sabato, febbraio 28, 2009
E BASTA !!
Ci sono un paio di vicende – abbastanza spiacevoli per vari motivi - che attualmente non trovano il modo di concludersi; per questo motivo il mio grido di “basta!”
La prima è la vicenda della povera Eluana Englaro, morta recentemente, il cui padre, Beppino, è stato denunciato per “omicidio volontario” da una Comitato, sembra composto da una quindicina di persone, che si fa chiamare “Verità e Vita”.
Ovviamente la Procura di Udine, competente in quanto è il cosiddetto “ luogo del delitto” è stata costretta ad aprire un fascicolo e ad “indagare” il denunciato ed altre 13 persone che sarebbero colpevoli anche di favoreggiamento e di complicità.
Almeno direttamente non sembra esserci lo zampino del Vaticano, ma il Cardinale Barragan, ministro vaticano della salute, si è affrettato a rilasciare un’intervista in materia che è quanto meno “sopra le righe”: “Se Beppino Englaro ha ucciso la figlia è un assassino perché ha violato il quinto comandamento che dice di non uccidere (non perché ha ucciso un essere umano, ma solo per il comandamento?? Mah!)”; il dotto Cardinale prosegue con un’altra affermazione che non digerisco: “chi uccide un innocente commette un omicidio e questo è chiaro”; breve commento: ma perché, forse che uccidere “un colpevole” non è contravvenire ad un comandamento??
E la serie delle bufale cardinalizie si conclude con questa perla: “ho già parlato con il padre di Eluana e penso che non devo aggiungere altro; in quella conversazione gli ho detto queste cose e lui ha reagito arrabbiandosi, dicendo che lo catalogavo come un assassino”; altro breve commento: il Cardinale ha avuto fortuna, perché qualche altro lo avrebbe volato dalla finestra!!
Ma io mi chiedo: è proprio questo il momento di rinfocolare le polemiche? Proprio ora che è allo studio un provvedimento legislativo sul “testamento biologico”, normativa che – almeno stando alle notizie di stampa – sarebbe in mano al Presidente del Senato che cerca di realizzare un testo condiviso dai due partiti (PDL e PD).
A meno che non si voglia mettere i bastoni tra le ruote di questa legge e allora si spiegherebbe il riaccendersi della querelle.
La seconda vicenda che non trova pace, è quella del Vescovo lefebvriano “negazionista” Williamson che sembra farlo apposta per cercare notorietà: adesso ha chiesto perdono al Papa ed anche alle vittime del terzo Reich, ma sembra averlo fatto in modo capzioso, cioè con una forma non chiara (almeno a giudizio del Vaticano).
È di oggi infatti l’affermazione che “non bastano al Vaticano le scuse del negazionista (per chi si fosse perso qualche puntata precedente, i negazionisti sono coloro che negano l’entità dell’olocausto degli ebrei per mano nazista); egli infatti non si è rivolto al Papa né alla commissione Ecclesia Dei e deve scusarsi pubblicamente”.
Sinceramente non capisco, ma probabilmente stanno parlando di “procedure ecclesiastiche” e quindi è giusto che non capisca. Quello che invece mi sembra chiarissimo è il pensiero del Vescovo che dice: “alla televisione svedese ho solo espresso l’opinione di un non-storico formatasi 20 anni fa sulla base delle prove allora disponibili”; quindi il peccato sarebbe quello di non essersi aggiornato!!
E se il Vescovo non si è aggiornato, non sa neppure che la Germania – proprio lo Stato tedesco – sta pensando a un mandato di arresto al nome di Williamson, possibile in quanto all’interno della U.E. è considerato reato il negare l’olocausto.
Mi sembra una esagerazione; ma lasciatelo bollire nel suo brodo e non andare a sfruculiarlo, altrimenti abbiamo fesseria che si somma ad altra fesseria!! E poi, basta!!
La prima è la vicenda della povera Eluana Englaro, morta recentemente, il cui padre, Beppino, è stato denunciato per “omicidio volontario” da una Comitato, sembra composto da una quindicina di persone, che si fa chiamare “Verità e Vita”.
Ovviamente la Procura di Udine, competente in quanto è il cosiddetto “ luogo del delitto” è stata costretta ad aprire un fascicolo e ad “indagare” il denunciato ed altre 13 persone che sarebbero colpevoli anche di favoreggiamento e di complicità.
Almeno direttamente non sembra esserci lo zampino del Vaticano, ma il Cardinale Barragan, ministro vaticano della salute, si è affrettato a rilasciare un’intervista in materia che è quanto meno “sopra le righe”: “Se Beppino Englaro ha ucciso la figlia è un assassino perché ha violato il quinto comandamento che dice di non uccidere (non perché ha ucciso un essere umano, ma solo per il comandamento?? Mah!)”; il dotto Cardinale prosegue con un’altra affermazione che non digerisco: “chi uccide un innocente commette un omicidio e questo è chiaro”; breve commento: ma perché, forse che uccidere “un colpevole” non è contravvenire ad un comandamento??
E la serie delle bufale cardinalizie si conclude con questa perla: “ho già parlato con il padre di Eluana e penso che non devo aggiungere altro; in quella conversazione gli ho detto queste cose e lui ha reagito arrabbiandosi, dicendo che lo catalogavo come un assassino”; altro breve commento: il Cardinale ha avuto fortuna, perché qualche altro lo avrebbe volato dalla finestra!!
Ma io mi chiedo: è proprio questo il momento di rinfocolare le polemiche? Proprio ora che è allo studio un provvedimento legislativo sul “testamento biologico”, normativa che – almeno stando alle notizie di stampa – sarebbe in mano al Presidente del Senato che cerca di realizzare un testo condiviso dai due partiti (PDL e PD).
A meno che non si voglia mettere i bastoni tra le ruote di questa legge e allora si spiegherebbe il riaccendersi della querelle.
La seconda vicenda che non trova pace, è quella del Vescovo lefebvriano “negazionista” Williamson che sembra farlo apposta per cercare notorietà: adesso ha chiesto perdono al Papa ed anche alle vittime del terzo Reich, ma sembra averlo fatto in modo capzioso, cioè con una forma non chiara (almeno a giudizio del Vaticano).
È di oggi infatti l’affermazione che “non bastano al Vaticano le scuse del negazionista (per chi si fosse perso qualche puntata precedente, i negazionisti sono coloro che negano l’entità dell’olocausto degli ebrei per mano nazista); egli infatti non si è rivolto al Papa né alla commissione Ecclesia Dei e deve scusarsi pubblicamente”.
Sinceramente non capisco, ma probabilmente stanno parlando di “procedure ecclesiastiche” e quindi è giusto che non capisca. Quello che invece mi sembra chiarissimo è il pensiero del Vescovo che dice: “alla televisione svedese ho solo espresso l’opinione di un non-storico formatasi 20 anni fa sulla base delle prove allora disponibili”; quindi il peccato sarebbe quello di non essersi aggiornato!!
E se il Vescovo non si è aggiornato, non sa neppure che la Germania – proprio lo Stato tedesco – sta pensando a un mandato di arresto al nome di Williamson, possibile in quanto all’interno della U.E. è considerato reato il negare l’olocausto.
Mi sembra una esagerazione; ma lasciatelo bollire nel suo brodo e non andare a sfruculiarlo, altrimenti abbiamo fesseria che si somma ad altra fesseria!! E poi, basta!!
venerdì, febbraio 27, 2009
IL DIRITTO DI SCIOPERO
In Italia, come è noto, il diritto di sciopero è sancito dalla Costituzione, nel cui testo però si rimanda alla legge ordinaria per la pratica attuazione della normativa; da noi, stante la difficoltà di mettere d’accordo anche due soli deputati dello stesso partito, non c’è mai stato verso di sistemare la questione.
