sabato, dicembre 27, 2008
L'ANDAMENTO DEL PETROLIO
Ricordate i tempi antecedenti alla crisi? C’era una materia prima che andava a gonfie vele (per i petrolieri), cioè il petrolio che nel luglio di quest’anno ha toccato i 147 dollari al barile; adesso a crisi in pieno svolgimento, il suo deprezzamento ha del mostruoso, pensate che sta costando una cifra a cavallo dei 40 dollari al barile, dico a cavallo in quanto va un po’ sopra e un po’ sotto tale somma; quindi si è mangiato oltre 100 dollari per barile di costo e, pertanto, i paesi produttori dell’oro nero sono adesso in gravi ambasce, presi come sono tra i piani di sviluppo della loro economia e l’impoverimento indotto dal minore costo della principale materia prima da esportare..
Allora possiamo dire che il costo attuale del barile è per l’Europa, l’Asia e l’America, una nota estremamente positiva, l’unica in questa situazione gravida di problemi; di contro, un barile così a buon mercato rappresenta una vera catastrofe per tutti i produttori del petrolio; si pensi che per assicurare profitti il barile non deve scendere al di sotto di una certa soglia, se la supera si vende in perdita e – a gioco lungo – il vendere in perdita non è mai una saggia politica aziendale.
Per il Venezuela tale soglia – definita “di profittabilità – è di 97 dollari, per la Nigeria di 71, per l’Iran di 58, per l’Arabia Saudita di 62, per il Kuwait di 48, per gli Emirati Arabi di 51, per l’Algeria di 35, per la Russia, che peraltro non fa parte dell’OPEC, dovrebbe essere circa 60 dollari.
Come si vede, al momento attuale soltanto l’Algeria sta vendendo con un certo profitto, sia pure di piccola entità, mentre tutti gli altri produttori stanno cedendo petrolio ad una cifra che per loro rappresenta una perdita secca.
C’è da aggiungere che queste oscillazioni dell’oro nero hanno una valenza, oltre che economica, anche politica in quanto i paesi maggiormente produttori sono quasi tutti governati da “dittature” (più o meno mascherate) o da regimi autoritari o teocratici e quindi la loro stabilità dipende in larga misura dagli incassi derivanti dal petrolio: se il prezzo del greggio non è più remunerativo, le tensioni sociali, pur soffocate dal sistema, si fanno comunque sentire.
Il caso più eclatante è quello del Venezuela, in testa alla classifica di cui sopra, che con la profittabilità di 97 non riesce a raggranellare neppure il 50% del costo del petrolio; da notare che il governo di Chavez sopravvive grazie ad una politica distributiva che privilegia i “descamisados”, veri sostenitori del Presidente, i quali cesseranno di sostenerlo se verranno meno le provvidenze di cui godono; più o meno lo stesso discorso vale per l’Iran, il quale ha il proprio regime teocratico che si regge su provvidenze che provengono dal petrolio: adesso ci sta rimettendo circa 18 dollari al barile; quanto potrà reggere?
Da questi due personaggi – Chavez e Akhmadinejad – c’è da aspettarsi anche qualche colpo di testa che possa rimettere in ballo il profitto petrolifero, altrimenti rischiano entrambi, come minimo, dei sommovimenti politici interni che potrebbero sfociare anche in un ribaltone del governo.
Perciò, quando inneggiamo alla caduta del prezzo del petrolio, andiamoci cauti, perché potrebbe avere delle conseguenze al momento non ipotizzabili ma certamente di larga portata internazionale; e così non ci possiamo godere neppure l’unico lato positivo di questa crisi: il calo della benzina che ci invoglia tutti – anche noi poveracci - a riprendere l’uso dell’automobile per i nostri spostamenti e sentirci così, almeno questa volta, uguali ai “signori” nei consumi; ve l’avevo detto che per noi non c’è gioia!!
Allora possiamo dire che il costo attuale del barile è per l’Europa, l’Asia e l’America, una nota estremamente positiva, l’unica in questa situazione gravida di problemi; di contro, un barile così a buon mercato rappresenta una vera catastrofe per tutti i produttori del petrolio; si pensi che per assicurare profitti il barile non deve scendere al di sotto di una certa soglia, se la supera si vende in perdita e – a gioco lungo – il vendere in perdita non è mai una saggia politica aziendale.
Per il Venezuela tale soglia – definita “di profittabilità – è di 97 dollari, per la Nigeria di 71, per l’Iran di 58, per l’Arabia Saudita di 62, per il Kuwait di 48, per gli Emirati Arabi di 51, per l’Algeria di 35, per la Russia, che peraltro non fa parte dell’OPEC, dovrebbe essere circa 60 dollari.
Come si vede, al momento attuale soltanto l’Algeria sta vendendo con un certo profitto, sia pure di piccola entità, mentre tutti gli altri produttori stanno cedendo petrolio ad una cifra che per loro rappresenta una perdita secca.
C’è da aggiungere che queste oscillazioni dell’oro nero hanno una valenza, oltre che economica, anche politica in quanto i paesi maggiormente produttori sono quasi tutti governati da “dittature” (più o meno mascherate) o da regimi autoritari o teocratici e quindi la loro stabilità dipende in larga misura dagli incassi derivanti dal petrolio: se il prezzo del greggio non è più remunerativo, le tensioni sociali, pur soffocate dal sistema, si fanno comunque sentire.
