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sabato, maggio 19, 2007

ANCHE LA FRANCIA CI PASSA AVANTI 

L’occasione della presentazione della nuova compagine governativa francese nata sull’onda della schiacciante vittoria di Sarkozy, ha dato la stura a tutta una serie di paragoni con i nostri governanti e – come al solito – ci abbiamo fatto il viso rosso di vergogna.

Anzitutto il governo: in Francia abbiamo 15 ministri contro i 26 nostrali (li stiamo quasi per raddoppiare); di questo, i cugini d’oltralpe hanno 8 uomini e 7 donne (quasi metà e metà), mentre i nostri 26 sono ripartiti tra 20 uomini e 6 donne (poco più di un quinto del totale); i nostri hanno conquistato anche un significativo record mondiale, in quanto l’intera compagnia di governo (ministri, vice ministri e sottosegretari) ha raggiunto lo stratosferico numero di 102 persone, ognuna delle quali si porta appresso un lautissimo stipendio, una segreteria e almeno un paio di auto blù.

Anche nell’età media dei ministri ci battono: loro 52,5 anni, noi 57,5; quindi sono mediamente più giovani dei nostri di cinque anni; ma c’è una novità ancora più interessante: il ministero degli esteri è stato assegnato ad un ex ministro socialista (cioè della parte concorrente) Bernard Kouchner, operazione addirittura impensabile nella nostra democrazia.

Sarà anche demagogia, anzi voglio convenire che “è” demagogia, ma presentarsi in questo modo, in una civiltà come la nostra che è dominata dall’apparire a danno dell’essere, colpisce – e non poco - la fantasia della gente che vede una democrazia che cerca di contenere i costi – con i fatti – mentre da noi siamo in una democrazia che dice di voler contenere le spese – solo a parole – ma non ci riesce.

Un’altra cosa che ha fatto impressione: Sarkozy ha dichiarato di voler dimezzare le spese dell’Eliseo; da notare che l’anno scorso è costato 80 milioni di euro, mentre il nostro Quirinale di euro ne ha spesi 235, quattro volte quelli che occorrono alla Regina Elisabetta d’Inghilterra per mandare avanti Buckinghan Palace.

Se poi passiamo a parlare degli emolumenti e dei benefit dei parlamentari italiani, rispetto a quelli francesi, siamo a livello del 100% in più da parte nostra: ma che volete, siamo troppo più furbi di loro, perché ci riempiamo la bocca di concetti del tipo “ridurre i costi della politica”, ma quando si tratta di attuare qualche provvedimento, allora le cose cambiano; pensate che in questi ultimi tempi ho sentito etichettare questo dibattito come demagogico anche da un onest’uomo come il vice ministro Vincenzo Visco, che quando si tratta di trovare soldi nelle tasche degli altri non lesina energie, ma quando si tratta di frugarsi nelle sue tascche….allora….

Di questi benefit, ne voglio affrontare uno solo, quello delle pensioni dei parlamentari, e lo voglio affrontare proprio perché sui “pensionati”, quelli veri, pende la spada di Damocle di una riforma fortemente penalizzante.

Allora, torniamo a questi che definirei “dorati vitalizi”: lo sapevate che tra Camera e Senato, abbiamo oltre 3.300 ex parlamentari che percepiscono una pensione oscillante fra i 3 mila e i 10 mila euro a seconda della permanenza alla “greppia” (basta mezza legislatura per averne diritto!!) ?

E lo sapete quanto ci costa questa munificenza? “Solo” 187 milioni di euro l’anno, a fronte dei quali risultano versati contributi per “ben” 14 milioni di euro, quindi la differenza (173 milioni) la paghiamo noi, cioè io e voi!! Contenti?? Io no di certo!!!


giovedì, maggio 17, 2007

LAVORARE DI PIU' , MA IN MENO !! 

Qualcuno dei miei lettori più attenti ricorderà che non molto tempo fa ebbi a concludere una mia elucubrazione di carattere economico, con questo concetto (grosso modo): tutta l’Europa e tutto il mondo economicamente più evoluto sta aspettando che anche in Cina vengano adottati i parametri che vigono qui da noi, cioè ferie pagate, aumenti periodici dello stipendio, benefici vari, ecc., insomma quelle cose che noi abbiamo conquistato con anni di lotte sindacali; quando, anche in quei mercati che si stanno espandendo con incrementi a due cifre, arriveranno queste sgradite novità, vedrete che tutto cambierà, nel senso che anche lì il costo del lavoro diventerà una variabile importante all’interno del costo del prodotto.

Ebbene, mi chiedevo, e se invece fossero i paesi industrializzati a dover adeguare i loro sistemi di welfare per abbassare il costo del lavoro in modo da poter fare concorrenza ai prodotti provenienti da questi paesi cosiddetti in via di sviluppo? E così facendo imporre alla nostra manodopera dei sacrifici stipendiali e di altro genere, sacrificando così sull’altare del profitto (delle imprese) e del dannatissimo aumento del PIL, lotte sindacali che hanno segnato un paio di generazioni.