Adesso sembra che ci stia provando l’attuale Ministro Sacconi che ha approntato una norma che rende tale diritto un po’ aggiornato alle modalità dei tempi moderni; ovviamente i Sindacati – che al momento sono divisi su tutto – divaricano ancora di più tale divisione: mentre UIL e CISL seno disponibili a sedersi al tavolo con spirito costruttivo, la CGIL, ancora una volta dimostratasi organo eminentemente politico, lancia avvertimenti quanto meno inconsueti: “Il Governo stia attento”; non è questo lo spirito che occorre per regolamentare “insieme” una norma che continua a far infuriare la totalità degli utenti dei servizi pubblici.
La bozza del Disegno di Legge prevede una norma che, almeno all’apparenza, mi sembra quanto meno ovvia e cioè che per proclamare uno sciopero è necessario che il o i sindacati che lo indicono rappresentino il 51% dei lavoratori interessati dall’iniziativa; in caso contrario occorre un referendum tra gli stessi lavoratori.
La norma vieta forme di protesta particolare (sit-in, cortei, ecc.) e tutte quelle astensioni messe in atto per ledere il diritto alla mobilità ed alla circolazione.
Questa normativa prende lo spunto da situazioni già in essere in altri Paesi europei, nei quali la percentuale di rappresentanza del sindacato è un elemento essenziale per lanciare lo sciopero; in Francia, per esempio, possono proclamare scioperi solo i sindacati più significativi.
Nella normativa che sta uscendo dal Ministero del Lavoro, c’è una novità quanto meno interessante: nei settori di particolare importanza i lavoratori potranno avere l’obbligo di presenza nonostante la protesta: la paga finirebbe in un fondo di solidarietà; si tratterebbe in questo caso di uno “sciopero virtuale” con cui i lavoratori dichiarano il proprio malcontento, ma senza che gli utenti del servizio ne vengano danneggiati.
Sia quest’ultima particolare normativa che quella riguardante il referendum tra i lavoratori in caso di una rappresentanza inferiore al 51%, fanno parte di idee di Marco Biagi, da lui espresse fin dal 2001 e mai attuate da nessun Governo.
Il perché è presto detto: toccare i sindacati è solo un po’ meno pericoloso del cercare di legiferare sulla magistratura; nella migliore delle ipotesi si arriva ad ottenere dichiarazioni del tipo: “siamo d’accordo che gli scioperi sono da disciplinare, ma questo deve avvenire d’accordo con i sindacati”.
Questa dichiarazione è dell’ex Ministro Tiziano Treu, il quale peraltro mi dovrebbe spiegare come sia possibile fare qualunque cosa se uno dei sindacati interessati pone dei vincoli che sono talmente “pesanti” dall’apparire dei veri e propri veti.
E qui infatti c’è la risposta al perché la norma sugli scioperi sia stata più volte avviata ma mai definita; perché – come in tanti altri campi della nostra vita – si afferma da parte di Qualcuno (notare il maiuscolo) che si deve cercare la concertazione prima di varare la norma: ma se uno degli invitati al tavolo della trattativa pone solo dei “no” – che assomigliano a veti – come è possibile procedere?
Io credo che in democrazia la maggioranza si debba assumere le proprie responsabilità e legiferare con il consenso ricevuto dai voti della gente, altrimenti come possiamo poi criticare il Governo? Questo andazzo gli fornisce gli alibi!!
Adesso sembra che ci stia provando l’attuale Ministro Sacconi che ha approntato una norma che rende tale diritto un po’ aggiornato alle modalità dei tempi moderni; ovviamente i Sindacati – che al momento sono divisi su tutto – divaricano ancora di più tale divisione: mentre UIL e CISL seno disponibili a sedersi al tavolo con spirito costruttivo, la CGIL, ancora una volta dimostratasi organo eminentemente politico, lancia avvertimenti quanto meno inconsueti: “Il Governo stia attento”; non è questo lo spirito che occorre per regolamentare “insieme” una norma che continua a far infuriare la totalità degli utenti dei servizi pubblici.
La bozza del Disegno di Legge prevede una norma che, almeno all’apparenza, mi sembra quanto meno ovvia e cioè che per proclamare uno sciopero è necessario che il o i sindacati che lo indicono rappresentino il 51% dei lavoratori interessati dall’iniziativa; in caso contrario occorre un referendum tra gli stessi lavoratori.
La norma vieta forme di protesta particolare (sit-in, cortei, ecc.) e tutte quelle astensioni messe in atto per ledere il diritto alla mobilità ed alla circolazione.
Questa normativa prende lo spunto da situazioni già in essere in altri Paesi europei, nei quali la percentuale di rappresentanza del sindacato è un elemento essenziale per lanciare lo sciopero; in Francia, per esempio, possono proclamare scioperi solo i sindacati più significativi.
Nella normativa che sta uscendo dal Ministero del Lavoro, c’è una novità quanto meno interessante: nei settori di particolare importanza i lavoratori potranno avere l’obbligo di presenza nonostante la protesta: la paga finirebbe in un fondo di solidarietà; si tratterebbe in questo caso di uno “sciopero virtuale” con cui i lavoratori dichiarano il proprio malcontento, ma senza che gli utenti del servizio ne vengano danneggiati.
Sia quest’ultima particolare normativa che quella riguardante il referendum tra i lavoratori in caso di una rappresentanza inferiore al 51%, fanno parte di idee di Marco Biagi, da lui espresse fin dal 2001 e mai attuate da nessun Governo.
Il perché è presto detto: toccare i sindacati è solo un po’ meno pericoloso del cercare di legiferare sulla magistratura; nella migliore delle ipotesi si arriva ad ottenere dichiarazioni del tipo: “siamo d’accordo che gli scioperi sono da disciplinare, ma questo deve avvenire d’accordo con i sindacati”.
Questa dichiarazione è dell’ex Ministro Tiziano Treu, il quale peraltro mi dovrebbe spiegare come sia possibile fare qualunque cosa se uno dei sindacati interessati pone dei vincoli che sono talmente “pesanti” dall’apparire dei veri e propri veti.
E qui infatti c’è la risposta al perché la norma sugli scioperi sia stata più volte avviata ma mai definita; perché – come in tanti altri campi della nostra vita – si afferma da parte di Qualcuno (notare il maiuscolo) che si deve cercare la concertazione prima di varare la norma: ma se uno degli invitati al tavolo della trattativa pone solo dei “no” – che assomigliano a veti – come è possibile procedere?
Io credo che in democrazia la maggioranza si debba assumere le proprie responsabilità e legiferare con il consenso ricevuto dai voti della gente, altrimenti come possiamo poi criticare il Governo? Questo andazzo gli fornisce gli alibi!!
giovedì, febbraio 26, 2009
CI SONO ANCHE UN PAIO DI COSE INTERESSANTI
Nel grigiore della nostra vita oppressa dai problemi innescati dalla famosa – e stramaledetta – crisi mondiale, ci sono un paio di notizie che inducono se non proprio al sorriso, almeno a non arrabbiarsi con la consueta puntualità che ci prende per i tanti esempi di brutte cose in giro per il pianeta.
La prima è l’attacco concentrico di U.S.A. e U.E. ai paradisi fiscali, con la prima vittoria fatta registrare nella battaglia contro gli evasori che riparano in Svizzera; sissignori, il paradiso fiscale per eccellenza, ha abbassato le armi e la UBS – Union des Banques Suisse, ha acconsentito a comunicare al fisco americano i nomi di 19.000 tax payers e di pagare 780milioni di dollari per profitti e tasse non dovute.
La molla che ha fatto muovere la banca svizzera è stata la minaccia di essere trascinata in giudizio con l’accusa di “partecipazione a uno schema volto a truffare gli Stati Uniti”; forse è presto per dire che il muro del segreto bancario è completamente abbattuto, ma certo che la breccia è molto ampia.