Il caso più eclatante è quello del Venezuela, in testa alla classifica di cui sopra, che con la profittabilità di 97 non riesce a raggranellare neppure il 50% del costo del petrolio; da notare che il governo di Chavez sopravvive grazie ad una politica distributiva che privilegia i “descamisados”, veri sostenitori del Presidente, i quali cesseranno di sostenerlo se verranno meno le provvidenze di cui godono; più o meno lo stesso discorso vale per l’Iran, il quale ha il proprio regime teocratico che si regge su provvidenze che provengono dal petrolio: adesso ci sta rimettendo circa 18 dollari al barile; quanto potrà reggere?
Da questi due personaggi – Chavez e Akhmadinejad – c’è da aspettarsi anche qualche colpo di testa che possa rimettere in ballo il profitto petrolifero, altrimenti rischiano entrambi, come minimo, dei sommovimenti politici interni che potrebbero sfociare anche in un ribaltone del governo.
Perciò, quando inneggiamo alla caduta del prezzo del petrolio, andiamoci cauti, perché potrebbe avere delle conseguenze al momento non ipotizzabili ma certamente di larga portata internazionale; e così non ci possiamo godere neppure l’unico lato positivo di questa crisi: il calo della benzina che ci invoglia tutti – anche noi poveracci - a riprendere l’uso dell’automobile per i nostri spostamenti e sentirci così, almeno questa volta, uguali ai “signori” nei consumi; ve l’avevo detto che per noi non c’è gioia!!
venerdì, dicembre 26, 2008
LA SOCIAL CARD
Quello che segue mi è stato raccontato ieri ed è accaduto il giorno prima di Natale in un Grande Supermercato convenzionato con lo Stato per la ricezione della social card.; facciamo prima un breve riepilogo su quello che è questa carta speciale inviata dal Ministero dell’Economia ad un certo numero di italiani particolarmente indigenti.
Vediamo anzitutto a chi spetta; due le tipologie: gli anziani e le famiglie con bambini piccoli; spetta agli anziani, cittadini e residenti italiani, con età tra i 65 e i 69 anni con redditi o pensione fino a 6.000 euro l'anno; oltre i 70 anni la soglia di reddito sale fino a 8.000 euro. Viene inviata anche alle famiglie con figli sotto i 3 anni, con un indicatore “Isee” di 6.000 euro: il calcolo del reddito sarà eseguito con l'Indicatore di situazione economica equivalente (il Riccometro), già utilizzato per l'accesso ai servizi sociali. A quanto ammonta? È finanziata con 40 euro al mese e, per le domande anteriori al 31 dicembre, la Carta viene caricata con l'arretrato di 3 mesi, quindi con 120 euro; successivamente gli importi saranno accreditati ogni due mesi.
E adesso arriviamo al fatto accaduto nel Supermercato il giorno prima di Natale, mentre il negozio è pieno di gente e le casse hanno delle code lunghissime; ad una di queste si presenta un signore, un po’ come quello che descrivo nel post di ieri, cioè vestito dignitoso anche se un po’ liso; ha il sacchetto della spesa con un certo numero di prodotti (non molti, sotto i 20 euro) e si presenta alla cassiera esibendo, nascostamente per la vergogna, la Social Card; la signorina “striscia” il pezzetto di plastica dentro la macchinetta ma nonostante i reiterati tentativi, il sistema risponde che la carta “non ha caricamento”.
La cassiera, spiega al signore, che da ora in poi chiameremo “povero”, la situazione, mentre la fila che si è bloccata alle sue spalle comincia a rumoreggiare; il nostro povero, non volendo essere scambiato per un truffatore, spiega alla signorina che la tessera è stata ricevuta il giorno stesso e che non è stata fatta alcuna operazione prima di quella in corso e che tale tessera discende dal fatto che lui è un pensionato che percepisce 550 euro al mese; tutto questo a bassa voce, quasi vergognandosi.
Cercate di fare mente locale e di immaginarvi la situazione: il povero che, rosso di vergogna, cerca di spiegare che non ha tentato di truffare il Supermercato; la gente che vuole andare avanti nella coda e se ne frega dei problemi del povero, la cassiera che, dopo una giornata così intensa, è stanchissima e non chiede altro che di andarsene a casa; risultato: al nostro povero viene chiesto di pagare in contanti ma, lui cercando di celare l’imbarazzo, dice di non avere soldi, al che la cassiera chiede al povero di lasciare la borsa con la roba scelta per le feste di Natale e di andarsene; così avviene e il nostro povero esce dalla fila e a capo chino come uno che ha commesso chissà cosa, si dirige verso l’uscita seguito dalle occhiate ammiccanti della gente.
Breve chiosa all’accaduto: va bene il concetto che “meglio poco che niente” e quindi prendiamo pure le social card, ma sappiamo tutti che il presentarsi con questo titolo elettronico è una forma di etichettatura: sei un povero! Ma poi se neppure funziona e si deve arrivare a discuterci sopra, oltre al danno abbiamo la beffa e il nostro povero esce dal Supermercato frustrato dagli sguardi falsamente pietosi dei clienti che hanno assistito alla scena e con il morale sotto i piedi.
A chi potrà spiegare l’accaduto e ottenere una carta funzionante? Sinceramente non lo so, ma temo che non lo sappia neppure il nostro povero che tornato a casa rimuginerà su questa forma di “aiuto” dello Stato e forse rinuncerà ad averlo; bella storia vero!?
