e Sindacati, assolvendo solo la sua augusta persona e l’Associazione che rappresenta.
Ma torniamo al patto: il Devoto – Oli mi suggerisce che dicesi patto un “impegno reciproco sancito da una convenzione o da un accordo tra due o più persone o parti”; abbiamo bisogno quindi di un oggetto che possa rappresentare questo impegno reciproco tra le due parti; mi spiego meglio, cosa mette una parte e cosa mette l’altra? Cioè, cosa mette la Confindustria e cosa chiede di mettere ai cittadini?
Come al solito – siamo in Italia, non scordiamocelo – si lancia il sasso e ci si nasconde dietro un paravento; sarebbe bastato che il bel Luca avesse detto: la Confindustria s’impegna a fare questo o quello, a patto che i cittadini – supportati dal Governo e dalle forze politiche e sociali – facciano questo o quello: troppo semplice, vero??
Passiamo adesso alla seconda frase uscita dalla bocca di un’altra Autorità: qui siamo in presenza addirittura del Presidente della Repubblica che non ha mancato di far sentire anche la sua voce a proposito della crisi in cui versa l’economia italiana; ed il bravo Carlo Azeglio ha chiesto ai politici di “fare in fretta e fare bene” ed ha continuato affermando che “ciò che va fatto è chiaro, ma nessuno si muove”.
Illustre Presidente, forse sarà chiaro per Lei, ma per noi comuni mortali non è chiaro affatto; allora, mettendomi alla testa dei comuni mortali, Le chiedo di spiegare con parole semplici – se le sue prerogative costituzionali glielo consentono – questa cosa chiara a tutti e se invece lei “non può parlare” per vincoli istituzionali, allora avrebbe fatto meglio a tacere anche prima, poiché quella frase lanciata in aria e non fatta cadere a terra, mi ricorda tanto i messaggi trasversali in politichese scambiati in maniera che solo l’effettivo destinatario ne venisse a conoscenza: devo dire la verità, da Lei, così schietto e pulito dentro, non me lo sarei aspettato questo tipo di atteggiamento.
Quindi ripeto, per noi che capiamo poco, i due illustri personaggi che ho sopra citato, dovrebbero dire le cose con la massima chiarezza e trasparenza, chiamando i responsabili della crisi con nome e cognome e invitando chi di dovere – facendo ancora nome e cognome – a comportarsi nel modo che lor signori suggeriscono: sia poi la gente a decidere se i consigli sono buoni o cattivi. Ma forse non vogliono “disturbare” la gente comune, sapendola impegnata a cercare di mettere insieme il pranzo con la cena!
Anche perché – e qui termino – i personaggi di cui sopra ho citato nome e cognome, non è che siano approdati il mese scorso da una navicella proveniente da Marte, ma hanno preso parte (e che parte!) a tutta la storia economica italiana degli ultimi venti anni (almeno) e quindi avranno anch’essi le loro responsabilità, tenuto conto – come ha dichiarato il Presidente dell’ISTAT – che la crisi italiana ha avuto inizio dieci anni fa e non il mese scorso.
giovedì, maggio 26, 2005
Cominciano i problemi per Papa Ratzinger
Non credo che i dati scaturiti dalla recentissima indagine dell’Eurisko costituiscano una vera e propria sorpresa per il Santo Padre, in quanto già dallo scranno di Cardinale, Prefetto della Congregazione della Fede e braccio destro di Giovanni Paolo II, era a conoscenza di questa situazione; non a caso nella sua omelia durante la messa “pro eligendo romanae pontefice” aveva denunciato il relativismo etico come una delle piaghe infestanti – anche nel campo cattolico – il nostro mondo (vedi, se interessa, il mio post del 19/4).
In questa ricerca – commissionata dall’Unione delle Chiese metodiste e valdesi – un campione delle varie religioni risponde a domande su temi particolarmente scabrosi; di questo campione l’83% si definisce cattolico, ma solo il 25% si dice praticante, cioè con regolare partecipazione alla messa.
Il primo dato che riveste importanza è che poco meno del 40% risponde positivamente ai precetti della Chiesa (62% tra i praticanti), mentre gli altri affermano di seguire la propria coscienza (o il proprio tornaconto?); si passa poi a domande specifiche ed allora viene fuori che il 67% (il 58% tra i praticanti) è favorevole all’estensione dei diritti alle coppie di fatto e la stessa tendenza, con percentuali molto simili, si manifesta riguardo all’omosessualità.
Per quanto riguarda l’eutanasia il discorso è ancora più interessante, infatti il 40% (30% tra i praticanti) si dice favorevole solo su richiesta dell’interessato ed il 32% (il 25% tra i praticanti) anche solo su decisione dei parenti; si ha quindi una sommatoria di favorevoli – i un modo o nell’altro - del 72% (55% tra i praticanti) che non segue il dettame della Chiesa circa la non proprietà della propria esistenza.
