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sabato, febbraio 10, 2007

FINZIONE E REALTA' 

In questi giorni è stato assegnato in Olanda il “World Press Photo”, un premio che viene assegnato alla migliore immagine pubblicata dalla stampa mondiale nel 2006: è risultato vincitore l’americano Spencer Platt con una foto che ritrae un gruppo di quattro belle ragazze – una delle quali si tiene un fazzoletto sul naso - che a bordo di una fiammante spider rossa guidata da un giovanotto barbuto, transitano attraverso un quartiere di Beirut devastato dai bombardamenti israeliani (così almeno dice il titolo dell’immagine).

Quello che mi ha colpito in questa foto – così come deve aver colpito i giurati del premio – è la perfetta composizione che pur nell’alternanza di forme (la bellezza fiammante della rossa spider in antitesi con le macerie che la circondano), riesce a stupire ed a farci chiedere il motivo per il quale quelle ragazze hanno deciso di fare quella gita.

È spontaneo chiedersi perché le fanciulle siano proprio lì, ma è anche abbastanza facile rispondere: la guerra che avevano visto alla televisione, i bombardamenti, le macerie ed i morti, fanno parte – certamente si sono dette – di un film che l’emittente sta trasmettendo; quindi, niente di vero!!

Quando poi si sono trovate in mezzo alle case squassate dalle bombe, con un acre odore di morte nell’aria, hanno capito che non si trattava del set di un film ma che quello che avevano attorno era “la realtà”, ed allora ecco che una sola resta con la faccia sorridente come chi si sta godendo una gita, mentre due sembra che abbiano capito dove si trovano e la quarta sta premendo un fazzolettino contro il proprio naso, forse per coprire l’odore che emana dalle macerie.

Poiché si tratta di una immagine pubblicata su un giornale, non pensiamo neppure lontanamente al fotomontaggio – che, peraltro, sarebbe difficile scoprire – ma focalizziamo la nostra attenzione su un altro aspetto: quella foto è “specchio” della realtà oppure è stata “organizzata” dal suo autore il quale ha collocato tutte le sue componenti con i rispettivi pesi strutturali, al fine di comunicare qualcosa a coloro che avranno la ventura di vederla?

Fermiamoci a questo aspetto, anche perché mi risulta difficile credere che queste quattro belle fanciulle non conoscessero la situazione di Beirut prima di arrivare in quello specifico posto e quindi lasciamo stare la realtà; pensiamo invece alla composizione dell’artista fatta per esprimere una sua idea: l’autore ha collocato la spider rossa con le sue quattro ragazze e l’autista barbuto in posizione sovrastante rispetto alle macerie e questo ci dovrebbe consentire di poter dire qualcosa: anzitutto la correlazione che viene posta tra il lusso (l’auto e le quattro ragazze) e le macerie, come se queste ultime fossero causate dal primo ed infatti l’auto “sovrasta”; poi ci sono “le macerie” che hanno tutta l’aria di essere significanti solo a parole (cioè nel titolo) in quanto non possono essere collocate né a Beirut né in nessun’altra parte del mondo, ma sono sicuramente “macerie di povere case o di baracche” (cosa le abbia causate è un altro discorso).

Possiamo quindi affermare che l’autore con quella immagine ha inteso mostrare il cinismo e la superficialità del mondo ricco e civile che non prova vergogna a transitare in un luogo di sofferenze e di dolore ed anzi, sovrasta questa massa di gente e di distruzione con una grossolana ostentazione di potere.


giovedì, febbraio 08, 2007

I NOSTRI "OPINIONISTI" 

Per il termine “opinionista” mi soccorre, come al solito il Devoto-Oli che, alla voce corrispondente indica: “persona chiamata a dare l’interpretazione di un fatto o la formulazione di un giudizio in corrispondenza di un evento”; e fin qui non mi sembra che ci sia niente da eccepire, in quanto – come si dice – su fatti controversi, ogni opinione è lecita.

Dov’è che il problema si complica? Quando questa “opinione” viene emessa attraverso un media potentissimo come la televisione, così da diventare non più “l’idea di Tizio su quel fatto”, bensì la spiegazione a tutti i telespettatori di come è avvenuto o avrebbe dovuto avvenire quel fatto; cioè – in concreto – la voce dell’opinionista che parla dal teleschermo assume una sua estrinseca validità solo per effetto dell’autorevolezza che il mezzo televisivo ha, oppure – diciamo meglio – noi gli attribuiamo.

Lasciamo pure da parte l’aspetto dell’autorevolezza dei mezzi televisivi – che io non riconosco a nessuno di loro – per andare a parlare invece di coloro ai quali viene appiccicata la patente di “autorevole opinionista”; prima di proseguire vorrei chiarire che questa assegnazione non la facciamo in forma “conscia”, cioè usando tutte le nostre facoltà intellettive, ma in maniera “inconscia”, cioè in qualche modo subornati dal mezzo televisivo che siamo abituati a frequentare e quindi a dargli l’autorevolezza di cui sopra parlavo.

