sabato, febbraio 19, 2011
NOTIZIE DAL MONDO CHE HA FAME
Periodicamente siamo “avvertiti” che il problema della fame nel mondo è di là da essere risolto; continua la moria di bambini nei Paesi del terzo Mondo, bambini che – nel 2011 – continuano a “morire di fame”, una situazione che la ricca borghesia dominante nel resto del Pianeta trova addirittura “fastidiosa”; ma come, si dice nei salotti buoni, con tutte le iniziative, con tutte i ritrovati della scienza e della tecnica, si continua a tirare fuori questo argomento della fame del mondo?|!!
Per ovviare alla carenza di cibo nei Paesi sottosviluppati, si era pensato che gli OGN (organismi geneticamente modificati) potessero ovviare al problema, ma evidentemente anche questo sistema non si è rivelato sufficiente a risolvere il problema; inizialmente si era avuta una fortissima levata di scudi contro questo sistema di coltivare in particolare i cereali, poi, a cominciare dalla Chiesa, il tabù degli ONG è lentamente caduto; lo stesso professor Umberto Veronesi, oncologo di fama mondiale, non ha avuto nessun appunto da muovere verso questi metodi di coltivazione, affermando, in sintesi “perché no, se servono a sfamare il mondo?”.
I fan di questi sistemi che potrebbero – a loro dire – risolvere i problemi della fame nel mondo, sono arrivati a smontare ed a rimontare il significato della sigla ONG, facendola diventare (organismi geneticamente migliorati), ma non è bastato ed il mondo del sottosviluppo continua a contare i morti che quotidianamente si ammucchiano a causa della mancanza di cibo.
Alcuni scienziati sostengono che a causa dell’incremento demografico proveniente dai paesi asiatici ed africani, il mondo deve invertire il trend dei consumi, altrimenti si sta andando verso un baratro nel quale il genere umano cadrà inevitabilmente; l’accusa di questi scienziati è rivolta in particolare ai tantissimi sprechi che l’attuale società ha per abitudine: troppa carne – prodotta in allevamenti intensivi – troppi sprechi di materie prime che vengono acquistate e gettate nella pattumiera; insomma, con quanto viene gettato nei rifiuti, si risolverebbe il problema dei senza cibo, problema che oltre a generare milioni di morti ogni anno, produce anche tanta disuguaglianza che a medio termine sfocerà in tumulti ed in rivolte sempre più ampie e violente.
Ed allora, ecco che mi provo a fare qualche riflessione sul modo di mangiare: questa nostra società estremamente superficiale, che è capacissima di ingurgitare cibi in grandissima quantità nei fast food, dovrebbe tornare a ricercare la dimensione simbolica del cibo ed anche la spiritualità che è celata in certi gesti.
Lo spezzare il pane che vediamo nei quadri che rappresentano la Passione non è solo un’emozione interiore ma è piuttosto una fede che è legata alla storia, all’esistenza e quindi anche al cibo; per la tradizione cristiana, le prime due opere di misericordia sono: “dar da mangiare agli affamati” e “dar da bere agli assetati”; se questo venisse messo in opera con maggiore frequenza facendolo diventare uno stile di vita, alcuni dei problemi della carenza del cibo verrebbero portati, probabilmente, a soluzione.
Ed a proposito del pane e del suo spreco, spero che i miei lettori sappiano che nel vicino Oriente, non si può dare il pane agli animali e ancora oggi gli arabi non lo tagliano con il coltello “per non ucciderlo”, considerandolo quasi una creatura vivente.
Da questa simbologia che non vuole essere soltanto ritualità, può forse nascere un nuovo stile di vita improntato al risparmio delle fonti della vita e alla loro messa a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno; ritengo che sia uno dei modi per uscire dalla situazione degenerativa dei tanti bambini che muoiono di fame; chiaro?
Per ovviare alla carenza di cibo nei Paesi sottosviluppati, si era pensato che gli OGN (organismi geneticamente modificati) potessero ovviare al problema, ma evidentemente anche questo sistema non si è rivelato sufficiente a risolvere il problema; inizialmente si era avuta una fortissima levata di scudi contro questo sistema di coltivare in particolare i cereali, poi, a cominciare dalla Chiesa, il tabù degli ONG è lentamente caduto; lo stesso professor Umberto Veronesi, oncologo di fama mondiale, non ha avuto nessun appunto da muovere verso questi metodi di coltivazione, affermando, in sintesi “perché no, se servono a sfamare il mondo?”.
