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sabato, giugno 10, 2006

SULLA MORTE DI AL ZARQAWI 

E così il “macellaio di Bagdad”, il plenipotenziario di Al Qaeda in Iraq, quell’Al Zarqawi temuto da tutti e con le mani assai lorde del sangue di gente innocente, è stato uccido e con lui due suoi stretti collaboratori: come accennavo nel mio precedente post, la tecnica è quella usata solitamente dagli israeliani contro Hamas e cioè individuare il cove della persona da uccidere, avere nei paraggi qualcuno che possa indirizzare un missile a guida laser e farne partire uno (meglio due) da una base americana; se tutto va bene e cioè se la guida funziona alla perfezione, il missile agisce come un bisturi e “taglia” tutto quello che c’è nell’obiettivo che gli viene fornito, quindi anche persone che non c’entrano niente, ma così è la guerra.
Facciamo un passo addietro e vediamo come il terrorista di origine palestinese ma di estrazione giordana si è comportato in questi ultimi tempi: dopo l’epoca delle apparizioni in TV con ostaggi occidentali ai quali egli stesso tagliava la testa con un coltellaccio, adesso la tattica sembrava più rivolta ad una sorta di “guerra civile” da far scoppiare all’interno del paese tra sunniti e sciiti: ed era contro i primi che Al Zarqawi rivolgeva con maggior attenzione la propria ansia di stragismo.
Alcuni osservatori fanno notare che sembrava quasi che il leader del terrorismo in Iraq si sentisse sfuggire il potere e, cercando di riprenderselo in qualche modo, acuiva il terrore e le stragi di persone innocenti.
Questo atteggiamento però non deve essere piaciuto ai “capi” (Bin Laden ed il suo braccio destro Al Zawahri, il medico egiziano) che – a detta di molti – avrebbero deciso di sostituirlo con un personaggio, altrettanto spietato, ma con un odio rivolto maggiormente verso gli occidentali che invece Al Zarqawi in questi ultimi tempi lasciava abbastanza in pace; mi ha colpito in particolare un video uscito dopo la morte del terrorista ma realizzato “prima”, nel quale Al Zawahri rende onori ad Al Zarqawi: sembra quasi un elogio funebre, fatto però quando il destinatario era ancora vivo.
Se questa ipotesi mi viene data per buona, è facile giungere alla “talpa” che guida il missile degli americani proprio nella tana dove si nasconde il terrorista; questa spiegazione degli eventi porta con se anche un’ipotesi di lavoro che Bin Laden potrebbe avere avuto: farlo diventare un martire e contemporaneamente togliersi di torno un personaggio che stava diventando scomodo; come a dire due piccioni con una fava, dove quest’ultima è rappresentata da un missile teleguidato.
Alcune considerazioni: certi nostri estremisti stanno continuando a chiamare Al Zarqawi con il termine di “resistente” anziché con quello più appropriato di “terrorista”; vorrei sapere infatti che tipo di resistenza è quella che uccide decine e decine di gente inerme al mercato o su un autobus di linea.
Qualcuno ha fatto una sorta di statistica e, fatto cento il totale delle vittime di Al Zarqawi, solo dieci sono occidentali o comunque truppe della coalizione, mentre i rimanenti novanta sono rappresentati da iracheni che si stavano recando alla moschea per pregare (in prevalenza sunniti), oppure al mercato a fare la spesa o facevano parte di strutture pubbliche del nuovo stato.
Tra le tante sciocchezze che ho letto in questi giorni ce n’è una che forse le batte tutte: qualcuno, della cui intelligenza lascio decidere a voi, ha osato paragonare Al Zarqawi a Che Guevara; ora non voglio dire che quest’ultimo sia stato uno stinco di santo, ma non era certo il macellaio che invece è stato il terrorista palestinese; voglio sperare che si sia trattato solo di una confusione mentale di breve durata e che “lo scrittore” in questione si sia già ristabilito.