E questo perché la banca in questione non naviga in acque floridissime ed anzi – allo stesso modo di tante altre aziende di credito – ha chiesto aiuto allo stato che si è dichiarato disponibile a far fronte ai problemi dell’istituzione creditizia, ma non certo ad essere trascinato in tribunale al fianco dell’UBS per rispondere di reati contro altri Stati.
L’altra notizia che mi ha fatto increspare il labbro, proviene dalla sponda PD, laddove il nuovissimo segretario – sia pure a termine – ha mostrato di avere le palle al posto giusto ed ha risposto in modo pepato al Professor Veronesi che gli aveva indirizzato una missiva sul problema del testamento biologico in cui invitata il partito a prendere una posizione più netta e più di rottura circa il problema etico, una posizione che fosse più improntata alla laicità dello Stato.
Queste “raccomandazioni” – alla destra da parte di Cardinali e emissari pontifici, alla sinistra da illustri intellettuali targati “SX” – sono una delle cose che mi hanno sempre fatto infuriare e partono dal presupposto che “parlare e parlare” non costa niente a questi soloni, mentre i destinatari, si vedono costretti ad accettare reprimende e/o consigli di ogni genere pena la perdita della faccia.
Ebbene, l’implume Franceschini, ha così replicato all’intoccabile Veronesi – che comincia ad avere la sua età – “ho letto con molta attenzione la lettera di Veronesi ma, con tutto il rispetto per l’autorevolezza, la linea su questi temi la decide il partito e i gruppi parlamentari e nessuno ce la può dettare”.
Complimenti, signor segretario, finalmente un uomo politico che mette a posto questi signori che parlano soprattutto perché non hanno niente da perdere; complimenti anche per la riaffermazione della priorità della politica anche su temi etici.
Adesso sto aspettando che sull’onda di questa coraggiosa presa di posizione, anche dalla parte opposta i vari Berlusconi, Maroni e compagnia bella, si comportino con uguale coraggio quando i vari Cardinali, Vescovi od anche semplici preti, cercano di dettare la linea politica del partito, allineandolo a quella – per la verità assai ondivaga – delle istituzioni vaticane.
In concreto, la prossima volta che un ecclesiastico protesta per una norma che il Governo ha in animo di prendere (per esempio sul problema dell’immigrazione) gli si risponda che ognuno faccia le cose secondo la propria coscienza e che la politica venga affidata solo a chi la esercita per diretta discendenza da un voto popolare e non da una “nomina”. Se non vi riesce andate a ripetizione da Franceschini!!
La prima è l’attacco concentrico di U.S.A. e U.E. ai paradisi fiscali, con la prima vittoria fatta registrare nella battaglia contro gli evasori che riparano in Svizzera; sissignori, il paradiso fiscale per eccellenza, ha abbassato le armi e la UBS – Union des Banques Suisse, ha acconsentito a comunicare al fisco americano i nomi di 19.000 tax payers e di pagare 780milioni di dollari per profitti e tasse non dovute.
La molla che ha fatto muovere la banca svizzera è stata la minaccia di essere trascinata in giudizio con l’accusa di “partecipazione a uno schema volto a truffare gli Stati Uniti”; forse è presto per dire che il muro del segreto bancario è completamente abbattuto, ma certo che la breccia è molto ampia.
E questo perché la banca in questione non naviga in acque floridissime ed anzi – allo stesso modo di tante altre aziende di credito – ha chiesto aiuto allo stato che si è dichiarato disponibile a far fronte ai problemi dell’istituzione creditizia, ma non certo ad essere trascinato in tribunale al fianco dell’UBS per rispondere di reati contro altri Stati.
L’altra notizia che mi ha fatto increspare il labbro, proviene dalla sponda PD, laddove il nuovissimo segretario – sia pure a termine – ha mostrato di avere le palle al posto giusto ed ha risposto in modo pepato al Professor Veronesi che gli aveva indirizzato una missiva sul problema del testamento biologico in cui invitata il partito a prendere una posizione più netta e più di rottura circa il problema etico, una posizione che fosse più improntata alla laicità dello Stato.
Queste “raccomandazioni” – alla destra da parte di Cardinali e emissari pontifici, alla sinistra da illustri intellettuali targati “SX” – sono una delle cose che mi hanno sempre fatto infuriare e partono dal presupposto che “parlare e parlare” non costa niente a questi soloni, mentre i destinatari, si vedono costretti ad accettare reprimende e/o consigli di ogni genere pena la perdita della faccia.
Ebbene, l’implume Franceschini, ha così replicato all’intoccabile Veronesi – che comincia ad avere la sua età – “ho letto con molta attenzione la lettera di Veronesi ma, con tutto il rispetto per l’autorevolezza, la linea su questi temi la decide il partito e i gruppi parlamentari e nessuno ce la può dettare”.
Complimenti, signor segretario, finalmente un uomo politico che mette a posto questi signori che parlano soprattutto perché non hanno niente da perdere; complimenti anche per la riaffermazione della priorità della politica anche su temi etici.
Adesso sto aspettando che sull’onda di questa coraggiosa presa di posizione, anche dalla parte opposta i vari Berlusconi, Maroni e compagnia bella, si comportino con uguale coraggio quando i vari Cardinali, Vescovi od anche semplici preti, cercano di dettare la linea politica del partito, allineandolo a quella – per la verità assai ondivaga – delle istituzioni vaticane.
In concreto, la prossima volta che un ecclesiastico protesta per una norma che il Governo ha in animo di prendere (per esempio sul problema dell’immigrazione) gli si risponda che ognuno faccia le cose secondo la propria coscienza e che la politica venga affidata solo a chi la esercita per diretta discendenza da un voto popolare e non da una “nomina”. Se non vi riesce andate a ripetizione da Franceschini!!
mercoledì, febbraio 25, 2009
SOLDI AI NANETTI
Ricorderete che alcuni giorni or sono abbiamo fatto alcuni commenti circa la dipendenza tra crisi economico/finanziaria e diminuzione dei posti di lavoro.
Ebbene, in questo settore possiamo registrare una buona notizia in quanto al nostro Senato è passata una norma che in pratica – ai fini dei rimborsi elettorali –vanificherà lo sbarramento del 4% per le prossime elezioni europee.
Originariamente la proposta era di indicare l’1% quale sbarramento – ripeto solo ai fini pecuniari – ma i nostri parlamentari hanno fatto uno sforzo non indifferente e sono riusciti a fare alzare la soglia al 2%; il provvedimento di legge, a firma dell’onorevole Sposetti, ex Tesoriere DS, con quest’ultima soglia, è stato approvato all’unanimità e così il “partito dei nanetti”, sia pure non rappresentato al Parlamento Europeo, si porterà a casa un bel pacco di euro.
Fino all’approvazione della famigerata legge, gli esclusi potevano contare sui rimborsi per le politiche del 2006 e, dopo, quello per le politiche 2008, delle quali – pur non avendo alcun eletto – si portano a casa 1milione e 858mila euro per la “Sinistra Arcobaleno”, 498mila euro per il “Partito Socialista” ed altri spiccioli per altri raggruppamenti. In concreto, quindi, con le europee del 2009 i nanetti si assicurano una bella fetta di esistenza, che diventerà addirittura “dorata” in quanto non ci saranno spese da sostenere, ma solo euro da incassare.
E così, viene vanificato il desiderio dei contribuenti di cacciare i piccoli partiti, in quanto la Casta – connivente con loro, in quanto “non si sa mai” – assicura la loro prossima esistenza; e sapete la motivazione addotta? “La norma mira a consentire a tutte le forze politiche di avere agibilità anche fuori del Parlamento”.
Guardate bene dove sta l’inciucio: il PD e il PDL votano insieme per instaurare una soglia di sbarramento uguale a quello già esistente nella norma elettorale per le politiche in Italia (4%); i nanetti uniti insieme – solo per i soldi riescono ad unirsi – brigano per pietire un po’ di quattrini e “i grandi” – vanificando la originaria volontà di snellire la pletora di partiti – consentono questa munifica elargizione.