I fan di questi sistemi che potrebbero – a loro dire – risolvere i problemi della fame nel mondo, sono arrivati a smontare ed a rimontare il significato della sigla ONG, facendola diventare (organismi geneticamente migliorati), ma non è bastato ed il mondo del sottosviluppo continua a contare i morti che quotidianamente si ammucchiano a causa della mancanza di cibo.
Alcuni scienziati sostengono che a causa dell’incremento demografico proveniente dai paesi asiatici ed africani, il mondo deve invertire il trend dei consumi, altrimenti si sta andando verso un baratro nel quale il genere umano cadrà inevitabilmente; l’accusa di questi scienziati è rivolta in particolare ai tantissimi sprechi che l’attuale società ha per abitudine: troppa carne – prodotta in allevamenti intensivi – troppi sprechi di materie prime che vengono acquistate e gettate nella pattumiera; insomma, con quanto viene gettato nei rifiuti, si risolverebbe il problema dei senza cibo, problema che oltre a generare milioni di morti ogni anno, produce anche tanta disuguaglianza che a medio termine sfocerà in tumulti ed in rivolte sempre più ampie e violente.
Ed allora, ecco che mi provo a fare qualche riflessione sul modo di mangiare: questa nostra società estremamente superficiale, che è capacissima di ingurgitare cibi in grandissima quantità nei fast food, dovrebbe tornare a ricercare la dimensione simbolica del cibo ed anche la spiritualità che è celata in certi gesti.
Lo spezzare il pane che vediamo nei quadri che rappresentano la Passione non è solo un’emozione interiore ma è piuttosto una fede che è legata alla storia, all’esistenza e quindi anche al cibo; per la tradizione cristiana, le prime due opere di misericordia sono: “dar da mangiare agli affamati” e “dar da bere agli assetati”; se questo venisse messo in opera con maggiore frequenza facendolo diventare uno stile di vita, alcuni dei problemi della carenza del cibo verrebbero portati, probabilmente, a soluzione.
Ed a proposito del pane e del suo spreco, spero che i miei lettori sappiano che nel vicino Oriente, non si può dare il pane agli animali e ancora oggi gli arabi non lo tagliano con il coltello “per non ucciderlo”, considerandolo quasi una creatura vivente.
Da questa simbologia che non vuole essere soltanto ritualità, può forse nascere un nuovo stile di vita improntato al risparmio delle fonti della vita e alla loro messa a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno; ritengo che sia uno dei modi per uscire dalla situazione degenerativa dei tanti bambini che muoiono di fame; chiaro?
giovedì, febbraio 17, 2011
RIVOLTE E SBARCHI
In Africa scoppia una rivolta dietro l’altra, gli ex “Capi” (eletti “democraticamente” dal popolo) fuggono all’estero, con l’autorizzazione più o meno tacita dei rivoltosi, eppure, mai come in questo periodo la gente scappa da Tunisia, Algeria, Egitto (si preparano Iran e Libia); come si spiega questo che apparentemente sembra un paradosso? Cioè: hai partecipato alla rivolta dei “poveri”; l’hai “vinta”, in quel modo ma insomma l’hai vinta, e invece di partecipare al “cambiamento” del tuo Paese, te ne scappi in Italia, con probabile ulteriore destinazione in Germania o Inghilterra.
Dunque, per capirci qualcosa facciamo un passo indietro: le rivolte – da non confondersi con le rivoluzioni, come ho già spiegato tempo fa, all’inizio delle manifestazioni di piazza – hanno avuto vita facile perché l’esercito non si è schierato a difesa del potere e quindi i rivoltosi hanno avuto la strada spianata dall’unica autorità rimasta in piedi che non si è schierata “contro” i rivoltosi.