Infine, per quanto riguarda il problema della fecondazione assistita (su cui andremo a votare i referenda il 12 e 13 giugno) non è risultato niente di interessante, se non la scarsa conoscenza della materia: solo il 25% del campione si è dichiarato informato e pertanto i dati che successivamente scaturiscono sono scarsamente attendibili in quanto frutto di piccoli o addirittura piccolissimo numeri.
Ovviamente Benedetto XVI non ha certo bisogno delle mie considerazioni, ma io le faccio lo stesso: il solco che si è creato tra il popolo di Dio e il Magistero della Chiesa rischia di diventare sempre più ampio; interessante sarebbe stabilire chi è questo popolo di Dio che non è in linea con il Santo Padre e sono convinto che se facessimo questa ricerca si verrebbe a scoprire che anche molti sacerdoti (e qualche Vescovo) fa parte delle fila dei cosiddetti dissidenti.
È a questi che Papa Ratzinger rivolge il suo pensiero, affettuoso e comprensivo, ma fermo e tenace nel combattere qualunque scivolata dell’ortodossia, rintuzzando così tutte le “mode del pensiero” che in questi anni si sono susseguite, fino all’attuale relativismo etico secondo il quale l’uomo contemporaneo è ancora permeato di Dio ma cerca di sostituirlo nella pratica di tutti i giorni con l’IO in quanto attualizzazione dell’egocentrismo tipico della moderna società del benessere e della comunicazione di massa.
L’unico consiglio che mi sento di dare – molto sommessamente – è quello di cercare tra i mass-media i peggiori nemici della verità, essendo essi i più sottili, ma feroci assertori del secolarismo fondato sul sesso e sul modernismo fine a se stesso, incuranti del vicino che soffre e non ha da mangiare e preoccupati soltanto del proprio benessere materiale.
Lo spirito? E’ quello che si trova dentro un buon liquore consumato accanto ad una bella donna!
In questa ricerca – commissionata dall’Unione delle Chiese metodiste e valdesi – un campione delle varie religioni risponde a domande su temi particolarmente scabrosi; di questo campione l’83% si definisce cattolico, ma solo il 25% si dice praticante, cioè con regolare partecipazione alla messa.
Il primo dato che riveste importanza è che poco meno del 40% risponde positivamente ai precetti della Chiesa (62% tra i praticanti), mentre gli altri affermano di seguire la propria coscienza (o il proprio tornaconto?); si passa poi a domande specifiche ed allora viene fuori che il 67% (il 58% tra i praticanti) è favorevole all’estensione dei diritti alle coppie di fatto e la stessa tendenza, con percentuali molto simili, si manifesta riguardo all’omosessualità.
Per quanto riguarda l’eutanasia il discorso è ancora più interessante, infatti il 40% (30% tra i praticanti) si dice favorevole solo su richiesta dell’interessato ed il 32% (il 25% tra i praticanti) anche solo su decisione dei parenti; si ha quindi una sommatoria di favorevoli – i un modo o nell’altro - del 72% (55% tra i praticanti) che non segue il dettame della Chiesa circa la non proprietà della propria esistenza.
Infine, per quanto riguarda il problema della fecondazione assistita (su cui andremo a votare i referenda il 12 e 13 giugno) non è risultato niente di interessante, se non la scarsa conoscenza della materia: solo il 25% del campione si è dichiarato informato e pertanto i dati che successivamente scaturiscono sono scarsamente attendibili in quanto frutto di piccoli o addirittura piccolissimo numeri.
Ovviamente Benedetto XVI non ha certo bisogno delle mie considerazioni, ma io le faccio lo stesso: il solco che si è creato tra il popolo di Dio e il Magistero della Chiesa rischia di diventare sempre più ampio; interessante sarebbe stabilire chi è questo popolo di Dio che non è in linea con il Santo Padre e sono convinto che se facessimo questa ricerca si verrebbe a scoprire che anche molti sacerdoti (e qualche Vescovo) fa parte delle fila dei cosiddetti dissidenti.
È a questi che Papa Ratzinger rivolge il suo pensiero, affettuoso e comprensivo, ma fermo e tenace nel combattere qualunque scivolata dell’ortodossia, rintuzzando così tutte le “mode del pensiero” che in questi anni si sono susseguite, fino all’attuale relativismo etico secondo il quale l’uomo contemporaneo è ancora permeato di Dio ma cerca di sostituirlo nella pratica di tutti i giorni con l’IO in quanto attualizzazione dell’egocentrismo tipico della moderna società del benessere e della comunicazione di massa.