E proprio in questo momento di crisi in cui anche Il Quirinale riduce le proprie spese, la Casta non recede dal mostrare la propria disponibilità allo spreco; ho detto spreco e lo sottolineo, in quanto mi devono dire che cosa significano questi contributi dati a dei partiti che non hanno diritto di tribuna in nessun Parlamento, né in quello nazionale e neppure in quello europeo.
I soldi che vengono sprecati per far vivere lussuosamente una manica di dirigenti trombati e falliti (politicamente) potevano essere meglio impiegati in altre soluzioni sociali che avrebbero significato qualcosa di importante per svariati cittadini italiani con il bilancio attanagliato dalla crisi.
Senza voler fare un esempio, perché non c’entra niente e il paragone è improponibile, ma tanto per dire: il Presidente Obama, in ottemperanza alla promessa elettorale, ha ridotto le tasse al 95% dei lavoratori americani e le ha aumentate a chi guadagna più di 250mila dollari all’anno (196mila euro).
Per effetto di tale impostazione fiscale, viene calcolato che ciascuna famiglia americana media avrà in tasca 65 dollari (51 euro) al mese in più; non sarà un granché, anzi è paragonabile alla social card italiana, ma ha una diversa impostazione, in quanto si vede una parallela diminuzione degli introiti dei ricchi e questo è proprio l’immagine che la gente desidera ricevere. Chiaro il concetto??
Ebbene, in questo settore possiamo registrare una buona notizia in quanto al nostro Senato è passata una norma che in pratica – ai fini dei rimborsi elettorali –vanificherà lo sbarramento del 4% per le prossime elezioni europee.
Originariamente la proposta era di indicare l’1% quale sbarramento – ripeto solo ai fini pecuniari – ma i nostri parlamentari hanno fatto uno sforzo non indifferente e sono riusciti a fare alzare la soglia al 2%; il provvedimento di legge, a firma dell’onorevole Sposetti, ex Tesoriere DS, con quest’ultima soglia, è stato approvato all’unanimità e così il “partito dei nanetti”, sia pure non rappresentato al Parlamento Europeo, si porterà a casa un bel pacco di euro.
Fino all’approvazione della famigerata legge, gli esclusi potevano contare sui rimborsi per le politiche del 2006 e, dopo, quello per le politiche 2008, delle quali – pur non avendo alcun eletto – si portano a casa 1milione e 858mila euro per la “Sinistra Arcobaleno”, 498mila euro per il “Partito Socialista” ed altri spiccioli per altri raggruppamenti. In concreto, quindi, con le europee del 2009 i nanetti si assicurano una bella fetta di esistenza, che diventerà addirittura “dorata” in quanto non ci saranno spese da sostenere, ma solo euro da incassare.
E così, viene vanificato il desiderio dei contribuenti di cacciare i piccoli partiti, in quanto la Casta – connivente con loro, in quanto “non si sa mai” – assicura la loro prossima esistenza; e sapete la motivazione addotta? “La norma mira a consentire a tutte le forze politiche di avere agibilità anche fuori del Parlamento”.
Guardate bene dove sta l’inciucio: il PD e il PDL votano insieme per instaurare una soglia di sbarramento uguale a quello già esistente nella norma elettorale per le politiche in Italia (4%); i nanetti uniti insieme – solo per i soldi riescono ad unirsi – brigano per pietire un po’ di quattrini e “i grandi” – vanificando la originaria volontà di snellire la pletora di partiti – consentono questa munifica elargizione.
E proprio in questo momento di crisi in cui anche Il Quirinale riduce le proprie spese, la Casta non recede dal mostrare la propria disponibilità allo spreco; ho detto spreco e lo sottolineo, in quanto mi devono dire che cosa significano questi contributi dati a dei partiti che non hanno diritto di tribuna in nessun Parlamento, né in quello nazionale e neppure in quello europeo.
I soldi che vengono sprecati per far vivere lussuosamente una manica di dirigenti trombati e falliti (politicamente) potevano essere meglio impiegati in altre soluzioni sociali che avrebbero significato qualcosa di importante per svariati cittadini italiani con il bilancio attanagliato dalla crisi.
Senza voler fare un esempio, perché non c’entra niente e il paragone è improponibile, ma tanto per dire: il Presidente Obama, in ottemperanza alla promessa elettorale, ha ridotto le tasse al 95% dei lavoratori americani e le ha aumentate a chi guadagna più di 250mila dollari all’anno (196mila euro).
Per effetto di tale impostazione fiscale, viene calcolato che ciascuna famiglia americana media avrà in tasca 65 dollari (51 euro) al mese in più; non sarà un granché, anzi è paragonabile alla social card italiana, ma ha una diversa impostazione, in quanto si vede una parallela diminuzione degli introiti dei ricchi e questo è proprio l’immagine che la gente desidera ricevere. Chiaro il concetto??
martedì, febbraio 24, 2009
GLI OSCAR 2009
Mi è sembrato interessante mettere on-line l’articolo integrale da me scritto nello scorso dicembre per una Rivista del settore sul film che ha fatto man bassa di Premi alla recente rassegna degli Oscar 2009, cioè “The Millionaire” del regista Danny Boyle:
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E’ la storia di Jamal e della rocambolesca vincita di 20 milioni di rupie (circa 420.000 dollari) cifra massima di ogni tempo per l’edizione indiana del quiz “Chi vuol essere milionario”; Jamal è un giovanissimo indiano di appena 18 anni che si ritrova a partecipare al concorso televisivo, ma all’inizio del film lo incontriamo presso una stazione di Polizia dove un grasso e burbero sergente lo interroga e lo picchia per ottenere delle risposte al seguente quesito: come ha fatto a rispondere a tutte le domande che gli sono state poste fino a quel momento? Chi è che gli ha fornito le risposte? Subito dopo arriva l’Ispettore e anch’esso continua l’interrogatorio, integrato da alcune torture elettriche che, comunque, non inducono il ragazzo a parlare; vista questa strenua resistenza, il poliziotto inizia ad interrogare Jamal e scopre che ciascuna domanda che gli è stata posta durante il quiz, ha ottenuto risposta in quanto durante la sua breve ma intensa vita vissuta, gli è capitato di imbattersi in quella situazione e quindi il sapere la risposta è un gioco da ragazzi; e così conosciamo il piccolo Jamal, nato in una fetida baraccopoli alla periferia di Bombay, è dedito a qualunque azione pur di portare a casa qualche soldo, dall’accattonaggio alla vendita di cianfrusaglie, dalle piccole truffe alle situazione via via sempre più pericolose.
Le avventure di Jamal si svolgono sempre insieme al fratello maggiore, Salim e i due prendono a chiamarsi “I due moschettieri” (Athos e Portos); quando incontrano la piccola Latika, la fanno entrare in combutta con loro come “terzo moschettiere”, anche se non le viene assegnato il nome specifico.
Si arriva all’adolescenza e un mascalzone locale li ingaggia per far parte di un gruppo di mendicanti: assistono all’accecamento di uno del gruppo (un cieco nel gruppo porta più soldi) e riescono a fuggire per merito di Selim che si comporta da vero eroe; i tre si sparpagliano e Jamal, dedito a piccoli commerci sotterranei, rimane innamorato di Latika e continua a cercarla, ma senza risultato.
I ragazzi crescono e mentre Jamal è diventato il ragazzo del tè in un call center, Salim ha scelto la strada del crimine, diventando il guardaspalle di un bieco gangster locale che si è preso anche la ragazzina, Latina, come amante; sempre alla ricerca del perduto amore, Jamal decide di partecipare alla trasmissione a quiz che, in India, è quella più vista in assoluto e infatti il giovane parteciperà solo per farsi vedere da Latika, sperando così che essa lo contatti.