Dopo la “fuga” degli ex comandanti (Ben Alì per la Tunisia e Mubarack per l’Egitto) il potere è passato all’unica realtà viva e vitale del Paese, cioè l’esercito che, anche se non in prima persona, ha preso il comando di tutto l’apparato di comando ed ha compiuto le prime due mosse che sempre vengono effettuate in questi casi: chiusura del Parlamento e abolizione della Costituzione; il tutto beninteso, in attesa dell’esecuzione di nuove elezioni (anch’esse “democratiche” naturalmente).
I “rivoltosi” ovviamente ci sono rimasti un po’ male, ma hanno fatto buon viso ed hanno accettato; ma quelli un po’ più “smagati”, per intenderci: i giovani, coloro che hanno iniziato la rivolta, quelli anche più acculturati in quanto in possesso di laurea o diploma, hanno compreso che la via a riforme significative è ancora lunga e lastricata da fame e dolore ed hanno deciso di andarsene all’estero, approfittando anche del diminuito controllo delle autorità nei porti di imbarco.
Adesso, come andamento della vita nei Paesi in rivolta, bisogna vedere il comportamento nei confronti di quella polveriera che è rappresentata da Israele nella regione: al momento l’Egitto, con l’accordo di pace successivo alla guerra del golfo, fungeva da regolatore delle tensioni anti israeliane; adesso, anche se i militari hanno confermato il mantenimento dell’accordo di pace, bisogna vedere come andranno le cose, specialmente in Palestina e nella striscia di Gaza.
In tutte queste vicende, mentre si è visto e sentito molto spesso Obama, non si è mai avuto sentore dell’altra “potenza”,cioè dell’Europa che non ha manifestato alcun indirizzo di politica estera: l’Europa non è esistita nella crisi tunisina e neppure in quella egiziana, limitandosi a delineare le vie di fuga dei cittadini europei.
E neppure nell’emergenza degli sbarchi a Lampedusa, l’Europa ha manifestato una presenza visibile: tanti i progetti sulla carta, dall’Unione per il Mediterraneo di Sarkozy all’accordo di Barcellona, ma a nessuno di questi sono state assegnate le risorse necessarie, in quanto il problema è stato sottovalutato oppure – ed è molto peggio – è stato considerato “di pertinenza italiana” e quindi lasciato al nostro Paese che rappresenta una sorta di “portaerei” nel Mediterraneo; che poi, a ben vedere, questi clandestini anelano a spargersi per l’Europa (Germania, Inghilterra e Paesi nordici in testa), per cui il problema, presto o tardi diventa di comune approccio per quasi tutti.
D’altro canto, la nobildonna inglese signora Ashton, nominata di recente Ministro degli Esteri dell‘U.E., con tutti i tè che deve organizzare per le sue altolocate amiche, non ha certo il tempo di pensare a queste quisquiglie; chiaro il concetto??
Dunque, per capirci qualcosa facciamo un passo indietro: le rivolte – da non confondersi con le rivoluzioni, come ho già spiegato tempo fa, all’inizio delle manifestazioni di piazza – hanno avuto vita facile perché l’esercito non si è schierato a difesa del potere e quindi i rivoltosi hanno avuto la strada spianata dall’unica autorità rimasta in piedi che non si è schierata “contro” i rivoltosi.
Dopo la “fuga” degli ex comandanti (Ben Alì per la Tunisia e Mubarack per l’Egitto) il potere è passato all’unica realtà viva e vitale del Paese, cioè l’esercito che, anche se non in prima persona, ha preso il comando di tutto l’apparato di comando ed ha compiuto le prime due mosse che sempre vengono effettuate in questi casi: chiusura del Parlamento e abolizione della Costituzione; il tutto beninteso, in attesa dell’esecuzione di nuove elezioni (anch’esse “democratiche” naturalmente).
I “rivoltosi” ovviamente ci sono rimasti un po’ male, ma hanno fatto buon viso ed hanno accettato; ma quelli un po’ più “smagati”, per intenderci: i giovani, coloro che hanno iniziato la rivolta, quelli anche più acculturati in quanto in possesso di laurea o diploma, hanno compreso che la via a riforme significative è ancora lunga e lastricata da fame e dolore ed hanno deciso di andarsene all’estero, approfittando anche del diminuito controllo delle autorità nei porti di imbarco.