Mi è rivenuto in mente, dato che la cifra di incremento del PIL italiano (+0,2) è stata particolarmente bassa nel primo trimestre 2007, addirittura la più bassa dell’intera Europa che ha fatto registrare una media di aumenti pari allo 0,6.

Contemporaneamente all’uscita di questi dati, è stata pubblicata una notizia che suona come un campanello d’allarme circa l’impegno lavorativo degli italiani; utilizzando una sorta di scoperta che in Austria è stata approvata una normativa che consente orari di lavoro fino a 60 ore settimanali, si scorre la situazione dell’intera Europa e si scopre – guarda caso – che l’Italia è “quasi” il fanalino di coda, in quanto da noi si lavora annualmente 1.505 ore, contro una media europea di 1.630 ed una americana di quasi 2.000; ho detto quasi, perché c’è una nazione nella quale si lavora meno che da noi: indovinate chi? Ma è facile, è la Francia dello slogan “lavorare meno, lavorare tutti”, la Francia delle 35 ore settimanali: lì si lavora 1.390 ore annuali, ma Sarkozy ha già detto che bisogna lavorare di più; e tenete ben presente che con questo slogan (ed altri ovviamente) ha stravinto le recenti elezioni presidenziali.

Torniamo un momento all’Austria ed alla norma che porta il livello lavorativo a 60 ore settimanali (per ora non obbligatorie, ma soltanto possibili): la motivazione è di una ovvietà disarmante e recita che “lavorando di più aumenta la produttività, la quale a sua volta porta ad una riduzione dei costi e dunque a maggiore produzione, maggiori vendite, lavoro, ricchezza, consumi”; Non viene detto, ma mi sembra logico che a valle di questa operazione (più ore lavorate) c’è una diretta riduzione del numero degli occupati, magari non subito ma in prospettiva a medio termine.

Quindi, si aumentano le ore lavorative perché così si produce di più e si diventa maggiormente concorrenziali? Ma guarda e pensare che io credevo che quest’aumento fosse determinato da una specifica richiesta dei lavoratori che, non sapendo cosa fare in casa, chiedevano di passare più ore in fabbrica!!

E quindi il vecchio slogan “lavorare di meno, lavorare tutti” adesso lo stanno trasformando in “lavorare di più e lavorare in meno”: bella conquista, davvero!!


martedì, maggio 15, 2007

L'ALLARME SOCIALE 

All’inizio del mese, il Presidente della Repubblica – come avevano fatto i suoi predecessori – si è recato in visita ufficiale al Carcere romano di Rebibbia, accompagnano dal Ministro della Giustizia, Clemente Mastella.

Nel discorso rivolto ai detenuti, due i temi trattati: il primo è stato una difesa dell’indulto che, lungi dall’aver procurato un significativo aumento dei reati, ha consentito di rendere le carceri italiane più vivibili e vicine agli standard europei.

Il secondo argomento, trattato dal Presidente, è stato quello dell’assoluta eccezionalità della detenzione in carcere, cioè – ha detto Napolitano – “la pena detentiva deve essere riservata a chi commette delitti che destano allarme e ledono gravemente valori e interessi intangibili”, negli altri casi si devono applicare le pene alternative.

Ovviamente, questi concetti sono intrisi di quella banalità che è propria nei discorsi ufficiali, nei quali l’Autorità cerca di blandire, in qualche modo, l’uditorio, ma in questo caso, specie per il concetto di allarme sociale, c’è qualcosa su cui riflettere.

Ecco, su questo tema vorrei sviluppare alcune mie considerazioni: anzitutto, la frase rivela un accostamento non solo strumentale a quel “In nome del popolo Italiano” che viene pronunciato troppo frettolosamente dai giudici nel momento della lettura della sentenza, e questo mi trova particolarmente consenziente..

Mi spiego meglio: il concetto di “allarme sociale” non può essere fissato da leggi o codici, ma scaturisce da situazioni concrete che si presentano nella nostra complessa società.

Facciamo un esempio: il reato commesso dal fotografo Fabrizio Corona, che è ancora – dopo quasi tre mesi – a marcire in galera, non mi si venga a dire che provoca allarme sociale, in quanto assistendo alla sfilata continua dei testimoni che pervicacemente i magistrati continuano a convocare nelle varie procure d’Italia, non c’è nessuno che provochi sentimenti di vicinanza spirituale, sono tutte persone che se la sono cercata; proprio oggi è stato chiamato a testimoniare Lapo Elkan a proposito di un presunto tentativo di estorsione per la sua scappatella a base di cocaina e transessuale:ebbene, se io metto uno accanto all’altro il Corona e l’Elkan, mi viene di fare il tifo per il primo, e di votare contro il secondo.