L’unico consiglio che mi sento di dare – molto sommessamente – è quello di cercare tra i mass-media i peggiori nemici della verità, essendo essi i più sottili, ma feroci assertori del secolarismo fondato sul sesso e sul modernismo fine a se stesso, incuranti del vicino che soffre e non ha da mangiare e preoccupati soltanto del proprio benessere materiale.
Lo spirito? E’ quello che si trova dentro un buon liquore consumato accanto ad una bella donna!
mercoledì, maggio 25, 2005
Reati particolarmente odiosi: che fare?
E’ chiaro che qualunque reato è odioso, come dice il Beccaria “è una ferita inferta all’intera società” ed è la pena – sempre secondo il Beccaria – “a suturare alla meglio questa ferita”.
Esistono però tutta una serie di reati che l’opinione pubblica – forse un po’ messa su dai mezzi di comunicazione – giudica particolarmente odiosi, addirittura ripugnanti e che vorrebbe che fossero puniti dalla legge e dalla Magistratura con pene assai più severe di quelle che si vedono adesso; un po’ come dire “sbattetelo in galera e buttate via la chiave!”, quando non si arriva addirittura ad invocare la pena di morte.
È di ieri la notizia che la Polizia ha compiuto alcuni blitz sui siti internet di pedo-pornografia, scoprendo varie persone implicate (addirittura anche tre sacerdoti) e in uno di questi casi il Presidente di Telefono Arcobaleno – l’Associazione che da quasi dieci anni combatte i siti gestiti da pedofili – ha segnalato che un signore al quale sono stati trovati oltre 80.000 file con filmati pornografici interpretati da bambini e bambine tra i quattro e i sei anni, ha “patteggiato” la pena e se ne è uscito bellamente di scena con il pagamento di soli 3.000 euro e ottenendo addirittura anche la non iscrizione sulla sua fedina penale, cosicché il “bravuomo” è ufficialmente e a tutti gli effetti un bravuomo.
Un altro caso, questo di alcuni giorni or sono, riguarda un reato ancora più grave, ma sempre nel campo della pedofilia: un terzetto di pedofili violentò ed uccise nel 1997 un bambino di nove anni; uno di loro, condannato solo a nove anni per occultamento di cadavere è tornato adesso in libertà. Si possono facilmente immaginare i lamenti della madre del piccolo ucciso e dei parenti tutti che – dopo aver “ringraziato” ironicamente i giudici che hanno messo fuori il delinquente – affermano che se avranno l’opportunità di incontrarlo si pentirà di non essere rimasto in prigione.
Ecco, questi sono due casi presi tra i tantissimi che smuovono le emozioni dell’opinione pubblica; c’è da chiedersi: cosa fare in proposito? Hanno diritto i parenti di insorgere in questo modo davanti ad una messa in libertà che loro ritengono addirittura offensiva per il bambino ammazzato barbaramente?
Torniamo allora un attimo indietro: il giudice emette le sentenze “in nome del popolo italiano” ma a questo popolo non risponde in niente (il referendum che lo responsabilizzava almeno civilmente è stato vanificato da una legge tagliata apposta per tutelare i magistrati); d’altro canto lo stesso giudice “deve” applicare la legge e quest’ultima gli viene fornita dalla classe politica che per sua stessa natura dovrebbe essere più sensibile agli umori della gente.
Ci troviamo quindi di fronte ad un combinato disposto tra “uomo–giudice” e “uomo-legge”, in cui queste due componenti della nostra giustizia dovrebbero accordarsi in modo tale che alcune situazioni che suscitano sdegno nella gente vengano rivisitate alla luce di questo sdegno e – se del caso – in un prossimo futuro gestite in maniera diversa.
Per esempio, dalla procedura del “patteggiamento” – che pure tanto ha snellito il lavoro dell’uomo magistrato – l’uomo legge dovrebbe togliere quei reati che per la loro ferocia e per la loro efferatezza colpiscono l’immaginazione dell’opinione pubblica ed anche quelli compiuti contro i minori.
È chiaramente un suggerimento da uomo della strada, da persona cioè che utilizza principalmente il buon senso e che avverte quello che avviene nella nostra società.
Sarà possibile realizzarlo? Speriamo
Esistono però tutta una serie di reati che l’opinione pubblica – forse un po’ messa su dai mezzi di comunicazione – giudica particolarmente odiosi, addirittura ripugnanti e che vorrebbe che fossero puniti dalla legge e dalla Magistratura con pene assai più severe di quelle che si vedono adesso; un po’ come dire “sbattetelo in galera e buttate via la chiave!”, quando non si arriva addirittura ad invocare la pena di morte.