Adesso, come andamento della vita nei Paesi in rivolta, bisogna vedere il comportamento nei confronti di quella polveriera che è rappresentata da Israele nella regione: al momento l’Egitto, con l’accordo di pace successivo alla guerra del golfo, fungeva da regolatore delle tensioni anti israeliane; adesso, anche se i militari hanno confermato il mantenimento dell’accordo di pace, bisogna vedere come andranno le cose, specialmente in Palestina e nella striscia di Gaza.
In tutte queste vicende, mentre si è visto e sentito molto spesso Obama, non si è mai avuto sentore dell’altra “potenza”,cioè dell’Europa che non ha manifestato alcun indirizzo di politica estera: l’Europa non è esistita nella crisi tunisina e neppure in quella egiziana, limitandosi a delineare le vie di fuga dei cittadini europei.
E neppure nell’emergenza degli sbarchi a Lampedusa, l’Europa ha manifestato una presenza visibile: tanti i progetti sulla carta, dall’Unione per il Mediterraneo di Sarkozy all’accordo di Barcellona, ma a nessuno di questi sono state assegnate le risorse necessarie, in quanto il problema è stato sottovalutato oppure – ed è molto peggio – è stato considerato “di pertinenza italiana” e quindi lasciato al nostro Paese che rappresenta una sorta di “portaerei” nel Mediterraneo; che poi, a ben vedere, questi clandestini anelano a spargersi per l’Europa (Germania, Inghilterra e Paesi nordici in testa), per cui il problema, presto o tardi diventa di comune approccio per quasi tutti.
D’altro canto, la nobildonna inglese signora Ashton, nominata di recente Ministro degli Esteri dell‘U.E., con tutti i tè che deve organizzare per le sue altolocate amiche, non ha certo il tempo di pensare a queste quisquiglie; chiaro il concetto??
martedì, febbraio 15, 2011
MORIRE PER AMORE
Nel titolo metto in correlazione strettissima l’amore e la morte, come se la seconda fosse una diretta conseguenza del primo; ma come può essere possibile che l’amore – sentimento sublime che rende sublime tutto quello che lo circonda - possa condurre uno dei due protagonisti ad una fine tragica?
Parlo di questo, richiamato da due eventi che comprendono entrambe queste realtà: l’amore e la morte; il primo è accaduto nella mia città, dove un giovane, dopo una serata in compagnia della fidanzata, contrappuntata da vari battibecchi, si è ritrovato insieme all’amata sulla spalletta di un fiume e si è gettato in acqua; forse per inesperienza, forse per qualche altra causa, quando sono intervenuti i sommozzatori l’uomo era già morto; a posteriori la ragazza – con poco spirito di carità – definisce il giovane ed il suo gesto con un poco lusinghiero: “voleva solo fare una bravata”.
Se è un “incidente”, non c’entra niente con questo mio scritto, ma se invece è un suicidio – più o meno cosciente – diventa l’estremo atto di colui che desidera “uscire di scena” ma, allo stesso tempo, vuole relazionarsi con qualcuno (l’amata? forse!).
E cosa vuole dire alla donna che fino a poco prima è stata sua? Forse dimostrarle con questo gesto tragico ma al tempo stesso coraggioso, che lui è in possesso di doti e di sentimenti al di sopra di tutte quelle cattive parole che lei ha usato nei suoi riguardi; insomma una sorta di rivalsa sui pensieri della donna e una vendetta che si instaura attraverso il dolore ed il rimorso che lui pensa di infliggere a colei che non lo ama più.
Il secondo caso è quello dell’uomo che, separato (o divorziato, non so!) dalla moglie, si reca a casa di lei per “ritirare” le due gemelline che – secondo le disposizioni del Tribunale – dovevano trascorrere il fine settimana con lui.
E da quel momento inizia una sorta di viaggio verso la morte: comincia l’uomo, con una cartolina che invia alla moglie nella quale scrive: “senza di te non ce la faccio”; la donna riceverà la missiva solo quando l’allarme per l’assenza delle bambine sarà già in atto; dopo queste poche parole, l’uomo compie il gesto estremo: dalla Svizzera si dirige fino a Cerignola e in quella stazione ferroviaria “abbraccia un treno” come si dice dalle mie parti, cioè si getta sotto i binari e viene ovviamente ridotto in poltiglia.