Vediamo anzitutto a chi spetta; due le tipologie: gli anziani e le famiglie con bambini piccoli; spetta agli anziani, cittadini e residenti italiani, con età tra i 65 e i 69 anni con redditi o pensione fino a 6.000 euro l'anno; oltre i 70 anni la soglia di reddito sale fino a 8.000 euro. Viene inviata anche alle famiglie con figli sotto i 3 anni, con un indicatore “Isee” di 6.000 euro: il calcolo del reddito sarà eseguito con l'Indicatore di situazione economica equivalente (il Riccometro), già utilizzato per l'accesso ai servizi sociali. A quanto ammonta? È finanziata con 40 euro al mese e, per le domande anteriori al 31 dicembre, la Carta viene caricata con l'arretrato di 3 mesi, quindi con 120 euro; successivamente gli importi saranno accreditati ogni due mesi.
E adesso arriviamo al fatto accaduto nel Supermercato il giorno prima di Natale, mentre il negozio è pieno di gente e le casse hanno delle code lunghissime; ad una di queste si presenta un signore, un po’ come quello che descrivo nel post di ieri, cioè vestito dignitoso anche se un po’ liso; ha il sacchetto della spesa con un certo numero di prodotti (non molti, sotto i 20 euro) e si presenta alla cassiera esibendo, nascostamente per la vergogna, la Social Card; la signorina “striscia” il pezzetto di plastica dentro la macchinetta ma nonostante i reiterati tentativi, il sistema risponde che la carta “non ha caricamento”.
La cassiera, spiega al signore, che da ora in poi chiameremo “povero”, la situazione, mentre la fila che si è bloccata alle sue spalle comincia a rumoreggiare; il nostro povero, non volendo essere scambiato per un truffatore, spiega alla signorina che la tessera è stata ricevuta il giorno stesso e che non è stata fatta alcuna operazione prima di quella in corso e che tale tessera discende dal fatto che lui è un pensionato che percepisce 550 euro al mese; tutto questo a bassa voce, quasi vergognandosi.
Cercate di fare mente locale e di immaginarvi la situazione: il povero che, rosso di vergogna, cerca di spiegare che non ha tentato di truffare il Supermercato; la gente che vuole andare avanti nella coda e se ne frega dei problemi del povero, la cassiera che, dopo una giornata così intensa, è stanchissima e non chiede altro che di andarsene a casa; risultato: al nostro povero viene chiesto di pagare in contanti ma, lui cercando di celare l’imbarazzo, dice di non avere soldi, al che la cassiera chiede al povero di lasciare la borsa con la roba scelta per le feste di Natale e di andarsene; così avviene e il nostro povero esce dalla fila e a capo chino come uno che ha commesso chissà cosa, si dirige verso l’uscita seguito dalle occhiate ammiccanti della gente.
Breve chiosa all’accaduto: va bene il concetto che “meglio poco che niente” e quindi prendiamo pure le social card, ma sappiamo tutti che il presentarsi con questo titolo elettronico è una forma di etichettatura: sei un povero! Ma poi se neppure funziona e si deve arrivare a discuterci sopra, oltre al danno abbiamo la beffa e il nostro povero esce dal Supermercato frustrato dagli sguardi falsamente pietosi dei clienti che hanno assistito alla scena e con il morale sotto i piedi.
A chi potrà spiegare l’accaduto e ottenere una carta funzionante? Sinceramente non lo so, ma temo che non lo sappia neppure il nostro povero che tornato a casa rimuginerà su questa forma di “aiuto” dello Stato e forse rinuncerà ad averlo; bella storia vero!?
giovedì, dicembre 25, 2008
IL CETO MEDIO: IL PIU' TARTASSATO
E’ un discorso che ho già fatto, ma mi sento di doverlo rifare, specie dopo che alcuni amici mi segnalano episodi inquietanti di persone dignitosamente vestite che si danno al “furto del sacchetto della spesa” e che, presi in flagrante, si mettono mestamente a piangere, dopo avere confessato il reato e chiesto umilmente scusa.
Già da qualche anno la forbice tra ricchi e poveri si va progressivamente allargando e il ceto medio, che componeva una fetta rilevante a cavallo tra le due categorie, si sta sfaldando con una parte minoritaria che sale verso la ricchezza e un’altra – molto più cospicua – che scende nell’inferno della povertà.
Queste persone, abituate finora ad avere un minimo di agiatezza, si ritrovano improvvisamente a dover tirare la cinghia e, qualche volta, anche peggio, con la particolarità che del ceto popolare, non possono avere acquisito la forza di sopportazione e l’arte di arrangiarsi tipica di chi è abituato a ricorrere a qualunque scamotto per sopravvivere, compresa una rete di solidarietà che il ceto medio non ha.
E quindi il disagio di non riuscire a sopravvivere è anche una frustrazione ed una vergogna infinita per coloro che lo vivono, abituati come sono a vivere una vita medio borghese che, pur in assenza degli agi dei ricchi ha comunque una sua dignità alla quale non è facile rinunciare.
In passati articoli ho fatto riferimento al borghese decaduto del film di De Sica “Umberto D”, ma adesso mi voglio riferire anche alla pellicola di Soldini dal titolo “Giorni e Nuvole”, nel quale un manager di mezza età viene licenziato in tronco insieme ad alcuni dei suoi operai; l’essenza dell’opera è nella contrapposizione tra l’atteggiamento dei proletari che trovano il modo di cavarsela e riusciranno addirittura a trovare un nuovo posto di lavoro, mentre l’ex manager va incontro ad un calvario infinito, che inizia con la frustrazione dei colloqui di lavoro tenuti da sbarbatelli senza alcuna cultura etica e la freddezza dei suoi ex colleghi; e quando – ormai sconfitto – cercherà di tirare avanti umiliandosi in lavori manuali come il tappezziere o altro, si accorgerà di non riuscirci, non per cattiva volontà, ma proprio per carenza di capacità.