È di ieri la notizia che la Polizia ha compiuto alcuni blitz sui siti internet di pedo-pornografia, scoprendo varie persone implicate (addirittura anche tre sacerdoti) e in uno di questi casi il Presidente di Telefono Arcobaleno – l’Associazione che da quasi dieci anni combatte i siti gestiti da pedofili – ha segnalato che un signore al quale sono stati trovati oltre 80.000 file con filmati pornografici interpretati da bambini e bambine tra i quattro e i sei anni, ha “patteggiato” la pena e se ne è uscito bellamente di scena con il pagamento di soli 3.000 euro e ottenendo addirittura anche la non iscrizione sulla sua fedina penale, cosicché il “bravuomo” è ufficialmente e a tutti gli effetti un bravuomo.
Un altro caso, questo di alcuni giorni or sono, riguarda un reato ancora più grave, ma sempre nel campo della pedofilia: un terzetto di pedofili violentò ed uccise nel 1997 un bambino di nove anni; uno di loro, condannato solo a nove anni per occultamento di cadavere è tornato adesso in libertà. Si possono facilmente immaginare i lamenti della madre del piccolo ucciso e dei parenti tutti che – dopo aver “ringraziato” ironicamente i giudici che hanno messo fuori il delinquente – affermano che se avranno l’opportunità di incontrarlo si pentirà di non essere rimasto in prigione.
Ecco, questi sono due casi presi tra i tantissimi che smuovono le emozioni dell’opinione pubblica; c’è da chiedersi: cosa fare in proposito? Hanno diritto i parenti di insorgere in questo modo davanti ad una messa in libertà che loro ritengono addirittura offensiva per il bambino ammazzato barbaramente?
Torniamo allora un attimo indietro: il giudice emette le sentenze “in nome del popolo italiano” ma a questo popolo non risponde in niente (il referendum che lo responsabilizzava almeno civilmente è stato vanificato da una legge tagliata apposta per tutelare i magistrati); d’altro canto lo stesso giudice “deve” applicare la legge e quest’ultima gli viene fornita dalla classe politica che per sua stessa natura dovrebbe essere più sensibile agli umori della gente.
Ci troviamo quindi di fronte ad un combinato disposto tra “uomo–giudice” e “uomo-legge”, in cui queste due componenti della nostra giustizia dovrebbero accordarsi in modo tale che alcune situazioni che suscitano sdegno nella gente vengano rivisitate alla luce di questo sdegno e – se del caso – in un prossimo futuro gestite in maniera diversa.
Per esempio, dalla procedura del “patteggiamento” – che pure tanto ha snellito il lavoro dell’uomo magistrato – l’uomo legge dovrebbe togliere quei reati che per la loro ferocia e per la loro efferatezza colpiscono l’immaginazione dell’opinione pubblica ed anche quelli compiuti contro i minori.
È chiaramente un suggerimento da uomo della strada, da persona cioè che utilizza principalmente il buon senso e che avverte quello che avviene nella nostra società.
Sarà possibile realizzarlo? Speriamo
martedì, maggio 24, 2005
Schroeder come Berlusconi?
Nelle elezioni amministrative della Westfalia, la compagine rosso-verde della quale il Cancelliere Schroeder è il leader, ha subito l’ennesima sconfitta, dalla quale è scaturita la decisione di portare il paese alle elezioni politiche anticipate che dovrebbero tenersi nel prossimo autunno.
Meno di mezz’ora dopo l’ufficializzazione dei voti il Cancelliere, senza sentire l’alleato verde, ha diramato un breve comunicato nel quale annunciava la mossa a sorpresa, con la quale si augura di prendere in contropiede l’opposizione cristiano-sociale e trasformare in vittoria le previsioni che danno il suo partito appena al 28% su base nazionale: se queste previsioni dovessero avverarsi e con i verdi che potrebbero non raggiungere la soglia minima del 5%, per i democristiani tedeschi si profilerebbe un trionfo.
Perché allora Schroeder ha compiuto la mossa delle elezioni anticipate, alle quali peraltro vari deputati rosso-verdi hanno annunciato opposizione alla Corte Costituzionale?
Probabilmente perché il Cancelliere sa benissimo che se andasse alle urne alla normale scadenza – cioè tra un anno – questo lasso di tempo sarebbe tutto una continua campagna elettorale durante la quale l’opposizione avrebbe buon gioco a presentare il programma di riforme dei rosso-verdi come un pretenzioso ammasso di rovine.
Ed ha così sparigliato le carte in tavola, dimostrando sicurezza operativa e autorità all’interno della coalizione; un altro elemento a favore della mossa del Cancelliere è senz’altro la situazione del campo avverso: il candidato a guidare la CDU nelle prossime elezioni avrebbe dovuto essere indicato ufficialmente nel Congresso del Partito che doveva svolgersi in autunno; con l’anticipo delle elezioni, come minimo si mette fretta all’avversario e il candidato rimane quello che c’è adesso e cioè la signora Merkel, prima candidata donna in Germania.