Mano a mano che Jamal dipana il racconto, il poliziotto comincia a credere sempre più al giovane e a rendersi conto che in effetti la vita del ragazzo è stata talmente piena di eventi da avergli fornito – direttamente o indirettamente – le risposte a tutti i quiz che gli sono stati presentati.
Arriviamo alla penultima serata e Jamal, vincitore di 10 milioni di rupie, decide di raddoppiare; a questo punto il presentatore della trasmissione – invidioso della vincita e del successo popolare di Jamal – denuncia il ragazzo alla Polizia che lo arresta e lo sottopone all’interrogatorio che ho sopra accennato.
Intanto Latika “vede Jamal alla TV e vorrebbe raggiungerlo, ma le difficoltà sono insuperabili; sarà Salim ad aiutarla ed a riscattare così la propria esistenza, sacrificando la propria vita per permettere la fuga di Latika dalle grinfie del gangster; nell’ultima trasmissione il giovane deve rispondere a una domanda che riguarda il libro della loro infanzia (I tre moschettieri) e gli viene chiesto di dire il nome del terzo moschettiere (dopo Athos e Portos); il ragazzo non lo sa, in quanto è il personaggio assegnato alla bambina che non ha mai avuto un nome; tenta la risposta su “Aramis” e vince tra il tripudio generale; la ragazza lo sta aspettando al loro solito posto – alla Stazione Vittoria – e così il lieto fine è assicurato: i due giovani sono vincitori sia in TV che nella vita, il fratello Salim si è rivalutato con il gesto finale, il bieco gangster muore per mano del suo guardaspalle e il presentatore televisivo deve inghiottire la vittoria del giovane e la popolarità dello stesso.
La struttura narrativa è condotta a flash-back in quanto si inizia dalla penultima domanda che il presentatore rivolge a Jamal e si arriva all’ultima, ma passando da tutto il racconto della vita del giovane, quel racconto che viene utilizzato per le risposte alle domande; data questa incastellatura di ordine generale, possiamo dividere la vicenda in tre parti, con un epilogo: la prima ci mostra i ragazzi ancora piccoli, diciamo tra i cinque e gli otto anni, che vivono nella Bombay delle baraccopoli, con tutta questa gran massa di umanità sofferente che cerca di sbarcare il lunario: i due fratelli, a cui si aggiunge presto la ragazzina, vivono spensieratamente e sembrano non vedere le brutture in cui è ridotta questa parte dell’India; anche le sofferenze, le fughe e gli inseguimenti della Polizia o di qualcuno che è stato truffato, vengono vissuti come un modo per “crescere” e fare esperienza.
Nella seconda parte abbiamo i tre giovani che sono passati all’adolescenza e in questa età cominciano le malizie, le situazioni particolari, ma sempre votate a procurarsi il fabbisogno per tirare avanti: è in questa parte del film che nasce l’amore – che diverrà incancellabile – tra Jamal e Latika, che porterà alla separazione dei ragazzi ed alla loro vana ricerca: ognuno di loro sembra avere scelto una strada diversa e, in quei 19 milioni di esseri umani che popolano la megalopoli, sarà difficile che si rincontrino.
La terza parte ha luogo anzitutto nella Mombai che è sbocciata sulle ceneri di Bombay: è una metropoli fitta di grattacieli e di strade brulicanti di automobili, di grandi Banche e di manager indaffarati; in questo contesto è logicamente imperante la televisione e, in particolare “Chi vuol essere milionario”, trasmissione più vista in assoluto e dal grande fascino per tutti coloro che la seguono; è a questo mezzo, nuovissimo, che Jamal affida la sua ultima speranza di trovare Latika; tra l’altro c’è da aggiungere – a titolo di cronaca – che il format televisivo della trasmissione è lo stesso di quello che vediamo in Italia, uguali addirittura anche le musiche di scena e della sigla; il presentatore – collocato allo stesso modo nello studio televisivo – è piuttosto antipatico, a differenza della innata simpatia che scaturisce dal nostro rubicondo Gerry Scotti.
Dell’epilogo ho già accennato: tutte le tessere del mosaico vanno al loro posto, a cominciare dai due giovani che si ritrovano e si giurano eterno amore, per passare al fratello, Salim, che riscatta con il proprio sacrificio la scelta di vita dedita alla criminalità.
Come impostazione narrativa ai fini del racconto, l’autore si preoccupa di fare emergere – da ciascuna domanda che Jamal deve ricondurre alla sua esperienza diretta – le grandi disuguaglianze di questo grandissimo Paese e le differenze di casta che aleggiano in modo sostanziale in tutta la narrazione; questa idea tematica aleggia sull’ìntera vicenda e diventa una sorta di ambito narrativo.
Tutto questo per portare avanti il discorso che preme all’autore e che, magari ci sembrerà un po’ semplicistico: l’amore trionfa sempre e comunque e la fraternità è un sentimento che travalica qualsiasi ostacolo e al momento opportuno mostrerà la sua importanza; infatti, i due fratelli, distanti per anni, al momento in cui si ritrovano è come se non si fossero mai lasciati: Salim è pronto a sacrificare la vita per aiutare il fratello nel ricongiungimento con l’amata fanciulla; e la ragazza, ormai introdotta in una vita di schiava, sia pure con belle vesti e belle case, nel ritrovare l’amato bene non ha dubbi sulla strada da scegliere: anch’essa rischierà la vita per poter ricongiungersi con Jamal.
E Jamal, in fondo, dopo aver conquistato il premio - “io non concorro per i soldi, ma per farmi vedere da una ragazza che ho perduto” – avrà il suo vero e agognato premio, l’amore di Latika e la prospettiva di una vita futura serena e costellata da tanti piccoli e borghesi bambini, cioè tutto il contrario di quella che hanno vissuto loro (Jamal e Salim) soltanto una diecina di anni prima.
L’autore del film è un inglese di poco più di 50 anni, divenuto famoso al grande pubblico nel 2002 per “Trainspotting”, visto da mezzo mondo e che ha fruttato al regista fama e denaro; in questo film, girato in India, le tematiche rutilanti dei film prodotti a Bollywood, vengono usate per ricavare dei messaggi di speranza e le atmosfere coloratissime dell’India attuale ci mostrano alcune trasformazioni del grande sub continente indiano, trasformazioni che ancora peraltro paiano tutt’altro che risolutive socialmente per la marea sterminata di indiani.
Ho parlato di speranza e lo voglio ribadire: questo sentimento traspare nelle facce di tutti i telespettatori che seguono con attenzione il quiz e su questo compiono quell’operazione di identificazione che li porta a sopportare tutte le mostruose contraddizioni della megalopoli indiana; ma Boyle conduce il suo protagonista ad una realizzazione diversa da quella che tutti sperano: Jamal si realizzerà nel sentimento dell’amore, unico autentico e salvifico elemento per uscire dalle turpitudini di questo mondo.
Il film è ben fatto, con un ritmo eccezionale e con una fotografia sempre viva e attenta alla espressione dell’idea; gli attori seguono i desideri dell’autore e quindi la confezione dell’opera non può essere che gradevole: ne è valente riprova il successo al Festival di Toronto, al quale ha seguito un altrettanti vivo successo in Italia, sia pure con le poche copie messe a disposizione della distribuzione.
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E’ la storia di Jamal e della rocambolesca vincita di 20 milioni di rupie (circa 420.000 dollari) cifra massima di ogni tempo per l’edizione indiana del quiz “Chi vuol essere milionario”; Jamal è un giovanissimo indiano di appena 18 anni che si ritrova a partecipare al concorso televisivo, ma all’inizio del film lo incontriamo presso una stazione di Polizia dove un grasso e burbero sergente lo interroga e lo picchia per ottenere delle risposte al seguente quesito: come ha fatto a rispondere a tutte le domande che gli sono state poste fino a quel momento? Chi è che gli ha fornito le risposte? Subito dopo arriva l’Ispettore e anch’esso continua l’interrogatorio, integrato da alcune torture elettriche che, comunque, non inducono il ragazzo a parlare; vista questa strenua resistenza, il poliziotto inizia ad interrogare Jamal e scopre che ciascuna domanda che gli è stata posta durante il quiz, ha ottenuto risposta in quanto durante la sua breve ma intensa vita vissuta, gli è capitato di imbattersi in quella situazione e quindi il sapere la risposta è un gioco da ragazzi; e così conosciamo il piccolo Jamal, nato in una fetida baraccopoli alla periferia di Bombay, è dedito a qualunque azione pur di portare a casa qualche soldo, dall’accattonaggio alla vendita di cianfrusaglie, dalle piccole truffe alle situazione via via sempre più pericolose.