Ecco, adesso abbiamo una situazione nella quale affiorano tante storie come quella narrata da Soldini e queste, proprio nei giorni di festa, durante i quali si vede che questa maledetta crisi è “solo per alcuni”, mentre altri intasano i voli per le isole esotiche oppure riempiono gli alberghi delle località sciistiche alla moda; insomma, gli Hotel a 5 stelle sono ricolmi, gli aerei pure e allora chiediamoci dove sta questa crisi, dove sta la recessione o comunque ammettiamo che le persone che possono spendere e spandere sono un grande numero.
Ed allora facciamo anche una considerazione di ordine più generale: la ricchezza del mondo continua in modo quasi costante ad aumentare, se teniamo per buono l’andamento del Pil delle varie Nazioni, ma il popolo di questi Paesi, preso nei singoli individui, fa fatica a mantenere le posizioni e, in molti casi passa dalla parte dei poveri.
Quindi dobbiamo dedurre che questa crescita costante della ricchezza mondiale, non ricade in forma egualitaria su tutti, ma investe solo alcuni individui, mentre altri li sfiora appena; inoltre – ed anche qui affermo una cosa già detta varie volte – una cosa è essere poveri dove tutti, più o meno lo sono, come eravamo in un lontano passato (anni ’50), ma essere miserabili quando intorno a te brilla la più sfacciata opulenza può indurre a qualunque gesto, anche quello più sconsiderato come il furto: auguriamoci che almeno sia una presa di coscienza per atti più mirati e concreti!
Già da qualche anno la forbice tra ricchi e poveri si va progressivamente allargando e il ceto medio, che componeva una fetta rilevante a cavallo tra le due categorie, si sta sfaldando con una parte minoritaria che sale verso la ricchezza e un’altra – molto più cospicua – che scende nell’inferno della povertà.
Queste persone, abituate finora ad avere un minimo di agiatezza, si ritrovano improvvisamente a dover tirare la cinghia e, qualche volta, anche peggio, con la particolarità che del ceto popolare, non possono avere acquisito la forza di sopportazione e l’arte di arrangiarsi tipica di chi è abituato a ricorrere a qualunque scamotto per sopravvivere, compresa una rete di solidarietà che il ceto medio non ha.
E quindi il disagio di non riuscire a sopravvivere è anche una frustrazione ed una vergogna infinita per coloro che lo vivono, abituati come sono a vivere una vita medio borghese che, pur in assenza degli agi dei ricchi ha comunque una sua dignità alla quale non è facile rinunciare.
In passati articoli ho fatto riferimento al borghese decaduto del film di De Sica “Umberto D”, ma adesso mi voglio riferire anche alla pellicola di Soldini dal titolo “Giorni e Nuvole”, nel quale un manager di mezza età viene licenziato in tronco insieme ad alcuni dei suoi operai; l’essenza dell’opera è nella contrapposizione tra l’atteggiamento dei proletari che trovano il modo di cavarsela e riusciranno addirittura a trovare un nuovo posto di lavoro, mentre l’ex manager va incontro ad un calvario infinito, che inizia con la frustrazione dei colloqui di lavoro tenuti da sbarbatelli senza alcuna cultura etica e la freddezza dei suoi ex colleghi; e quando – ormai sconfitto – cercherà di tirare avanti umiliandosi in lavori manuali come il tappezziere o altro, si accorgerà di non riuscirci, non per cattiva volontà, ma proprio per carenza di capacità.
Ecco, adesso abbiamo una situazione nella quale affiorano tante storie come quella narrata da Soldini e queste, proprio nei giorni di festa, durante i quali si vede che questa maledetta crisi è “solo per alcuni”, mentre altri intasano i voli per le isole esotiche oppure riempiono gli alberghi delle località sciistiche alla moda; insomma, gli Hotel a 5 stelle sono ricolmi, gli aerei pure e allora chiediamoci dove sta questa crisi, dove sta la recessione o comunque ammettiamo che le persone che possono spendere e spandere sono un grande numero.
Ed allora facciamo anche una considerazione di ordine più generale: la ricchezza del mondo continua in modo quasi costante ad aumentare, se teniamo per buono l’andamento del Pil delle varie Nazioni, ma il popolo di questi Paesi, preso nei singoli individui, fa fatica a mantenere le posizioni e, in molti casi passa dalla parte dei poveri.
Quindi dobbiamo dedurre che questa crescita costante della ricchezza mondiale, non ricade in forma egualitaria su tutti, ma investe solo alcuni individui, mentre altri li sfiora appena; inoltre – ed anche qui affermo una cosa già detta varie volte – una cosa è essere poveri dove tutti, più o meno lo sono, come eravamo in un lontano passato (anni ’50), ma essere miserabili quando intorno a te brilla la più sfacciata opulenza può indurre a qualunque gesto, anche quello più sconsiderato come il furto: auguriamoci che almeno sia una presa di coscienza per atti più mirati e concreti!
mercoledì, dicembre 24, 2008
LE STATISTICHE DI FINE ANNO
Come ogni anno i giornali e le televisioni approfittano di questi giorni che si avvicinano alla fine dell’anno, per riempire le pagine di vari sondaggi, statistiche, insomma di idee e cifre su come è andato l’anno che sta per concludersi e, su questi dati, cercare di fornire una previsione per il futuro.