La Merkel, una cinquantunenne originaria della ex Germania dell’Est, è quella che, dopo aver preso il partito uscito con le ossa rotte dalla vicenda dei fondi neri di Kohl, lo ha condotto ad una serie di risultati positivi nelle amministrative tedesche: è già stata definita la “Thatcher di Prussia”!
Cosa rimproverano i cittadini tedeschi al Cancelliere? Semplice, l’arretratezza del potere di acquisto dei loro stipendi, l’aumento della disoccupazione e l’abbattimento degli interventi statali per il sociale: questo per citare solo le cose più importanti. Queste recriminazioni sono una costante dei vari popoli europei chiamati alle urne (oltre a Germania e Italia si è avuto anche il ridimensionamento dell’Inghilterra) e dovrebbero far riflettere.
Veniamo adesso al nostro Cavaliere, che possiamo accumunare a Schroeder per quanto riguarda la sonora sconfitta, ma il cui comportamento è stato diverso, anzi diversissimo, passando da una serie di ondivaghe dichiarazioni ad alcune prese di posizione che poi sono state – come al solito – contraddette: unica novità il partito unico, ma sappiamo bene a quali difficoltà vada incontro.
Per quanto riguarda l’aspetto decisionistico, il Cancelliere ha buon gioco nella rapidità di esecuzione, in quanto l’unico alleato – i verdi – sono reduci anch’essi da una sonora sconfitta e comunque non rappresentano niente di essenziale per quanto riguarda la tenuta della coalizione.
Il nostro Cavaliere deve invece tenere conto di tutti i pareri delle forze rappresentate – a vario titolo e a vario livello – nella coalizione di centro destra: ovviamente prima di mettere tutti d’accordo passa tanto di quel tempo che qualsiasi mossa diventa ormai superata dagli eventi.
Meno di mezz’ora dopo l’ufficializzazione dei voti il Cancelliere, senza sentire l’alleato verde, ha diramato un breve comunicato nel quale annunciava la mossa a sorpresa, con la quale si augura di prendere in contropiede l’opposizione cristiano-sociale e trasformare in vittoria le previsioni che danno il suo partito appena al 28% su base nazionale: se queste previsioni dovessero avverarsi e con i verdi che potrebbero non raggiungere la soglia minima del 5%, per i democristiani tedeschi si profilerebbe un trionfo.
Perché allora Schroeder ha compiuto la mossa delle elezioni anticipate, alle quali peraltro vari deputati rosso-verdi hanno annunciato opposizione alla Corte Costituzionale?
Probabilmente perché il Cancelliere sa benissimo che se andasse alle urne alla normale scadenza – cioè tra un anno – questo lasso di tempo sarebbe tutto una continua campagna elettorale durante la quale l’opposizione avrebbe buon gioco a presentare il programma di riforme dei rosso-verdi come un pretenzioso ammasso di rovine.
Ed ha così sparigliato le carte in tavola, dimostrando sicurezza operativa e autorità all’interno della coalizione; un altro elemento a favore della mossa del Cancelliere è senz’altro la situazione del campo avverso: il candidato a guidare la CDU nelle prossime elezioni avrebbe dovuto essere indicato ufficialmente nel Congresso del Partito che doveva svolgersi in autunno; con l’anticipo delle elezioni, come minimo si mette fretta all’avversario e il candidato rimane quello che c’è adesso e cioè la signora Merkel, prima candidata donna in Germania.
La Merkel, una cinquantunenne originaria della ex Germania dell’Est, è quella che, dopo aver preso il partito uscito con le ossa rotte dalla vicenda dei fondi neri di Kohl, lo ha condotto ad una serie di risultati positivi nelle amministrative tedesche: è già stata definita la “Thatcher di Prussia”!
Cosa rimproverano i cittadini tedeschi al Cancelliere? Semplice, l’arretratezza del potere di acquisto dei loro stipendi, l’aumento della disoccupazione e l’abbattimento degli interventi statali per il sociale: questo per citare solo le cose più importanti. Queste recriminazioni sono una costante dei vari popoli europei chiamati alle urne (oltre a Germania e Italia si è avuto anche il ridimensionamento dell’Inghilterra) e dovrebbero far riflettere.
Veniamo adesso al nostro Cavaliere, che possiamo accumunare a Schroeder per quanto riguarda la sonora sconfitta, ma il cui comportamento è stato diverso, anzi diversissimo, passando da una serie di ondivaghe dichiarazioni ad alcune prese di posizione che poi sono state – come al solito – contraddette: unica novità il partito unico, ma sappiamo bene a quali difficoltà vada incontro.