Continuiamo con l’allarme sociale: in questi ultimi tempi si sono susseguiti vari reati che hanno provocato l’indignazione della pubblica opinione e questi sono gli eventi caratterizzati da incidenti stradali nei quali un’auto lanciata a folle velocità falcia dei bambini innocenti; in tali auto vengono regolarmente rinvenuti degli extra comunitari ubriachi e, alcune volte, addirittura senza patente.

Dopo che questi galantuomini sono stati catturati dalle forze dell’ordine ed hanno confessato il reato, i signori vengono rimessi in libertà e le famiglie dei bimbi uccisi rimangono con un palmo di naso e si arrabbiano; ma direi che anche le altre persone che avrebbero potuto trovarsi nella stessa situazione, hanno un moto di ribellione verso questa magistratura che tiene in carcere persone “innocue” per la socialità comune e rilasciano immediatamente gente che ha ucciso e lo ha fatto in quel barbaro modo: tutto questo ovviamente su base strettamente legale, ma non osservando il principio dell’allarme sociale che è legato a quel popolo italiano in nome del quale verrà poi emessa la sentenza.

Credo che ci sia materia per meditare!!


domenica, maggio 13, 2007

C'E' DI CHE ESSERE ORGOGLIOSI 

Sono uscite, in questi ultimi giorni, due classifiche internazionali e l’Italia – come le accade sempre più spesso, dai Campionati del Mondo di Calcio in poi – è prima in entrambe le classifiche: come dico nel titolo, c’è di che essere orgogliosi; se non fosse che….

No, perché prima di gioire sarà bene esaminare a fondo queste due classifiche: la prima ha come titolo “i costi della politica” (argomento trito fin che si vuole, ma sempre attuale) e ci vede in testa alla classifica del costo medio per parlamentare, con i nostri 140 mila euro, staccando il secondo (l’Austria) di oltre un terzo; l’ultimo in classifica è la Svezia con soli 61 mila euro: sarei quasi per fare una colletta per i poveri deputati svedesi; da notare che nel costo dei nostri rappresentanti non sono compresi quelli per i “pensionati”, che danno una spesa di 127 milioni per la Camera e i 60 milioni per il Senato

Questa classifica discende da un altro dato – assai più preoccupante – che ci dice che i costi complessivi della politica, cioè quanto lo Stato paga ai principali partiti, ammontano a 1.850 milioni di euro (quasi 3.700 miliardi del vecchio conio) che rappresenta una buona fetta di una finanziaria; in questa classifica dei rimborsi abbiamo oltre 16 milioni per l’Ulivo (primo in classifica) e quasi 718 mila 0er l’UDEUR.

Un’ultima notazione su questo argomento: gli iscritti ai partiti sono in calo vertiginoso, mentre coloro che di politica “campano” sono sempre di più, arrivando a oltre 427 mila individui che si sostentano con il consenso popolare.

Ed ora vediamo la seconda classifica: il numero delle auto blù, delle quali – è bene dire subito – il numero è triplicato negli ultimi due anni.

Dunque, torniamo a queste famose “auto di rappresentanza”, in dotazione a Stato, Regioni, Province, Comuni ed altri enti pubblici; il loro numero ammonta a oltre 574 mila (mentre due anni fa il parco vetture era di “sole” 198.598). Adesso viene il bello, in quanto la differenza con gli altri paesi industrializzati è mostruosa: pensate che negli Stati Uniti (che sono al secondo posto di questa classifica) le auto sono soltanto 73.000, mentre la Francia ne ha 65.000, l’Inghilterra 58.000, la Germania 54.000, e via via calando, fino ad arrivare alle 35.000 del Giappone.

Quando ho visto questa analisi mi sono chiesto dove stava l’errore, trovando troppo grande il divario tra noi e gli altri Paesi: forse c’è una cosa che ci differenzia da tutti gli altri ed è il “perpetualizzare” i diritti derivanti da una carica.

Mi spiego meglio: il Presidente della Corte di Cassazione che ha titolo all’auto blu (faccio solo un esempio, potrebbe essere anche sbagliato!!), quando va in pensione – a rigor di logica – dovrebbe decadere da questo privilegio e viaggiare sulla propria auto (se ce l’ha) oppure comprarsene una.

Invece qui da noi le cose non funzionano così: se questo signore ha un diritto, questo gli rimane “a vita” indipendentemente dalla durata della carica; vorrei aggiungere anche una cattiveria e cioè che questo diritto – in moltissimi casi – rimane anche in caso di morte perché passa agli eredi, proprio come la pensione!!

E continuiamo a farci del male!! E ad essere presi in giro da tutto il mondo!!


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