Si comincia con un titolo che mette i brividi: “Il 5,3% delle famiglie non ha i soldi per comprare il cibo”; si va poi a esaminare il testo dell’articolo e si nota che i dati si riferiscono al 2007 e vengono comparati con il 2006: con quello che è successo nel mondo in questo anno, andare a parlare dei due anni precedenti è come parlare del secolo scorso; insomma, se ci fermiamo al titolo, rimaniamo sempre fregati.
Seconda considerazione, ovviamente sempre riferita al 2007: alla domanda “non ha avuto i soldi per alimentari”, risponde affermativamente il 5,3% contro il 4,2% dell’anno prima; però, sempre a tenere gli occhi aperti, si nota che accanto alla domanda esiste un asterisco di richiamo che ci porta ad una annotazione a piè di pagine: “almeno una volta nei 12 mesi”, il che sta a significare che non sono mancati i soldi per l’intero anno, ma una volta o poco più nel periodo; se permettete c’è una bella differenza.
Continuando poi l’analisi dei suddetti valori e trasferendo il dato a livello regionale, si vede che al di sopra del dato nazionale (5,3%) abbiamo quasi tutte le regioni del Sud (Sicilia 10,1%, Puglia 8,1%, Basilicata 8,7% Campania 6,9”) mentre al di sotto del dato di base, troviamo la Valle d’Aosta con l’1,7%, l’Abruzzo con l’1,8% il Trentino con il 2%, l’Umbria con il 3,6% e la Toscana con il 4,1%.
In questa caterva di cifre che mi scuso di dovervi propinare, ce n’è una interessante: le Banche piangono come tutte le altre aziende e nel 2008 faranno registrare un calo del 30% negli utili previsti, pur in presenza di un aumento degli impieghi, cioè della “merce venduta” di quasi il 6%: evidentemente ci deve essere qualche situazione distonica perché se aumenta la vendita come mai cala l’utile? Due sono le ipotesi fattibili: la prima è che la “merce/denaro” sia costata di più e la seconda è che ci siano molti “insoluti”, gente cioè che non onora il debito a scadenza.
Una terza ipotesi potrebbe essere quella che le banche, oltre al mestiere di “venditori di denaro”, si sono impegnate anche in operazioni finanziarie che hanno comportato perdite rilevanti: ma qui “il male voluto non è mai troppo”, diceva mio nonno!!
Per non farci mancare niente, vi riferirò anche alcuni dati di carattere politico: la coalizione di Governo che è uscita dalle “politiche” con un 46,8% è arrivata al novembre scorso con un gradimento del 50,7 e al sondaggio attuale al 52,5; di contro l’opposizione è passata dal 37,6 “elettorale” al 37,5 di novembre al 35% attuale: lenta erosione di consensi, con l’unica eccezione dell’Idv che incrementa il dato elettorale (4,4%) portandolo al 7,5%, mentre il PD cala dal 33,2% al 27,5%.
Queste cifre fotografano la situazione reale e non destano meraviglia; unico dato interessante è “il gradimento dei vari ministri”: non ci crederete ma la signorina Mara Carfagna è quella che porta a casa l’incremento di fiducia più marcato, passando dal 36% di novembre all’attuale 41%, mentre il percorso opposto (passa dal 41 al 36) lo fa il Ministro dell’Agricoltura, il leghista Zaia.
Credo che per le cifre possa bastare ed anzi mi scuso di avervi riempito la testa con tutti questi numeri; per fortuna adesso ci sono gli auguri che Vi faccio con viva sincerità e riguardano soprattutto la “Buona Salute” di tutti Voi; ed anche la mia se mi permettete!!
Si comincia con un titolo che mette i brividi: “Il 5,3% delle famiglie non ha i soldi per comprare il cibo”; si va poi a esaminare il testo dell’articolo e si nota che i dati si riferiscono al 2007 e vengono comparati con il 2006: con quello che è successo nel mondo in questo anno, andare a parlare dei due anni precedenti è come parlare del secolo scorso; insomma, se ci fermiamo al titolo, rimaniamo sempre fregati.
Seconda considerazione, ovviamente sempre riferita al 2007: alla domanda “non ha avuto i soldi per alimentari”, risponde affermativamente il 5,3% contro il 4,2% dell’anno prima; però, sempre a tenere gli occhi aperti, si nota che accanto alla domanda esiste un asterisco di richiamo che ci porta ad una annotazione a piè di pagine: “almeno una volta nei 12 mesi”, il che sta a significare che non sono mancati i soldi per l’intero anno, ma una volta o poco più nel periodo; se permettete c’è una bella differenza.
Continuando poi l’analisi dei suddetti valori e trasferendo il dato a livello regionale, si vede che al di sopra del dato nazionale (5,3%) abbiamo quasi tutte le regioni del Sud (Sicilia 10,1%, Puglia 8,1%, Basilicata 8,7% Campania 6,9”) mentre al di sotto del dato di base, troviamo la Valle d’Aosta con l’1,7%, l’Abruzzo con l’1,8% il Trentino con il 2%, l’Umbria con il 3,6% e la Toscana con il 4,1%.
In questa caterva di cifre che mi scuso di dovervi propinare, ce n’è una interessante: le Banche piangono come tutte le altre aziende e nel 2008 faranno registrare un calo del 30% negli utili previsti, pur in presenza di un aumento degli impieghi, cioè della “merce venduta” di quasi il 6%: evidentemente ci deve essere qualche situazione distonica perché se aumenta la vendita come mai cala l’utile? Due sono le ipotesi fattibili: la prima è che la “merce/denaro” sia costata di più e la seconda è che ci siano molti “insoluti”, gente cioè che non onora il debito a scadenza.