giovedì, giugno 08, 2006

ZIBALDONE N.6/2006 

In attesa che venga finalmente l’estate e si possa parlare di abbronzature e di bikini, affronto tre argomenti – apparentemente seri – con l’aria che spero venga fuori “seriosa” e cioè leggermente anticonformista.
IL PRIMO argomento si riferisce al neo Capo dell’Ufficio Indagini della FIGC, Francesco Saverio Borrelli, attualmente in pensione da Procuratore Capo del Tribunale di Milano, e ripescato dall’amico Guido Rossi per impersonare il ruolo di “inquisitore capo” nella tragica vicenda di “calciopoli” che sta squassando l’intero mondo del pallone.
All’uscita da una audizione, intercettato dai giornalisti che assediano la sede della FIGC, ha dichiarato, con tono lievemente lamentoso: “per ora non c’è alcun pentito”; il grande Borrelli era abituato male dall’era di tangentopoli, dove i vari pentiti hanno fatto il bello e cattivo tempo di quella famosa indagine; se manca l’elemento del pentitismo come si può fare: forse siamo costretti ad “indagare”, cioè a fare il nostro mestiere?
IL SECONDO argomento si riferisce all’uccisione – avvenuta ieri in tarda serata – del più celebre terrorista in attività, quell’Al Zarqawi, inviato speciale di Bin Laden, che ha insanguinato a più riprese l’Iraq con i tanti attacchi alla popolazione civile ed alle truppe della coalizione: sembra che anche il primo attentato alle nostre truppe di stanza a Nassiriya sia stato opera sua.
Torneremo sulla vicenda al più presto, cioè quando potremo avere maggiori particolari: per ora, a quel che sappiamo, il terrorista è stato riconosciuto ufficialmente dalle impronte digitali ed è rimasto vittima di un attacco missilistico mirato alla casa dove egli era in riunione con i più stretti collaboratori; se ci fate caso è lo stesso sistema che adotta l’esercito israeliano, nel quale tutto funziona se l’integrazione tra intelligence e arma missilistica viaggia alla perfezione.
L’unica cosa che adesso possiamo dire è che non mi sembra assolutamente il caso di dare per vinta la battaglia contro il terrorismo; ce ne sono altri, altrettanto ben addestrati e altrettanto pericolosi di Al Zarqawi: quindi calma e gesso a gioire in modo ancora inopportuno.
Il TERZO argomento riguarda il nostro beneamato Presidente del Consiglio, Romano Prodi e una sua intervista – quanto mai improvvida – al settimanale tedesco “Die Zeit”, nella quale, riferito a Berlusconi, afferma che questi ha “schiavizzato l’Italia” e, riferito alle ali estreme del suo schieramento (Rifondazione e PDCI) ironizza “sono innocui, fanno solo folclore”.
Nell’anteprima che il settimanale ha dato alle Agenzie, queste due affermazioni hanno dato la stura a una serie di polemiche: la CdL si è schierata al fianco del suo leader e ha definito l’intervista di Prodi “una mascalzonata”, mentre i due partiti comunisti pretendono una immediata smentita ed hanno contemporaneamente richiesto una riunione del Consiglio di Gabinetto del Governo.
Prodi, alla ricerca di qualche pezza da mettere sopra alle sue dichiarazioni, ha precisato – a proposito di Berlusconi – di avere affermato che questi “ha trasformato l’Italia, rendendola meno statalista” e non ha parlato di “schiavizzare” come invece ha riportato il settimanale tedesco; per la dichiarazione sui “comunisti”, Prodi ha affermato che “scherzava”.
Peccato per lui che il direttore del “Die Zeit” sia un italiano e che abbia lui stesso raccolto l’intervista e quindi a sua volta ha dichiarato: “conosco bene, ovviamente, la lingua italiana e quello che Prodi ha affermato io l’ho riportato fedelmente e non mi pare che scherzasse in nessun momento dell’intervista”.

STANGATA SANITA' 