Le avventure di Jamal si svolgono sempre insieme al fratello maggiore, Salim e i due prendono a chiamarsi “I due moschettieri” (Athos e Portos); quando incontrano la piccola Latika, la fanno entrare in combutta con loro come “terzo moschettiere”, anche se non le viene assegnato il nome specifico.
Si arriva all’adolescenza e un mascalzone locale li ingaggia per far parte di un gruppo di mendicanti: assistono all’accecamento di uno del gruppo (un cieco nel gruppo porta più soldi) e riescono a fuggire per merito di Selim che si comporta da vero eroe; i tre si sparpagliano e Jamal, dedito a piccoli commerci sotterranei, rimane innamorato di Latika e continua a cercarla, ma senza risultato.
I ragazzi crescono e mentre Jamal è diventato il ragazzo del tè in un call center, Salim ha scelto la strada del crimine, diventando il guardaspalle di un bieco gangster locale che si è preso anche la ragazzina, Latina, come amante; sempre alla ricerca del perduto amore, Jamal decide di partecipare alla trasmissione a quiz che, in India, è quella più vista in assoluto e infatti il giovane parteciperà solo per farsi vedere da Latika, sperando così che essa lo contatti.
Mano a mano che Jamal dipana il racconto, il poliziotto comincia a credere sempre più al giovane e a rendersi conto che in effetti la vita del ragazzo è stata talmente piena di eventi da avergli fornito – direttamente o indirettamente – le risposte a tutti i quiz che gli sono stati presentati.
Arriviamo alla penultima serata e Jamal, vincitore di 10 milioni di rupie, decide di raddoppiare; a questo punto il presentatore della trasmissione – invidioso della vincita e del successo popolare di Jamal – denuncia il ragazzo alla Polizia che lo arresta e lo sottopone all’interrogatorio che ho sopra accennato.
Intanto Latika “vede Jamal alla TV e vorrebbe raggiungerlo, ma le difficoltà sono insuperabili; sarà Salim ad aiutarla ed a riscattare così la propria esistenza, sacrificando la propria vita per permettere la fuga di Latika dalle grinfie del gangster; nell’ultima trasmissione il giovane deve rispondere a una domanda che riguarda il libro della loro infanzia (I tre moschettieri) e gli viene chiesto di dire il nome del terzo moschettiere (dopo Athos e Portos); il ragazzo non lo sa, in quanto è il personaggio assegnato alla bambina che non ha mai avuto un nome; tenta la risposta su “Aramis” e vince tra il tripudio generale; la ragazza lo sta aspettando al loro solito posto – alla Stazione Vittoria – e così il lieto fine è assicurato: i due giovani sono vincitori sia in TV che nella vita, il fratello Salim si è rivalutato con il gesto finale, il bieco gangster muore per mano del suo guardaspalle e il presentatore televisivo deve inghiottire la vittoria del giovane e la popolarità dello stesso.
La struttura narrativa è condotta a flash-back in quanto si inizia dalla penultima domanda che il presentatore rivolge a Jamal e si arriva all’ultima, ma passando da tutto il racconto della vita del giovane, quel racconto che viene utilizzato per le risposte alle domande; data questa incastellatura di ordine generale, possiamo dividere la vicenda in tre parti, con un epilogo: la prima ci mostra i ragazzi ancora piccoli, diciamo tra i cinque e gli otto anni, che vivono nella Bombay delle baraccopoli, con tutta questa gran massa di umanità sofferente che cerca di sbarcare il lunario: i due fratelli, a cui si aggiunge presto la ragazzina, vivono spensieratamente e sembrano non vedere le brutture in cui è ridotta questa parte dell’India; anche le sofferenze, le fughe e gli inseguimenti della Polizia o di qualcuno che è stato truffato, vengono vissuti come un modo per “crescere” e fare esperienza.
Nella seconda parte abbiamo i tre giovani che sono passati all’adolescenza e in questa età cominciano le malizie, le situazioni particolari, ma sempre votate a procurarsi il fabbisogno per tirare avanti: è in questa parte del film che nasce l’amore – che diverrà incancellabile – tra Jamal e Latika, che porterà alla separazione dei ragazzi ed alla loro vana ricerca: ognuno di loro sembra avere scelto una strada diversa e, in quei 19 milioni di esseri umani che popolano la megalopoli, sarà difficile che si rincontrino.
La terza parte ha luogo anzitutto nella Mombai che è sbocciata sulle ceneri di Bombay: è una metropoli fitta di grattacieli e di strade brulicanti di automobili, di grandi Banche e di manager indaffarati; in questo contesto è logicamente imperante la televisione e, in particolare “Chi vuol essere milionario”, trasmissione più vista in assoluto e dal grande fascino per tutti coloro che la seguono; è a questo mezzo, nuovissimo, che Jamal affida la sua ultima speranza di trovare Latika; tra l’altro c’è da aggiungere – a titolo di cronaca – che il format televisivo della trasmissione è lo stesso di quello che vediamo in Italia, uguali addirittura anche le musiche di scena e della sigla; il presentatore – collocato allo stesso modo nello studio televisivo – è piuttosto antipatico, a differenza della innata simpatia che scaturisce dal nostro rubicondo Gerry Scotti.
Dell’epilogo ho già accennato: tutte le tessere del mosaico vanno al loro posto, a cominciare dai due giovani che si ritrovano e si giurano eterno amore, per passare al fratello, Salim, che riscatta con il proprio sacrificio la scelta di vita dedita alla criminalità.
Come impostazione narrativa ai fini del racconto, l’autore si preoccupa di fare emergere – da ciascuna domanda che Jamal deve ricondurre alla sua esperienza diretta – le grandi disuguaglianze di questo grandissimo Paese e le differenze di casta che aleggiano in modo sostanziale in tutta la narrazione; questa idea tematica aleggia sull’ìntera vicenda e diventa una sorta di ambito narrativo.
Tutto questo per portare avanti il discorso che preme all’autore e che, magari ci sembrerà un po’ semplicistico: l’amore trionfa sempre e comunque e la fraternità è un sentimento che travalica qualsiasi ostacolo e al momento opportuno mostrerà la sua importanza; infatti, i due fratelli, distanti per anni, al momento in cui si ritrovano è come se non si fossero mai lasciati: Salim è pronto a sacrificare la vita per aiutare il fratello nel ricongiungimento con l’amata fanciulla; e la ragazza, ormai introdotta in una vita di schiava, sia pure con belle vesti e belle case, nel ritrovare l’amato bene non ha dubbi sulla strada da scegliere: anch’essa rischierà la vita per poter ricongiungersi con Jamal.
E Jamal, in fondo, dopo aver conquistato il premio - “io non concorro per i soldi, ma per farmi vedere da una ragazza che ho perduto” – avrà il suo vero e agognato premio, l’amore di Latika e la prospettiva di una vita futura serena e costellata da tanti piccoli e borghesi bambini, cioè tutto il contrario di quella che hanno vissuto loro (Jamal e Salim) soltanto una diecina di anni prima.