Una terza ipotesi potrebbe essere quella che le banche, oltre al mestiere di “venditori di denaro”, si sono impegnate anche in operazioni finanziarie che hanno comportato perdite rilevanti: ma qui “il male voluto non è mai troppo”, diceva mio nonno!!
Per non farci mancare niente, vi riferirò anche alcuni dati di carattere politico: la coalizione di Governo che è uscita dalle “politiche” con un 46,8% è arrivata al novembre scorso con un gradimento del 50,7 e al sondaggio attuale al 52,5; di contro l’opposizione è passata dal 37,6 “elettorale” al 37,5 di novembre al 35% attuale: lenta erosione di consensi, con l’unica eccezione dell’Idv che incrementa il dato elettorale (4,4%) portandolo al 7,5%, mentre il PD cala dal 33,2% al 27,5%.
Queste cifre fotografano la situazione reale e non destano meraviglia; unico dato interessante è “il gradimento dei vari ministri”: non ci crederete ma la signorina Mara Carfagna è quella che porta a casa l’incremento di fiducia più marcato, passando dal 36% di novembre all’attuale 41%, mentre il percorso opposto (passa dal 41 al 36) lo fa il Ministro dell’Agricoltura, il leghista Zaia.
Credo che per le cifre possa bastare ed anzi mi scuso di avervi riempito la testa con tutti questi numeri; per fortuna adesso ci sono gli auguri che Vi faccio con viva sincerità e riguardano soprattutto la “Buona Salute” di tutti Voi; ed anche la mia se mi permettete!!
lunedì, dicembre 22, 2008
DI NUOVO A PARLARE DI AUTO BLU
A dimostrazione che la Magistratura questa volta è veramente scatenata nei confronti di alcuni Enti locali, c’è l’attacco nei confronti degli utilizzatori di auto blu, le cui modalità vengono controllate in maniera sopraffina e, come è logico, ci troviamo di fronte a diversi utilizzi impropri.
Mettiamoci nei panni di colui che è arrivato a poter avere la disponibilità di un’auto blu, con autista, e chiediamoci qual è il prossimo desiderio: ovviamente quello di mostrarla in giro e di poterne approfittare a piacimento, quindi prestandola ad un amico o amica per un viaggio di alcune centinaia di chilometri, come sembra abbia fatto un assessore.
Per la verità dobbiamo ammettere che di auto blu se ne parla da tanto tempo, ma la Magistratura non aveva mai messo in moto i suoi tentacoli per acchiappare i trasgressori; il fatto che adesso lo faccia, è sintomo che se ne sta provando di tutte per “avvertire” questi amministratori ed il partito di cui sono emanazione.
Comunque sia, miei cari amici, un piccolo discorso sulle auto blu dobbiamo pure farlo e, a questo proposito, possiamo usufruire dei dati provenienti da uno studio realizzato da Contribuenti,it sul parco auto di Stato, Regioni, Province, Comuni, ASL, Comunità Montane ed altri Enti Pubblici: reggetevi forte, perché le cifre sono impressionanti, non solo “in assoluto” ma soprattutto se confrontate con il resto del mondo.
Pensate che l’Italia raggiunge un nuovo record mondiale, facendo addirittura aumentare le auto blu negli ultimi due anni e raggiungendo la cifra – a mio avviso mostruosa – di 607.918 vetture che, in proprietà o in leasing, sono comunque a disposizione di lor signori.
Con questo numero, siamo naturalmente in testa ad ogni classifica mondiale; il secondo classificato – gli Stati Uniti - ne ha soltanto 75.000, poco più di un decimo delle nostre e con una popolazione che è cinque volte la nostra.
Questa differenza tra il primo ed il secondo è un avvertimento su come proseguirà la classifica: noi solissimi in testa e tutti gli altri ammucchiati dietro; pensate che dopo gli Stati Uniti si classificano Francia (64mila) e Regno Unito (55 mila), seguite a loro volte dalla Germania con 53 mila e dalla Turchia con 52 mila, dalla Spagna con 42 mila e dal Giappone con 31 mila; la ricerca si chiude con la Grecia che ha un ventesimo delle auto blu italiane, appunto solo 30 mila.
C’è qualcuno che conosca una spiegazione circa questa distonia tra noi e il resto del mondo? Non posso credere che i nostri governanti ed amministratori pubblici siano venti volte più “ladroni” della Grecia o dieci volte gli Stati Uniti.
Deve esserci una qualche altra spiegazione che al momento mi sfugge e che se è a conoscenza di qualche mio lettore, lo prego vivamente di farmela conoscere.
Indubbiamente l’argomento è di quelli che scottano e che è di difficilissima soluzione; ricordate quel Ministro – mi pare si chiami Costa – che alcuni anni fa si incaponì a mettere fine a questo sperpero di denaro pubblico? Non solo non ha risolto niente, ma è stato trombato alle elezioni successive, a dimostrazione che il nostro elettorato è un po’ masochista, tant’è vero che non reagisce mai a queste soperchierie.
E se reagisce lo fa con malcelato spirito d’invidia nei confronti di chi è arrivato a quella posizione di comando e che – oltre ai soldi che si porta a casa – può vantare alcuni benefit che sono la vera essenza del potere, quello inteso appunto, non come un servizio verso la gente, ma come un’opportunità da prendere al volo e da sfruttare per i propri interessi; questa è la nostra fotografia: ci riconosciamo??