Le possiamo chiamare “le magnifiche sette” oppure quelle che si sono distinte per avere un deficit nella sanità che sfora il tetto di spesa: esse sono Piemonte (disavanzo di 216/milioni di euro), Liguria (-252/milioni), Lazio (-1.800/milioni), Campania (sotto di 1132/milioni), Abruzzo (-180/milioni), Molise (-80/milioni) e Sicilia (-625/milioni).
Secondo la “finanziaria” del precedente governo, le regioni che hanno un disavanzo superiore a quello previsto dai tetti di spesa possono venire assoggettate al “massimo” regime per le aliquote di IRAP e ISPEF.
Il nuovo governo – insediato da poco e ancora non pienamente funzionante – si è trovato questa tegola tra capo e collo e ha passato la patata bollente al Ministro Padoa Schioppa che ha ricevuto il Presidente della Conferenza Regioni, Vasco Errani dell’Emilia-Romagna, per significargli che, stante la gravità della situazione dei conti pubblici, non si poteva chiudere nessun occhio e che, al massimo, poteva essere concesso ai “fuori norma” un mese di tempo per presentare eventuali piani di rientro, in difetto dei quali scatterà il prospettato aumento di IRAP e IRPEF.
Il problema che Padoa Schioppa non ha visto – non essendo un politico di professione ma un tecnico dell’economia – è che tutte quelle Regioni, esclusa la Sicilia, sono amministrate da giunte di centro sinistra e, con un governo colorato alla stessa maniera, non si sarebbe fatta una gran bella figura.
Quindi, sulla base di tali valutazioni, Errani ha ottenuto una sorta di “tempo supplementare” per cercare di sistemare il deficit prima di rendere operativo l’aumento delle aliquote.
A questo punto facciamo un breve discorso su come si debbono sentire i cittadini che abitano in queste regioni: mi si dirà che l’aumento delle tasse è reso necessario per l’alto livello al quale viene erogata la sanità.
Ma se così non fosse? Se invece dell’alto livello della sanità (specie in Abruzzo, Molise, Campania e Sicilia) si trattasse di “sprechi”, di somme gettate in cattiva gestione o – e questo sarebbe ancora peggio - di denaro che l’amministrazione regionale ha utilizzato in inutili consulenze con amici, sodali, amici di amici, amici di partito, amici ai quali non si può dire di no, eccetera eccetera.
Ma a ben guardare non ci sarebbe poi niente di strano: il cittadino – ormai sempre più pecora da tosare – ha votato per quella amministrazione e deve pagarne le conseguenze; ma e quelli che non l’hanno votata? Come si dice: in democrazia conta la maggioranza e quindi anche la cosiddetta “minoranza” si deve adeguare.
Certo che non deve essere una bella soddisfazione avere una sanità scadente e pagare “più” di quelli che ce l’hanno buona, o in alcuni casi, ottima.
Comunque, a dispetto del problema sanità, non è che gli amministratori delle regioni nell’occhio del ciclone si siano ritirati in convento per espiare i loro peccati e neppure che abbiano chiesto perdono ai loro elettori, coprendosi il capo di cenere, anzi adesso cercano di brigare con il Ministro dell’Economia perché questa sorta di “multa” sia rinviata più in là possibile, ma – in qualunque modo vada la procedura – alcuni di loro (quelli abruzzesi, ad esempio) hanno già decretato di darsi un aumento (modesto per la verità!) alle loro già laute prebende: mancano i soldi? E chi se ne frega, si tosano le pecore!
Sembrerebbe una battuta di spirito, ma purtroppo anziché da ridere mi sembra proprio una situazione da piangere. A voi no??

martedì, giugno 06, 2006

E' UN ESEMPIO PER I GIOVANI ? 

La polemica sul caso D’Elia sta montando sempre più, proprio per la risposta che l’interessato – con la tipica “spocchia” degli intellettuali di sinistra - mostra di avere nei confronti del problema e soprattutto, dei diretti interessati (la gente).
Per rispondere il neo deputato ha scelto la forma di una lettera indirizzata ai “colleghi” onorevoli, nella quale afferma che “lo Stato deve essere fiero” della sua elezione” e, continua con alcune inesattezze, se non falsità, come quando afferma di essere stato condannato in base alla legislazione emergenziale dell’epoca quale responsabile di una organizzazione terroristica, mentre il capo di imputazione per cui ha subito la condanna è ben più semplice e facilmente comprensibile da tutti: “associazione a delinquere e “associazione terroristica volta a sovvertire l’ordine democratico”.
Come dicevamo alcuni giorni addietro il nostro D’Elia ha eseguito le sue “cattive azioni” nel 1978 a Firenze, a Ciampino e a Bergamo; incastrato da alcune intercettazioni telefoniche è stato processato nel 1979 e si è preso 15 anni a Bergamo e 30 a Firenze, poi ridotti a 25 e successivamente dimezzati in base alla legge sulla dissociazione; quindi ne ha scontati circa dodici, dei quali circa la metà in regime di semilibertà.
Siamo infatti nel 1986 quando si iscrive al Partito Radicale e ottiene la semilibertà; inizia a lavorare nella sede del partito e fonda l’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” insieme alla compagna Maria Teresa Dilascia, prematuramente scomparsa.
Se vogliamo, paradossalmente, tirare le somme di una “carriera”, il D’Elia – dal 1978 al 2006, cioè in 28 anni – ha compiuto una scalata niente male arrivando fino al vertice della politica e riuscendo a intascare uno stipendio che tanti suoi compagni non sono riusciti neppure a sognare; se poi vogliamo continuare in questa – ripeto: paradossale – analisi dei fatti, possiamo forse consigliare a chi desidera scendere in politica, di raggiungere tali vette passando anche per la prigione che, specie se fatta come l’ha fatta lui, non mi sembra troppo pesante, diciamo quasi a livello di “servizio militare”.
Smettendo di scherzare, questo signore non può rappresentare un esempio per nessuno, tanto meno per i giovani, in quanto è lo stereotipo di tutto quanto di negativo si possa immaginare: inizia con la violenza nel gruppuscolo “Prima Linea” (grosso modo insieme a Sofri e compagnia bella) continua con una detenzione facilitata al massimo che culmina con la Presidenza dell’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” (degna quanto mai!) e quindi con l’elezione a deputato e, ciliegina sulla torna, nomina a Segretario di Presidenza della Camera; nella circostanza della polemica sulla sua elezione, non ha sentito il dovere di rivolgersi alla gente che lo ha votato ma direttamente ai colleghi, tipico atteggiamento di superiorità dell’intellettuale di sinistra che non vuole avere niente da spartire con “il popolo”.
Per la verità, è con gioia e stupore che ho letto alcune dichiarazioni di un assessore comunale di Firenze – di matrice socialista – che afferma di “non essere stato convinto dalle argomentazioni di D’Elia” e continua con una battuta fulminante: “Ci sono molte forme di rieducazione dopo la pena, ma nessuna si conclude con l’elezione in Parlamento”.
La sinistra – tutta, fino all’estrema – ha sempre avuto un occhio di riguardo per queste frange estreme, definendoli “compagni che sbagliano”: in questa frase c’è tutto il mondo della sinistra che, sconfitto dalla storia, anziché ritirarsi a meditare sugli errori, evita di chiedere perdono e cerca invece di arrabattarsi per trovare posti ben retribuiti: provate a vedere come si sono sistemati, nelle Università e nelle strutture statali, tutti i “rivoluzionari” di allora – sessantotto e dintorni - alla faccia del proletariato che ci ha creduto!