Ma questo atto lo compie “solo lui” e quindi tutti – la moglie per prima – si chiedono: e le gemelline dove sono? Che fine hanno fatto? Inizia così una gigantesca ricerca delle bambine che – come al solito – vengono viste in varie parti del mondo, tra la Svizzera, la Francia, l’Italia, la Corsica; insomma “sono” dappertutto ma non si trovano.
Mentre è ancora in corso la caccia alle bambine, la moglie riceve una nuova cartolina dall’ex marito: “le bambine riposano in un posto tranquillo; non hanno sofferto; non le rivedrai più” ed aggiunge “sarò l’ultimo a morire; volevo morire con loro ma non è stato così” e conclude con un emblematico “spero non ti suiciderai”.
La drammaticità del gesto – se ovviamente verrà confermato dalle ricerche delle due bambine – ci riporta alle tragedie greche, con i figli che vengono spesso usati per ricreare gesti terribili all’interno della famiglia, luogo di metastasi per coloro che vi si avventurano con una vena di follia.
L’uomo sembra essersi voluto vendicare di un amore non più corrisposto e per fare questo ha ucciso quello che – a suo giudizio – era l’oggetto di maggiore amore della moglie; la vena di follia è passata sopra anche all’amore per le figlie; è passata sopra alla pietà, è passata sopra alla misericordia, mirando diritto alla vendetta dopo avere scansato anche la bellezza dei due piccoli angeli biondi che poteva fermare la follia.
Parlo di questo, richiamato da due eventi che comprendono entrambe queste realtà: l’amore e la morte; il primo è accaduto nella mia città, dove un giovane, dopo una serata in compagnia della fidanzata, contrappuntata da vari battibecchi, si è ritrovato insieme all’amata sulla spalletta di un fiume e si è gettato in acqua; forse per inesperienza, forse per qualche altra causa, quando sono intervenuti i sommozzatori l’uomo era già morto; a posteriori la ragazza – con poco spirito di carità – definisce il giovane ed il suo gesto con un poco lusinghiero: “voleva solo fare una bravata”.
Se è un “incidente”, non c’entra niente con questo mio scritto, ma se invece è un suicidio – più o meno cosciente – diventa l’estremo atto di colui che desidera “uscire di scena” ma, allo stesso tempo, vuole relazionarsi con qualcuno (l’amata? forse!).
E cosa vuole dire alla donna che fino a poco prima è stata sua? Forse dimostrarle con questo gesto tragico ma al tempo stesso coraggioso, che lui è in possesso di doti e di sentimenti al di sopra di tutte quelle cattive parole che lei ha usato nei suoi riguardi; insomma una sorta di rivalsa sui pensieri della donna e una vendetta che si instaura attraverso il dolore ed il rimorso che lui pensa di infliggere a colei che non lo ama più.
Il secondo caso è quello dell’uomo che, separato (o divorziato, non so!) dalla moglie, si reca a casa di lei per “ritirare” le due gemelline che – secondo le disposizioni del Tribunale – dovevano trascorrere il fine settimana con lui.
E da quel momento inizia una sorta di viaggio verso la morte: comincia l’uomo, con una cartolina che invia alla moglie nella quale scrive: “senza di te non ce la faccio”; la donna riceverà la missiva solo quando l’allarme per l’assenza delle bambine sarà già in atto; dopo queste poche parole, l’uomo compie il gesto estremo: dalla Svizzera si dirige fino a Cerignola e in quella stazione ferroviaria “abbraccia un treno” come si dice dalle mie parti, cioè si getta sotto i binari e viene ovviamente ridotto in poltiglia.
Ma questo atto lo compie “solo lui” e quindi tutti – la moglie per prima – si chiedono: e le gemelline dove sono? Che fine hanno fatto? Inizia così una gigantesca ricerca delle bambine che – come al solito – vengono viste in varie parti del mondo, tra la Svizzera, la Francia, l’Italia, la Corsica; insomma “sono” dappertutto ma non si trovano.