L’autore del film è un inglese di poco più di 50 anni, divenuto famoso al grande pubblico nel 2002 per “Trainspotting”, visto da mezzo mondo e che ha fruttato al regista fama e denaro; in questo film, girato in India, le tematiche rutilanti dei film prodotti a Bollywood, vengono usate per ricavare dei messaggi di speranza e le atmosfere coloratissime dell’India attuale ci mostrano alcune trasformazioni del grande sub continente indiano, trasformazioni che ancora peraltro paiano tutt’altro che risolutive socialmente per la marea sterminata di indiani.
Ho parlato di speranza e lo voglio ribadire: questo sentimento traspare nelle facce di tutti i telespettatori che seguono con attenzione il quiz e su questo compiono quell’operazione di identificazione che li porta a sopportare tutte le mostruose contraddizioni della megalopoli indiana; ma Boyle conduce il suo protagonista ad una realizzazione diversa da quella che tutti sperano: Jamal si realizzerà nel sentimento dell’amore, unico autentico e salvifico elemento per uscire dalle turpitudini di questo mondo.
Il film è ben fatto, con un ritmo eccezionale e con una fotografia sempre viva e attenta alla espressione dell’idea; gli attori seguono i desideri dell’autore e quindi la confezione dell’opera non può essere che gradevole: ne è valente riprova il successo al Festival di Toronto, al quale ha seguito un altrettanti vivo successo in Italia, sia pure con le poche copie messe a disposizione della distribuzione.
lunedì, febbraio 23, 2009
DARIO, IL TRAGHETTATORE
La pletorica assemblea del PD ha nominato Dario Franceschini – già vice di Veltroni – alla carica di Segretario, almeno fino all’ottobre prossimo; come avviene in questi casi si parla di “discontinuità” e si elegge il vice di quello che – a detta degli iscritti PD – ha combinato più guai che cose buone: alla faccia della logica!
Nel discorso di investitura, Franceschini si è rivolto alle masse catto/comuniste, invitandole alla massima unità di intenti: la classe dirigente non ha dato il buon esempio in quanto né Veltroni né D’Alema erano presenti all’Assemblea.
La patata che gli è stata consegnata è veramente bollente, in quanto il partito è reduce da una serie di sconfitte, interrotte solo dalla vittoria di Dallai in Trentino; da notare che in quest’ultima circostanza il PD si è presentato insieme a tutte le altre forze di sinistra e con questo sistema ha ottenuto la vittoria.
Una cosa che è certamente mancata alla chiusura della fase veltroniana del partito è la rivelazione alle “gente” degli errori commessi dalla coppia Veltroni - Franceschini; forse, ripartire dall’identificazione e ammissione di errori compiuti in passato, avrebbe facilitato la ricostruzione del partito sulle macerie della sconfitta sarda: si è preferito scimmiottare il comportamento di Berlusconi e demonizzare l’avversario.
È indubbio che il connubio di due partiti che si uniscono per formarne un terzo, ha rappresentato un’impresa non di poco conto, tant’è vero che gli stimoli a riprendere ognuno la propria libertà sono e restano fortissimi; diversi dirigenti dell’anima DC, in queste ore, si stanno interessando al lancio del nuovo partito che dovrebbe coagularsi attorno all’UDC di Casini e che dovrebbe raccogliere frange di tante coalizioni ora esistenti, il tutto votato alla tanto sospirata costruzione di un autentico centro moderato, attrazione per buona parte dell’elettorato italiano: insomma rifare la DC!!
Franceschini ha detto una cosa bellissima e rischiosa, cioè ha affermato che “sarò io a fare le nomine, me ne assumerò le responsabilità e che nessuno di quelli che stanno applaudendo ora, venga da me per chiedere nomine”; ed ha aggiunto “il mio lavoro avrà termine ad ottobre e fino ad allora non avrò né padrini né protettori; le vecchie personalità verranno ascoltate ma non coinvolte nelle decisioni”.
Sono affermazioni di maniera per tirare su il morale di una platea abbacchiata o sono dichiarazioni che – pur con il rischio del velleitarismo – tentano un sostanziale cambiamento del sistema partito? L’uomo solo che comanda e tutti gli altri che ubbidiscono e basta è aspirazione di molti; per la verità il buon Berlusconi viene attaccato da tutti per questo atteggiamento, ma lasciamo correre.
Quel che resta della giornata romana, si può ricondurre a due concetti: il primo è quello che la gente comune, gli iscritti, hanno le scatole piene delle diatribe tra i due galletti (Veltroni e D’Alema) e sono stufi di assistere a piccoli (ma grossi) litigi tra i due, senza che ne venga a galla la vera identità e la seconda è l’assenza di questi due che hanno preferito “non esporsi” alle possibili contumelie della platea.
Comunque, a margine dell’Assemblea del PD, ci sarebbe da citare un articolo apparso sul “Time” in cui si incorona il neo candidato a Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, come unica figura che potrebbe incarnare l’Obama italiano: “è giovane, internettiano (cioè usa internet), pragmatico e quindi potrebbe essere il personaggio ideale a sostituire Veltroni alla guida del PD”; la replica di Renzi è tipica del bravo ragazzo ma un po’ figlio di buona donna: “sono lusingato dell’attenzione ma il paragone non regge”; mi chiedo: il paragone con chi, con Obama o con Veltroni?
Nel discorso di investitura, Franceschini si è rivolto alle masse catto/comuniste, invitandole alla massima unità di intenti: la classe dirigente non ha dato il buon esempio in quanto né Veltroni né D’Alema erano presenti all’Assemblea.
La patata che gli è stata consegnata è veramente bollente, in quanto il partito è reduce da una serie di sconfitte, interrotte solo dalla vittoria di Dallai in Trentino; da notare che in quest’ultima circostanza il PD si è presentato insieme a tutte le altre forze di sinistra e con questo sistema ha ottenuto la vittoria.
Una cosa che è certamente mancata alla chiusura della fase veltroniana del partito è la rivelazione alle “gente” degli errori commessi dalla coppia Veltroni - Franceschini; forse, ripartire dall’identificazione e ammissione di errori compiuti in passato, avrebbe facilitato la ricostruzione del partito sulle macerie della sconfitta sarda: si è preferito scimmiottare il comportamento di Berlusconi e demonizzare l’avversario.
È indubbio che il connubio di due partiti che si uniscono per formarne un terzo, ha rappresentato un’impresa non di poco conto, tant’è vero che gli stimoli a riprendere ognuno la propria libertà sono e restano fortissimi; diversi dirigenti dell’anima DC, in queste ore, si stanno interessando al lancio del nuovo partito che dovrebbe coagularsi attorno all’UDC di Casini e che dovrebbe raccogliere frange di tante coalizioni ora esistenti, il tutto votato alla tanto sospirata costruzione di un autentico centro moderato, attrazione per buona parte dell’elettorato italiano: insomma rifare la DC!!
Franceschini ha detto una cosa bellissima e rischiosa, cioè ha affermato che “sarò io a fare le nomine, me ne assumerò le responsabilità e che nessuno di quelli che stanno applaudendo ora, venga da me per chiedere nomine”; ed ha aggiunto “il mio lavoro avrà termine ad ottobre e fino ad allora non avrò né padrini né protettori; le vecchie personalità verranno ascoltate ma non coinvolte nelle decisioni”.
Sono affermazioni di maniera per tirare su il morale di una platea abbacchiata o sono dichiarazioni che – pur con il rischio del velleitarismo – tentano un sostanziale cambiamento del sistema partito? L’uomo solo che comanda e tutti gli altri che ubbidiscono e basta è aspirazione di molti; per la verità il buon Berlusconi viene attaccato da tutti per questo atteggiamento, ma lasciamo correre.
Quel che resta della giornata romana, si può ricondurre a due concetti: il primo è quello che la gente comune, gli iscritti, hanno le scatole piene delle diatribe tra i due galletti (Veltroni e D’Alema) e sono stufi di assistere a piccoli (ma grossi) litigi tra i due, senza che ne venga a galla la vera identità e la seconda è l’assenza di questi due che hanno preferito “non esporsi” alle possibili contumelie della platea.