lunedì, giugno 05, 2006

IL GOVERNO IN CONCLAVE 

I 25 ministri del governo Prodi – ognuno accompagnato da un solo collaboratore - sono riuniti per due giorni in un ex-casale trasformato in albergo di lusso, a San Martino in Campo, vicino a Perugina, per mettere a punto la strategia della coalizione e per sistemare le non poche litigiosità tra i ministri che in queste prime settimane sembrano fare a gara nell’esposizione mediatica della propria immagine.
In questa attività sembra emergere il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella, che da buon democristiano sa bene come fare bella figura con giornali e TV: ha cominciato con la grazia a Bompressi, la cui pratica è stata sistemata in due giorni con l’aiuto passivo del Presidente della Repubblica, ha poi continuato affermando che sta studiando il modo con il quale concedere analogo provvedimento a Sofri – che per la verità mi sembra ne abbia poca necessità: anche in questi giorni è a Roma per un ciclo di conferenze – anche questo interfacciato con il Quirinale; il clou della notorietà lo ha toccato quando ha annunciato un prossimo provvedimenti di amnistia generalizzata a tutti i detenuti (esclusi, sembra, pedofili e mafiosi).
A questo proposito la battuta più interessante è stata quella del collega di governo Antonio Di Pietro che – quando non prende iniziative “per partito preso”, è uno dei meglio ministri in carica – il quale ha dichiarato, testualmente: “Inviterei Mastella a cominciare dalla testa, invece che dalla coda, a pensare a una serie di atti per far funzionare la macchina processuale, per far funzionare la giustizia”; troppo giusto quanto affermato dal bravo Tonino, il quale però, non avendo il background dei D.C., non capisce che a fare provvedimenti seri è fatica e ci vuole tempo, mentre per annunciare iniziative clamorose non ci si rimette niente, specie con l’amnistia che ha bisogno dei due terzi del parlamento e, sapendo che A.N. e Lega sono contrari, sarà ben difficile raggiungere questo quorum.
Continuando nell’esame che Prodi farà ai singoli ministri, c’è da aspettarsi qualche bacchettata a coloro che hanno già annunciato l’abolizione della Parata Militare in occasione della Festa della Repubblica; sono decisioni che debbono essere prese dall’intero esecutivo e che quindi nessun ministro può farle proprie; notare che anche alcuni giornali schierati con l’esecutivo (“Europa”, foglio della Margherita e “Il Riformista”, vicino ai DS) stigmatizzano energicamente l’atteggiamento di svariati ministri o sottosegretari in occasione della Festa: è stato notato anche gli scarsi sorrisi che si notavano nella tribuna delle Autorità e questo ci riporta con la memoria gli schieramenti della gerontocrazia sovietica sulla famosa terrazza della Piazza Rossa in occasione della parata militare per l’anniversario della rivoluzione d’ottobre.
Torniamo al convento di San Martino e notiamo che in quel nobile consesso la parte del leone la svolgerà sicuramente il ministro dell’economia Padoa Schioppa, il quale farà una approfondita relazione sullo stato dei conti pubblici dalla quale emergerà un severo monito a “fare economie” su tutto in ogni singolo ministero, perché sembra che non ci siano fondi sufficienti per portare a compimento i cantieri dell’ANAS e delle Ferrovie.
A proposito di economie: ma questo conclave di due giorni chi lo paga? Noi, immagino! Ho ragione??

domenica, giugno 04, 2006

FAUSTO, NON MI SEI PIACIUTO !! 