Per quanto riguarda l’aspetto decisionistico, il Cancelliere ha buon gioco nella rapidità di esecuzione, in quanto l’unico alleato – i verdi – sono reduci anch’essi da una sonora sconfitta e comunque non rappresentano niente di essenziale per quanto riguarda la tenuta della coalizione.
Il nostro Cavaliere deve invece tenere conto di tutti i pareri delle forze rappresentate – a vario titolo e a vario livello – nella coalizione di centro destra: ovviamente prima di mettere tutti d’accordo passa tanto di quel tempo che qualsiasi mossa diventa ormai superata dagli eventi.
lunedì, maggio 23, 2005
Per oggi parliamo di un film
Non so se faccio bene e neppure se quello che metto on line possa avere dell’interesse per i lettori, ma – come si dice – se non si prova non si saprà mai; per la verità ho già compiuto una operazione del genere con un altro film, ma era di levatura inferiore a questo; già, ho parlato di film, perché è l’analisi di uno di questi che intendo propinarvi, una lettura che fa parte di uno dei miei tanti mestieri. Il film in questione è “Quando sei nato non puoi più nasconderti” di Marco Tullio Giordana che ha rappresentato l’Italia al recente Festival di Cannes (non vincendo niente, ma ricevendo una buona messe di applausi dal pubblico; molto meno dalla critica). È un po’ lunga, ma vi prego di avere pazienza.
E’ la storia di Sandro, un ragazzo di 13 anni che vive una vita felice e piena di agi nella ricca e laboriosa Brescia dove suo padre ha la solita fabbrichetta, nella quale lavorano italiani ed extra comunitari; ha la passione del nuoto ed infatti lo troviamo in piscina dove si sta allenando per la prossima gara: nella corsia accanto alla sua nuota un ragazzino di colore, con il quale Sandro scherza amabilmente. Un amico di famiglia, un avvocato, proprietario di una bella barca a vela ed a motore, invita Sandro ed il padre a fare una crociera verso la Grecia e i due accettano di buon grado; durante una delle prime notti trascorse a bordo, il ragazzo si reca sul ponte per orinare in acqua (come fanno i grandi!) e per un improvviso salto del vento cade in acqua: la barca continua per la sua strada con il pilota automatico innescato e i due uomini che non si sono accorti di niente e che – dopo alcune chiacchiere – decidono di dormire sul ponte. Il ragazzo prima si sgola per chiamare il padre, poi, resosi conto della inutilità degli sforzi, cerca di nuotare ma proprio quando è sopraffatto dalla stanchezza e sta per affogare, viene salvato da un giovane rumeno, Radu, che si tuffa da una carretta del mare che sta portando in Italia una miriade di extra comunitari (negri, albanesi, e di altre origini). Per non essere fatto oggetto di una trattativa del tipo “ostaggio da ricomprare”, finge di non capire niente di quello che viene detto a bordo, neppure quello che dicono i due piloti della fetida nave, due italiani descritti proprio come si diceva una volta “brutti sporchi e cattivi”; alle loro insistenze per saperne di più sul naufrago salvato, Sandro dice una frase in una strana lingua, frase che ha appreso da un negro mezzo pazzo incontrato a Brescia e Radu traduce prontamente ai negrieri affermando che quella è lingua curda. È così che tra Radu (e la sorellina Alina) e Sandro si stringe una strana amicizia, fatta di lunghi silenzi e di domande senza risposte; si arriva a Gallipoli e gli occupanti della carretta vengono sbarcati dalle Autorità: è a questo punto che Sandro svela la sua nazionalità, racconta la storia e viene così diviso dagli altri per andare con il prete ad attendere l’arrivo dei genitori. Il ragazzo resta affezionato ai due coetanei e quando arrivano i genitori cerca con loro la strada di un aiuto a questi due giovani: il problema è che Radu ha dichiarato di avere 17 anni (cioè di essere minorenne), ma la Polizia non ci crede e lo fa sottoporre a delle analisi che dimostrano la sua vera età. Con un po’ di soldi e un telefonino per restare in contatto, i due rumeni restano al campo di accoglienza e Sandro rientra in famiglia, dove viene festeggiato da parenti e amici e dove i ricchi doni si sprecano: scoperta la bugia di Radu le autorità lo vogliono rimandare in Romania, ma il giovane fugge insieme ad Alina e si reca a Brescia da Sergio; lì viene accolto, rifocillato e messo a dormire mentre il padre di Sandro con l’aiuto dell’avvocato cerca una soluzione per far restare i due ragazzi in Italia; nella notte i due fuggono dopo aver rubato alcuni oggetti di valore lasciando Sandro in preda alla disperazione sia per non aver potuto aiutare gli amici e sia per essere stato ripagato con questa moneta (il furto) dopo che li aveva accolti in casa sua con la massima disponibilità
Dopo un po’ di tempo la ragazzina si fa viva con Sandro e lo invita a raggiungerla a Milano; il ragazzo ci va e la trova in un ambiente da lupanare romano: Alina, tutta truccata e imbellettata, è chiaramente una baby-prostituta che sembra anche dedita a girare filmini pornografici; mentre Sandro cerca delle risposte, la ragazza si chiude in un ostinato mutismo e il regista chiude il film con questi due ragazzini che a sedere su uno scalino guardano in macchina mentre l’immagine si sfoca progressivamente fino a restare una massa indistinta e quindi passare “a nero”.