Comunque, a margine dell’Assemblea del PD, ci sarebbe da citare un articolo apparso sul “Time” in cui si incorona il neo candidato a Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, come unica figura che potrebbe incarnare l’Obama italiano: “è giovane, internettiano (cioè usa internet), pragmatico e quindi potrebbe essere il personaggio ideale a sostituire Veltroni alla guida del PD”; la replica di Renzi è tipica del bravo ragazzo ma un po’ figlio di buona donna: “sono lusingato dell’attenzione ma il paragone non regge”; mi chiedo: il paragone con chi, con Obama o con Veltroni?
domenica, febbraio 22, 2009
MOLTO "NERO" NEL MONDO DEL LAVORO
Con una di quelle affermazioni che definire pleonastiche è dir poco, il Governatore della Banca d’Italia, Draghi, ci informa che “la crisi in atto si protrarrà nei prossimi trimestri e, di conseguenza, avrà ripercussioni sull’occupazione”;quindi visto che la crisi economica che sta sfociando in una autentica recessione, non è sicuramente uno dei modi per fare ripartire il mondo del lavoro, l’affermazione di Draghi è fatta soltanto per dare fiato alla bocca: ci scusi signor Governatore, ma siamo abituati a dire la verità!
Il Governo, per sua parte, ha fatto quanto poteva, aumentando sensibilmente il fondo del welfare, ma oltre non può andare, temendo di incappare nei richiami di Bruxelles e rischiando anche di sforare sui famosi parametri di Mastrick; una cosa che invece ci aspettiamo dal Ministro dell’Economia è l’apertura del rubinetto che faccia circolare quella valanga di soldi che lo Stato deve – a vario titolo - alle piccole e medie imprese e che sarebbero una autentica mano santa per far respirare ossigeno fresco da tramutare in nuovi posti di lavoro.
A proposito di posti di lavoro, ho saputo un paio di storielle sul modo con cui vengono impiegati i cinesi in Italia: anzitutto è bene sapere che esistono squadre modulari di lavoratori cinesi guidate da uno o più “caporali” che si occupano di reperire il lavoro; quando questo è individuato, si provvede a redigere un preventivo assai più basso di quello di tutti gli altri operatori del settore e, dopo aver acquisito la commessa, viene stabilita l’entità della squadra da impiegare nel lavoro; di questo ho avuto modo di conoscere tutti i dettagli da un amico che sta cambiando l’ubicazione del proprio negozio e deve fare i lavori nella nuova sede: tra tutte le ditte invitate, i cinesi hanno stravinto la commessa; l’operazione avrà luogo “a nero” oppure con regolare fatturazione della cifra pattuita? L’amico su questo punto è stato reticente e quindi devo arguire che le cose non sono chiarissime.
Il secondo campo di intervento della mano d’opera cinese è la lavorazione di pellame: facciamo l’ipotesi che una piccola azienda produttrice di capi in pelle, abbia una richiesta di un numero molto alto di confezioni e con pochissimo tempo a disposizione per provvedervi con il proprio personale; il titolare della piccola fabbrica contatta il cinese che, avuto sentore della quantità dei capi da realizzare e del tempo entro cui eseguire la lavorazione, stabilisce il numero di lavoranti cinesi che – alla chiusura della fabbrica – entrano in azione e lavorando la notte, producono i capi occorrenti; al mattino, gli operai rientrano in fabbrica ed i cinesi vanno a dormire: tutti contenti e felici; in questo caso mi è stato confermato che l’intera operazione si svolge “a nero”.
Ho raccontato questi due episodi, per mostrare una delle situazioni nelle quali la statistica non riesce ad entrare nel problema: il lavoro diminuisce e la disoccupazione aumenta: ebbene non è sempre così semplice e soprattutto così automatico.
I cinesi poi, a differenze dei magrebini e dei romeni, sono per noi degli “intoccabili”, stante la loro provenienza da un Paese che potrebbe comprarci tutti; volete l’ultimo esempio? La brava Hilary Clinton, nel suo primo viaggio da Segretario di Stato, si è recata in Cina e, anziché parlare di diritti civile, di problemi con il Tibet e di altre fesserie del genere, si è raccomandata che lo Stato cinese acquisti ancora più Buoni del Tesoro americani, operazione indispensabile a Obama per rastrellare fondi per la sua politica espansiva; ed ha aggiunto che se loro aumenteranno il possesso di Buoni del Tesori, gli USA guarderanno con occhio di favore le merci cinesi in arrivo in America. Ora dico: se si prostituiscono loro, lo possiamo fare anche noi!!
Il Governo, per sua parte, ha fatto quanto poteva, aumentando sensibilmente il fondo del welfare, ma oltre non può andare, temendo di incappare nei richiami di Bruxelles e rischiando anche di sforare sui famosi parametri di Mastrick; una cosa che invece ci aspettiamo dal Ministro dell’Economia è l’apertura del rubinetto che faccia circolare quella valanga di soldi che lo Stato deve – a vario titolo - alle piccole e medie imprese e che sarebbero una autentica mano santa per far respirare ossigeno fresco da tramutare in nuovi posti di lavoro.
A proposito di posti di lavoro, ho saputo un paio di storielle sul modo con cui vengono impiegati i cinesi in Italia: anzitutto è bene sapere che esistono squadre modulari di lavoratori cinesi guidate da uno o più “caporali” che si occupano di reperire il lavoro; quando questo è individuato, si provvede a redigere un preventivo assai più basso di quello di tutti gli altri operatori del settore e, dopo aver acquisito la commessa, viene stabilita l’entità della squadra da impiegare nel lavoro; di questo ho avuto modo di conoscere tutti i dettagli da un amico che sta cambiando l’ubicazione del proprio negozio e deve fare i lavori nella nuova sede: tra tutte le ditte invitate, i cinesi hanno stravinto la commessa; l’operazione avrà luogo “a nero” oppure con regolare fatturazione della cifra pattuita? L’amico su questo punto è stato reticente e quindi devo arguire che le cose non sono chiarissime.
Il secondo campo di intervento della mano d’opera cinese è la lavorazione di pellame: facciamo l’ipotesi che una piccola azienda produttrice di capi in pelle, abbia una richiesta di un numero molto alto di confezioni e con pochissimo tempo a disposizione per provvedervi con il proprio personale; il titolare della piccola fabbrica contatta il cinese che, avuto sentore della quantità dei capi da realizzare e del tempo entro cui eseguire la lavorazione, stabilisce il numero di lavoranti cinesi che – alla chiusura della fabbrica – entrano in azione e lavorando la notte, producono i capi occorrenti; al mattino, gli operai rientrano in fabbrica ed i cinesi vanno a dormire: tutti contenti e felici; in questo caso mi è stato confermato che l’intera operazione si svolge “a nero”.
Ho raccontato questi due episodi, per mostrare una delle situazioni nelle quali la statistica non riesce ad entrare nel problema: il lavoro diminuisce e la disoccupazione aumenta: ebbene non è sempre così semplice e soprattutto così automatico.
I cinesi poi, a differenze dei magrebini e dei romeni, sono per noi degli “intoccabili”, stante la loro provenienza da un Paese che potrebbe comprarci tutti; volete l’ultimo esempio? La brava Hilary Clinton, nel suo primo viaggio da Segretario di Stato, si è recata in Cina e, anziché parlare di diritti civile, di problemi con il Tibet e di altre fesserie del genere, si è raccomandata che lo Stato cinese acquisti ancora più Buoni del Tesoro americani, operazione indispensabile a Obama per rastrellare fondi per la sua politica espansiva; ed ha aggiunto che se loro aumenteranno il possesso di Buoni del Tesori, gli USA guarderanno con occhio di favore le merci cinesi in arrivo in America. Ora dico: se si prostituiscono loro, lo possiamo fare anche noi!!