Al di là delle posizioni politiche, l’”uomo” Bertinotti mi è sempre piaciuto, forse per quell’aria apparentemente snob e disincantata che nascondeva la grinta dell’ex sindacalista e del “vero” comunista”; non a caso il partito politico da lui fondato si chiama “Rifondazione Comunista”, il che sta a indicare – a mio avviso – che il fondatore sente la necessità di rimettere in piedi un partito che sia autenticamente comunista; tutto questo nonostante i golf di cachemir, i cavalli da corsa e altre piacevolezze del genere.
E dopo avere vinto le elezioni ed essere stato eletto – con la maggioranza tenuta sotto ricatto e dopo che la carica era stata prospettata al compagno D’Alema – Presidente della Camera, si è calato talmente bene nella carica da assomigliare ad un vecchio democristiano, di quelli di una volta.
L’occasione in cui ha mostrato questa sua sciagurata caratteristica è stata la Festa della Repubblica e la sfilata delle Forze Armate che ha avuto luogo ai Fori Imperiali: anzitutto le componenti radicali di sinistra, anch’esse al governo, si sono dissociate dalla manifestazione ed hanno organizzato una sorta di “contro parata” per le strade di Roma; a questa manifestazione che voleva mostrare la disapprovazione per l’esercito, avrebbe dovuto partecipare anche il buon Bertinotti, il quale invece ha optato per rappresentare la Camera dei Deputati al fianco di Giorgio Napolitano anche se non ha mancato di affermare alcuni suoi “distinguo” sulla parata militare e dire – in bella sostanza – che lui era lì in quanto costretto dalla carica che rappresenta, ma avrebbe voluto essere con gli amici per le strade di Roma ad affermare i concetti pacifisti della sinistra radicale, a sfilare con i Casarini e con i Caruso: un bel modo di tenere i piedi in due staffe e scegliere quella più comoda!
Per mostrare con evidenza il suo disagio, Bertinotti si è slogato le mandibole dagli sbadigli che ha ostentatamente fatto – e tutti sono stati immortalati dai fotografi – ed ha mostrato all’occhiello della giacca un distintivo con i colori dell’iride, chiaro simbolo pacifista, accompagnando il tutto con una forma di “non applauso” generalizzata e differente dalle altre cariche dello Stato.
E pensare che la manifestazione dei Fori Imperiali era stata anche ridotta nella sua “muscolarità”, togliendo dalla sfilata i carri armati, i missili e quant’altro potesse rappresentare una qualsiasi minaccia che il nostro paese potrebbe rivolgere agli altri.
Evidentemente si è inteso celebrare una Festa della Repubblica in tono assolutamente minore, direi quasi in sordina, quasi con imbarazzo; cosa avrà pensato il successore di Ciampi nell’udire le sinistre radicali pretendere l’abolizione per il prossimo anno della parata militare che è stata reintrodotta proprio da Ciampi – che tutto l’arco politico tende a “santificare” – come simbolo di unità nazionale?
E i militari, con le loro famiglie, come si saranno sentiti ad essere così palesemente svillaneggiati, dopo che viene loro chiesto dei sacrifici – peraltro ben retribuiti – per le missioni di pace all’estero?
Comunque, tornando a Bertinotti, alcuni osservatori politici si chiedono se ha sbagliato Fausto a partecipare alla parata – anzi direi alla “paratina” – militare con il distintivo pacifista oppure ha sbagliato chi ha eletto Bertinotti alla Presidenza della Camera, credendo così di averlo definitivamente ingabbiato?
Ritengo che sia sbagliato puntare il cannocchiale solo su Bertinotti: lui può essere anche acquietato dall’alta carica istituzionale, ma gli altri amici che restano, sono attestati su posizioni oltranziste che la maggioranza del nostro Paese giudica inaccettabili.
E non si creda che al momento giusto sarà lo stesso Bertinotti a far rientrare la deriva della sinistra radicale, perché questo – ne sono certo – l’amico fraterno del sub comandante Marcos non lo farà mai; o mi sbaglio??

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