Mettiamoci nei panni di colui che è arrivato a poter avere la disponibilità di un’auto blu, con autista, e chiediamoci qual è il prossimo desiderio: ovviamente quello di mostrarla in giro e di poterne approfittare a piacimento, quindi prestandola ad un amico o amica per un viaggio di alcune centinaia di chilometri, come sembra abbia fatto un assessore.
Per la verità dobbiamo ammettere che di auto blu se ne parla da tanto tempo, ma la Magistratura non aveva mai messo in moto i suoi tentacoli per acchiappare i trasgressori; il fatto che adesso lo faccia, è sintomo che se ne sta provando di tutte per “avvertire” questi amministratori ed il partito di cui sono emanazione.
Comunque sia, miei cari amici, un piccolo discorso sulle auto blu dobbiamo pure farlo e, a questo proposito, possiamo usufruire dei dati provenienti da uno studio realizzato da Contribuenti,it sul parco auto di Stato, Regioni, Province, Comuni, ASL, Comunità Montane ed altri Enti Pubblici: reggetevi forte, perché le cifre sono impressionanti, non solo “in assoluto” ma soprattutto se confrontate con il resto del mondo.
Pensate che l’Italia raggiunge un nuovo record mondiale, facendo addirittura aumentare le auto blu negli ultimi due anni e raggiungendo la cifra – a mio avviso mostruosa – di 607.918 vetture che, in proprietà o in leasing, sono comunque a disposizione di lor signori.
Con questo numero, siamo naturalmente in testa ad ogni classifica mondiale; il secondo classificato – gli Stati Uniti - ne ha soltanto 75.000, poco più di un decimo delle nostre e con una popolazione che è cinque volte la nostra.
Questa differenza tra il primo ed il secondo è un avvertimento su come proseguirà la classifica: noi solissimi in testa e tutti gli altri ammucchiati dietro; pensate che dopo gli Stati Uniti si classificano Francia (64mila) e Regno Unito (55 mila), seguite a loro volte dalla Germania con 53 mila e dalla Turchia con 52 mila, dalla Spagna con 42 mila e dal Giappone con 31 mila; la ricerca si chiude con la Grecia che ha un ventesimo delle auto blu italiane, appunto solo 30 mila.
C’è qualcuno che conosca una spiegazione circa questa distonia tra noi e il resto del mondo? Non posso credere che i nostri governanti ed amministratori pubblici siano venti volte più “ladroni” della Grecia o dieci volte gli Stati Uniti.
Deve esserci una qualche altra spiegazione che al momento mi sfugge e che se è a conoscenza di qualche mio lettore, lo prego vivamente di farmela conoscere.
Indubbiamente l’argomento è di quelli che scottano e che è di difficilissima soluzione; ricordate quel Ministro – mi pare si chiami Costa – che alcuni anni fa si incaponì a mettere fine a questo sperpero di denaro pubblico? Non solo non ha risolto niente, ma è stato trombato alle elezioni successive, a dimostrazione che il nostro elettorato è un po’ masochista, tant’è vero che non reagisce mai a queste soperchierie.
E se reagisce lo fa con malcelato spirito d’invidia nei confronti di chi è arrivato a quella posizione di comando e che – oltre ai soldi che si porta a casa – può vantare alcuni benefit che sono la vera essenza del potere, quello inteso appunto, non come un servizio verso la gente, ma come un’opportunità da prendere al volo e da sfruttare per i propri interessi; questa è la nostra fotografia: ci riconosciamo??
domenica, dicembre 21, 2008
GLI INGLESI E L'EUROPA
Forse non moltissimi ricordano che gli inglesi – al momento dell’unificazione dei vari Paesi nell’U.E. – storsero sdegnosamente il nasino e dissero che loro avrebbero continuato a mantenere i loro sistemi in attesa di vedere come procedeva l’integrazione: della serie andate avanti voi che a noi ci viene da ridere!!
Queste particolarità tutte britanniche, sembrano fatte apposta per mettere in difficoltà il visitatore straniero e possiamo compendiarle in queste che sono le principali: anzitutto la guida a sinistra, per cui in tutta la Gran Bretagna si va per strada tenendo la mano sinistra anziché la destra come avviene in tutto il resto dell’Europa; poi abbiamo i pesi e qui al posto del chilo e del grammo, hanno l’oncia e le libbre; si prosegue poi con i pesi di alimenti liquidi (latte e birra) che vengono conteggiati anziché in litri, in pinte e mezze pinte.
Su queste distonie tra il Regno Unito ed il resto d’Europa, non c’è stato mai niente da fare e gli altri paesi europei hanno “abbozzato” per non creare confusione e inimicare gli amici inglesi; per la verità le cose avrebbero dovuto essere chiarite subito, ma pensate che Bruxelles ci ha provato a far convertire, almeno per quanto riguarda i pesi, le once e le libbre negli europei chili e grammi, ma non c’è stato niente da fare; e dire che l’U.E. non si è arresa al primo tentativo, ma è arrivata addirittura a rifilare una multa ad un negoziante di frutta colpevole di non aver cambiato la propria bilancia, adeguandola alle misure “straniere”.