Il film inizia con Sandro che passeggia per la sua città quando sente degli strepiti che provengono da alcune cabine telefoniche; accorso verso quel luogo vi trova un anziano negro, con una bella barba bianca da saggio, che impreca verso il telefono evidentemente mal funzionante; Sandro invano cerca di far capire al negro che all’ingresso della cabina c’è l’indicazione “fuori servizio”, ma il negro non mostra di capire e replica con una frase in una strana lingua che il ragazzo si segnerà su un foglio; durante tutta la prima parte – vita di Sandro nella sua città – egli mostrerà questo foglio con lo scritto a molti negri, anche agli operai del padre, ma nessuno saprà dirgli cosa significa; l’unico che mostrerà di conoscerlo sarà Radu e questo è significativo.
Al termine del film abbiamo i due ragazzi – praticamente coetanei – che sono a sedere accanto ma non si comprendono più di tanto, anche perché tanta è la differenza fra i due: Sandro con il suo zainetto firmato e Alina con le unghie tinte e le labbra con il rossetto ed il vestito da bambola del sesso; in mezzo c’è tutta la narrazione filmica con la caduta in mare di Sandro ed il salvataggio ad opera di Radu: sembrerebbe che la barriera che separa le nostre etnie venisse infranta, ma troppe sono le regole, troppe le leggi e tanta la cattiveria e la concupiscenza umana, perché tutto questo si possa avverare (almeno per ora), tant’è vero che l’immagine sfocata alla fine del film sembra come una vera “distruzione” di quella sorta di rapporto che si andava instaurando tra Sandro e i due rumeni.
Giordana sembra mettersi al di sopra delle parti, assumere addirittura la caratteristica del documentarista in qualche occasione, come ad esempio in quel labirinto umano che Sandro trova alla fine del film quando si reca ad incontrare Alina. Ma l’autore ha comunque un occhio di riguardo per i più giovani, quelli cioè che stanno andando incontro al futuro e che potranno ribaltare questa situazione nella quale la parola integrazione, convivenza e tanto meno amicizia è soltanto utopia, troppe infatti sono le differenze, troppa è la diffidenza verso i “diversi” e quindi anche le semplici forme di ringraziamento per ora non approdano a niente: si pensi che Sandro chiede ai genitori di “adottare” i due rumeni, ma tra difficoltà legali e scarso entusiasmo non se ne farà niente.
È ancora presto per una integrazione autentica? Il regista sembra convinto di questo.
E’ la storia di Sandro, un ragazzo di 13 anni che vive una vita felice e piena di agi nella ricca e laboriosa Brescia dove suo padre ha la solita fabbrichetta, nella quale lavorano italiani ed extra comunitari; ha la passione del nuoto ed infatti lo troviamo in piscina dove si sta allenando per la prossima gara: nella corsia accanto alla sua nuota un ragazzino di colore, con il quale Sandro scherza amabilmente. Un amico di famiglia, un avvocato, proprietario di una bella barca a vela ed a motore, invita Sandro ed il padre a fare una crociera verso la Grecia e i due accettano di buon grado; durante una delle prime notti trascorse a bordo, il ragazzo si reca sul ponte per orinare in acqua (come fanno i grandi!) e per un improvviso salto del vento cade in acqua: la barca continua per la sua strada con il pilota automatico innescato e i due uomini che non si sono accorti di niente e che – dopo alcune chiacchiere – decidono di dormire sul ponte. Il ragazzo prima si sgola per chiamare il padre, poi, resosi conto della inutilità degli sforzi, cerca di nuotare ma proprio quando è sopraffatto dalla stanchezza e sta per affogare, viene salvato da un giovane rumeno, Radu, che si tuffa da una carretta del mare che sta portando in Italia una miriade di extra comunitari (negri, albanesi, e di altre origini). Per non essere fatto oggetto di una trattativa del tipo “ostaggio da ricomprare”, finge di non capire niente di quello che viene detto a bordo, neppure quello che dicono i due piloti della fetida nave, due italiani descritti proprio come si diceva una volta “brutti sporchi e cattivi”; alle loro insistenze per saperne di più sul naufrago salvato, Sandro dice una frase in una strana lingua, frase che ha appreso da un negro mezzo pazzo incontrato a Brescia e Radu traduce prontamente ai negrieri affermando che quella è lingua curda. È così che tra Radu (e la sorellina Alina) e Sandro si stringe una strana amicizia, fatta di lunghi silenzi