Mentre è ancora in corso la caccia alle bambine, la moglie riceve una nuova cartolina dall’ex marito: “le bambine riposano in un posto tranquillo; non hanno sofferto; non le rivedrai più” ed aggiunge “sarò l’ultimo a morire; volevo morire con loro ma non è stato così” e conclude con un emblematico “spero non ti suiciderai”.
La drammaticità del gesto – se ovviamente verrà confermato dalle ricerche delle due bambine – ci riporta alle tragedie greche, con i figli che vengono spesso usati per ricreare gesti terribili all’interno della famiglia, luogo di metastasi per coloro che vi si avventurano con una vena di follia.
L’uomo sembra essersi voluto vendicare di un amore non più corrisposto e per fare questo ha ucciso quello che – a suo giudizio – era l’oggetto di maggiore amore della moglie; la vena di follia è passata sopra anche all’amore per le figlie; è passata sopra alla pietà, è passata sopra alla misericordia, mirando diritto alla vendetta dopo avere scansato anche la bellezza dei due piccoli angeli biondi che poteva fermare la follia.
domenica, febbraio 13, 2011
I QUATTRO BAMBINI BRUCIATI
I quattro bambini bruciati a Roma in un campo abusivo abitato da nomadi erano degli zingari o, più precisamente, dei “rom”, una delle due etnie che, insieme a quella “sinti” rappresenta il popolo degli zingari o zigani o gitani (sono tutti nomi che sono stati attribuiti a questi nomadi nel corso dei secoli).
A causa della cittadinanza di molti di loro, gli zingari sono anche chiamati “rumeni” o “slavi”, ma è evidente l’errore che viene compiuto in quanto non c’è alcuna connessione – neppure etimologica – tra il nome “rom” e quello dello stato di Romania.
Gli zingari sembrano condividere un “karma” sfavorevole, in quanto sono quasi sempre in fuga, in quanto cacciati o rifiutati da tutto il Mondo; l’ultimo esempio è quello della Francia che poco tempo fa ha messo a punto un piano per espellere questi individui.
La prima delle diaspore per scampare all’avanzata dell’Islam, avvenne nel settecento, quando fuggirono dall’originario stato indiano del Punjab e arrivarono in Occidente, dove vennero accusati di tutti i peccati del mondo per costringerli ad andarsene.
Strano a dirsi, ma l’unica che cercò di dar loro una sistemazione fu l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria la quale sperava di riuscire a trattarli allo stesso modo del suo popolo; ovviamente fu sconfitta in questa battaglia sulla pelle degli zingari!!
Accanto ai milioni di ebrei, anche almeno 500/mila zingari furono vittime di Hitler nel famoso olocausto che li vide soccombere alla furia nazista insieme agli omosessuali, ai dissidenti, ai malati di mente, insomma a tutti coloro che avrebbero potuto “inquinare” la purezza ariana della razza tedesca; da notare, a margine di questa vicenda, che al processo di Norimberga gli zingari non vennero ascoltati come testimoni e non ricevettero neppure un centesimo di rimborso per i danni di guerra subiti.
Ma torniamo all’”oggi” ed alla vicenda tristissima dei quattro bambini che – per l’incuria dei genitori, sia detto chiaro – sono rimasti uccisi in un rogo sviluppatosi nella baracca da loro occupata in un campo abusivo; i giornali hanno fatto la prima pagina con questa notizia e tutti hanno alzato veli di pietà nei confronti dei poveri morti.
In realtà, se andiamo a sentire quello che ne pensa il popolo minuto, quello dei Bar e dei Mercati, si nota subito che la maggioranza avrebbe “gradito” che in quel rogo, insieme ai bambini ci fossero stati anche i genitori, magari accompagnati anche dagli zii e dai nonni: questo non giustifica un’accusa generica di razzismo nei confronti degli italiani, ma solo che c’è un notevole parte del nostro popolo che non ama gli zingari.
Perché ? Perché l’immagine degli zingari è stata – ed è ancora – quello del ladro di auto, di borsette e anche di bambini, mentre le donne sono considerate delle abilissime borseggiatrici; inutile dire che anche tra loro c’è chi si comporta bene, ma il numero di queste “brave persone” è talmente esiguo (o almeno appare tale) che la gente non li incontra neppure e neppure li considera tali.