L’intero Paese è insorto, difendendo il povero ortolano, tartassato dai regolamenti “stranieri”; addirittura la BBC – la TV di Stato – è scesa in campo con i propri reporter e li ha sguinzagliati per le strade per fare un test ai passanti: quanto pesano quattro mele usando le misure europee? Nessuno degli intervistati – dall’anziana massai al giovane laureato – ne aveva la più pallida idea e sparava cifre che andavano dai 100 grammi ai dieci chili; invece, quando per le stesse quattro mese si chiedeva di indicare il peso in libbre e once, tutti indovinavano – grosso modo – e quindi veniva dimostrato che i poveri abitanti di questa bistrattata isola, facevano una terribile fatica ad adeguarsi a quelli che venivano considerati i soprusi di Bruxelles.
Conclusione della vicenda delle mele: accanto all’indicazione metrica, reintroduzione delle misure “imperiali” e quindi tutti contenti; analogo, o forse peggiore, il caso del peso delle persone che, al posto del chilo (europeo) e della libbra (inglese), vedeva introdotta una nuova misura, lo “stone”, cioè la pietra, che equivale a Kg.6,35029818 e quindi abbiamo che Victoria Beckham, da poco approdata alla corte del Milan, pesa, per gli annali britannici, 6 pietre e 8 libbre.
Un discorso a parte merita la madre di tutte le differenze: la moneta; com’è noto, quando si trattò di riunificate tutte le monete europee in un’unica realtà chiamata “euro”, gli inglesi si defilarono bellamente, compiendo quello che una volta si chiamava “una fuga all’inglese” e continuarono imperterriti a utilizzare la loro antica moneta di scambio che, al momento, valeva molto più della moneta unica europea.
Adesso però, la valuta britannica si sta dirigendo verso un rapporto di parità con l’euro e quindi non esiste più motivo per mantenerla in forma autonoma; al momento il valore della sterlina veleggia tra l’1,118 e 1,05 contro 1 euro, cioè una sostanziale parità.
Si dice che i circoli finanziari britannici, vorrebbero entrare nell’euro in modo da gestire la crisi finanziaria ed economica che travaglia tutti in forma più comunitaria; scontata la smentita di Downing Street, ma una logica esiste nella proposta unificatrice!!
Queste particolarità tutte britanniche, sembrano fatte apposta per mettere in difficoltà il visitatore straniero e possiamo compendiarle in queste che sono le principali: anzitutto la guida a sinistra, per cui in tutta la Gran Bretagna si va per strada tenendo la mano sinistra anziché la destra come avviene in tutto il resto dell’Europa; poi abbiamo i pesi e qui al posto del chilo e del grammo, hanno l’oncia e le libbre; si prosegue poi con i pesi di alimenti liquidi (latte e birra) che vengono conteggiati anziché in litri, in pinte e mezze pinte.
Su queste distonie tra il Regno Unito ed il resto d’Europa, non c’è stato mai niente da fare e gli altri paesi europei hanno “abbozzato” per non creare confusione e inimicare gli amici inglesi; per la verità le cose avrebbero dovuto essere chiarite subito, ma pensate che Bruxelles ci ha provato a far convertire, almeno per quanto riguarda i pesi, le once e le libbre negli europei chili e grammi, ma non c’è stato niente da fare; e dire che l’U.E. non si è arresa al primo tentativo, ma è arrivata addirittura a rifilare una multa ad un negoziante di frutta colpevole di non aver cambiato la propria bilancia, adeguandola alle misure “straniere”.
L’intero Paese è insorto, difendendo il povero ortolano, tartassato dai regolamenti “stranieri”; addirittura la BBC – la TV di Stato – è scesa in campo con i propri reporter e li ha sguinzagliati per le strade per fare un test ai passanti: quanto pesano quattro mele usando le misure europee? Nessuno degli intervistati – dall’anziana massai al giovane laureato – ne aveva la più pallida idea e sparava cifre che andavano dai 100 grammi ai dieci chili; invece, quando per le stesse quattro mese si chiedeva di indicare il peso in libbre e once, tutti indovinavano – grosso modo – e quindi veniva dimostrato che i poveri abitanti di questa bistrattata isola, facevano una terribile fatica ad adeguarsi a quelli che venivano considerati i soprusi di Bruxelles.
Conclusione della vicenda delle mele: accanto all’indicazione metrica, reintroduzione delle misure “imperiali” e quindi tutti contenti; analogo, o forse peggiore, il caso del peso delle persone che, al posto del chilo (europeo) e della libbra (inglese), vedeva introdotta una nuova misura, lo “stone”, cioè la pietra, che equivale a Kg.6,35029818 e quindi abbiamo che Victoria Beckham, da poco approdata alla corte del Milan, pesa, per gli annali britannici, 6 pietre e 8 libbre.
Un discorso a parte merita la madre di tutte le differenze: la moneta; com’è noto, quando si trattò di riunificate tutte le monete europee in un’unica realtà chiamata “euro”, gli inglesi si defilarono bellamente, compiendo quello che una volta si chiamava “una fuga all’inglese” e continuarono imperterriti a utilizzare la loro antica moneta di scambio che, al momento, valeva molto più della moneta unica europea.
Adesso però, la valuta britannica si sta dirigendo verso un rapporto di parità con l’euro e quindi non esiste più motivo per mantenerla in forma autonoma; al momento il valore della sterlina veleggia tra l’1,118 e 1,05 contro 1 euro, cioè una sostanziale parità.
Si dice che i circoli finanziari britannici, vorrebbero entrare nell’euro in modo da gestire la crisi finanziaria ed economica che travaglia tutti in forma più comunitaria; scontata la smentita di Downing Street, ma una logica esiste nella proposta unificatrice!!