e di domande senza risposte; si arriva a Gallipoli e gli occupanti della carretta vengono sbarcati dalle Autorità: è a questo punto che Sandro svela la sua nazionalità, racconta la storia e viene così diviso dagli altri per andare con il prete ad attendere l’arrivo dei genitori. Il ragazzo resta affezionato ai due coetanei e quando arrivano i genitori cerca con loro la strada di un aiuto a questi due giovani: il problema è che Radu ha dichiarato di avere 17 anni (cioè di essere minorenne), ma la Polizia non ci crede e lo fa sottoporre a delle analisi che dimostrano la sua vera età. Con un po’ di soldi e un telefonino per restare in contatto, i due rumeni restano al campo di accoglienza e Sandro rientra in famiglia, dove viene festeggiato da parenti e amici e dove i ricchi doni si sprecano: scoperta la bugia di Radu le autorità lo vogliono rimandare in Romania, ma il giovane fugge insieme ad Alina e si reca a Brescia da Sergio; lì viene accolto, rifocillato e messo a dormire mentre il padre di Sandro con l’aiuto dell’avvocato cerca una soluzione per far restare i due ragazzi in Italia; nella notte i due fuggono dopo aver rubato alcuni oggetti di valore lasciando Sandro in preda alla disperazione sia per non aver potuto aiutare gli amici e sia per essere stato ripagato con questa moneta (il furto) dopo che li aveva accolti in casa sua con la massima disponibilità
Dopo un po’ di tempo la ragazzina si fa viva con Sandro e lo invita a raggiungerla a Milano; il ragazzo ci va e la trova in un ambiente da lupanare romano: Alina, tutta truccata e imbellettata, è chiaramente una baby-prostituta che sembra anche dedita a girare filmini pornografici; mentre Sandro cerca delle risposte, la ragazza si chiude in un ostinato mutismo e il regista chiude il film con questi due ragazzini che a sedere su uno scalino guardano in macchina mentre l’immagine si sfoca progressivamente fino a restare una massa indistinta e quindi passare “a nero”.
Il film inizia con Sandro che passeggia per la sua città quando sente degli strepiti che provengono da alcune cabine telefoniche; accorso verso quel luogo vi trova un anziano negro, con una bella barba bianca da saggio, che impreca verso il telefono evidentemente mal funzionante; Sandro invano cerca di far capire al negro che all’ingresso della cabina c’è l’indicazione “fuori servizio”, ma il negro non mostra di capire e replica con una frase in una strana lingua che il ragazzo si segnerà su un foglio; durante tutta la prima parte – vita di Sandro nella sua città – egli mostrerà questo foglio con lo scritto a molti negri, anche agli operai del padre, ma nessuno saprà dirgli cosa significa; l’unico che mostrerà di conoscerlo sarà Radu e questo è significativo.
Al termine del film abbiamo i due ragazzi – praticamente coetanei – che sono a sedere accanto ma non si comprendono più di tanto, anche perché tanta è la differenza fra i due: Sandro con il suo zainetto firmato e Alina con le unghie tinte e le labbra con il rossetto ed il vestito da bambola del sesso; in mezzo c’è tutta la narrazione filmica con la caduta in mare di Sandro ed il salvataggio ad opera di Radu: sembrerebbe che la barriera che separa le nostre etnie venisse infranta, ma troppe sono le regole, troppe le leggi e tanta la cattiveria e la concupiscenza umana, perché tutto questo si possa avverare (almeno per ora), tant’è vero che l’immagine sfocata alla fine del film sembra come una vera “distruzione” di quella sorta di rapporto che si andava instaurando tra Sandro e i due rumeni.
Giordana sembra mettersi al di sopra delle parti, assumere addirittura la caratteristica del documentarista in qualche occasione, come ad esempio in quel labirinto umano che Sandro trova alla fine del film quando si reca ad incontrare Alina. Ma l’autore ha comunque un occhio di riguardo per i più giovani, quelli cioè che stanno andando incontro al futuro e che potranno ribaltare questa situazione nella quale la parola integrazione, convivenza e tanto meno amicizia è soltanto utopia, troppe infatti sono le differenze, troppa è la diffidenza verso i “diversi” e quindi anche le semplici forme di ringraziamento per ora non approdano a niente: si pensi che Sandro chiede ai genitori di “adottare” i due rumeni, ma tra difficoltà legali e scarso entusiasmo non se ne farà niente.
È ancora presto per una integrazione autentica? Il regista sembra convinto di questo.