A questo proposito ho visto con i miei occhi un’intervista rilasciata da una zingara di origine romena ad una televisione nostrana, in cui – alla domanda del perché rubavano in Italia e non nella loro patria – la donna replicava che in Italia non si rischiava quasi niente sotto il profilo penale, mentre nella loro patria (la Romania) chi ruba si becca immediatamente cinque anni di galera: facile la scelta!!
A parte questi eventi di cronaca, il problema esiste e deve essere risolto con giustizia e buon senso, altrimenti si rischia una nuova cacciata e relative ritorsioni; alla gente si deve spiegare che gli zingari non sono solo “ladri”, ma loro ci devono mettere del proprio, onde costruirsi un’immagine più accattivante; chiaro il concetto!!
A causa della cittadinanza di molti di loro, gli zingari sono anche chiamati “rumeni” o “slavi”, ma è evidente l’errore che viene compiuto in quanto non c’è alcuna connessione – neppure etimologica – tra il nome “rom” e quello dello stato di Romania.
Gli zingari sembrano condividere un “karma” sfavorevole, in quanto sono quasi sempre in fuga, in quanto cacciati o rifiutati da tutto il Mondo; l’ultimo esempio è quello della Francia che poco tempo fa ha messo a punto un piano per espellere questi individui.
La prima delle diaspore per scampare all’avanzata dell’Islam, avvenne nel settecento, quando fuggirono dall’originario stato indiano del Punjab e arrivarono in Occidente, dove vennero accusati di tutti i peccati del mondo per costringerli ad andarsene.
Strano a dirsi, ma l’unica che cercò di dar loro una sistemazione fu l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria la quale sperava di riuscire a trattarli allo stesso modo del suo popolo; ovviamente fu sconfitta in questa battaglia sulla pelle degli zingari!!
Accanto ai milioni di ebrei, anche almeno 500/mila zingari furono vittime di Hitler nel famoso olocausto che li vide soccombere alla furia nazista insieme agli omosessuali, ai dissidenti, ai malati di mente, insomma a tutti coloro che avrebbero potuto “inquinare” la purezza ariana della razza tedesca; da notare, a margine di questa vicenda, che al processo di Norimberga gli zingari non vennero ascoltati come testimoni e non ricevettero neppure un centesimo di rimborso per i danni di guerra subiti.
Ma torniamo all’”oggi” ed alla vicenda tristissima dei quattro bambini che – per l’incuria dei genitori, sia detto chiaro – sono rimasti uccisi in un rogo sviluppatosi nella baracca da loro occupata in un campo abusivo; i giornali hanno fatto la prima pagina con questa notizia e tutti hanno alzato veli di pietà nei confronti dei poveri morti.
In realtà, se andiamo a sentire quello che ne pensa il popolo minuto, quello dei Bar e dei Mercati, si nota subito che la maggioranza avrebbe “gradito” che in quel rogo, insieme ai bambini ci fossero stati anche i genitori, magari accompagnati anche dagli zii e dai nonni: questo non giustifica un’accusa generica di razzismo nei confronti degli italiani, ma solo che c’è un notevole parte del nostro popolo che non ama gli zingari.
Perché ? Perché l’immagine degli zingari è stata – ed è ancora – quello del ladro di auto, di borsette e anche di bambini, mentre le donne sono considerate delle abilissime borseggiatrici; inutile dire che anche tra loro c’è chi si comporta bene, ma il numero di queste “brave persone” è talmente esiguo (o almeno appare tale) che la gente non li incontra neppure e neppure li considera tali.
A questo proposito ho visto con i miei occhi un’intervista rilasciata da una zingara di origine romena ad una televisione nostrana, in cui – alla domanda del perché rubavano in Italia e non nella loro patria – la donna replicava che in Italia non si rischiava quasi niente sotto il profilo penale, mentre nella loro patria (la Romania) chi ruba si becca immediatamente cinque anni di galera: facile la scelta!!
A parte questi eventi di cronaca, il problema esiste e deve essere risolto con giustizia e buon senso, altrimenti si rischia una nuova cacciata e relative ritorsioni; alla gente si deve spiegare che gli zingari non sono solo “ladri”, ma loro ci devono mettere del proprio, onde costruirsi un’immagine più accattivante; chiaro il concetto!!