E adesso vediamo di chi stiamo parlando quando citiamo il termine “opinionista televisivo”: cito soltanto alcuni nomi tra i tantissimi che mi verrebbero in mente, anche perché mi sembrano i più qualificati a interpretare il ruolo di “cattivi maestri” che da ora in poi vorrei affidare loro.

Cominciamo da Stefano Bettarini, ex calciatore, bella figura di macho, divenuto celebre alle masse soprattutto per avere sposato Simona Ventura; ebbene, questo signore che non riesce a mettere insieme due parole che abbiano senso comune, appare come opinionista tutte le domeniche nella trasmissione pomeridiana di Canale 5 e quando qualcuno tra i critici televisivi ha provato a eccepire qualcosa, la conduttrice, tale Perego, si è rivoltata come una furia e ha difeso a spada tratta le “capacità” di quel signore.

Abbiamo anche di meglio, quando parliamo della non più giovanissima, ma molto ben rifatta, Alba Parietti: questa signora che ha attraversato gli ultimi cinquanta anni a passo di carica ed è passata di mano varie volte, facendo sempre la sua figura, adesso si propone – o meglio la fanno proporre – come una “opinionista” e frequenta trasmissioni anche celebrate del tipo di “Porta a Porta” ed altre similari; mi chiederete, ma opinionista di cosa? Risposta: quando uno non sa niente si qualifica come “tuttologo” e questo è la matura Alba.

Ho solo citato due che – a mio parere – rappresentano altrettanti “cattivi maestri, i quali hanno la fortuna/sfortuna di parlare da una cattedra che conferisce loro autorevolezza e sapienza: mi direte che non è colpa loro se li chiamano a concionare su tutto e su tutti, ed io – di buona grazia – vi do ragione, aggiungendo però che di qualcuno la colpa deve pur essere, altrimenti qui si continua ad assolvere tutti e…vediamo bene come ci ritroviamo!!

Provo a dire, in due parole, di chi è la colpa – secondo me – di questa situazione, ripetendo un concetto che ho espresso varie volte: cari amici, la colpa è certamente di noi stessi che non siamo sufficientemente educati alla scelta di programmi almeno non diseducativi; e questa colpa discende da una carenza nella nostra conoscenza semiologica del linguaggio tipico del mezzo televisivo (ormai il più importante mass media) e quindi il mio invito, al termine del post odierno è: impariamo, gente, impariamo, sennò continuano a fregarci!!


martedì, febbraio 06, 2007

TORNANDO INDIETRO DI OLTRE 20 ANNI 

Già, proprio di oltre 20 anni fa intendo parlare in questo post: debbo subito dire che l’idea me l’ha data il Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, che – a proposito della riforma previdenziale – ha detto, testualmente: “Occorre uno sforzo di consapevolezza collettiva simile a quella della metà degli anni ’80 con la cancellazione della scala mobile, poi sottoposta a referendum, che portò il Paese a infrangere la rigida spirale dei prezzi e dei salari”.

Ecco, proprio questa “spirale prezzi/salari” tanto infamata da tutti all’epoca, mi ha riportato indietro nel tempo, ad un periodo nel quale – a mio modo di vedere – la classe lavoratrice subì il primo rovente scacco.

Un breve riepilogo di come stavano le cose e di quel che avvenne: negli anni ’70 venne siglato un accordo con i sindacati nel quale all’aumento ISTAT faceva seguito (entro tre mesi, mi pare) un analogo incremento stipendiale che, nella sostanza, portava la “potenzialità” delle paghe allo stesso livello di quello che erano prima dell’aumento verificatosi.

Mi spiego ancora meglio con un esempio: se un filone di pane costava 100 lire e con il mio stipendio (100mila lire) potevo comprare mille filoni di pane, nel momento in cui il citato bene di consumo arriva a costare 110 lire, devo avere il mio stipendio adeguato a tale aumento in modo che possa sempre acquistare la solita quantità di filoni di pane come prima dell’aumento; mi sembra chiaro!!

All’improvviso (metà anni ’80) venne la “moda” di criminalizzare questa scala mobile, imputandole tutti i mali del mondo e, in particolare, quello di “creare inflazione” (termine che venne coniato per l’occasione); pochissimi economisti si impegnarono nel dimostrare che un adeguamento “a posteriori” di una realtà stipendiale non può essere una “causa”, ma solo un “effetto” di un aumento precedente.

Non ci fu niente da fare, il governo di allora – con alla guida Craxi – emanò un decreto che aboliva la scala mobile ed il successivo referendum non riuscì a ribaltare la situazione parlamentare per effetto di una scarsa partecipazione dell’elettorato (ricorderete l’incitamento del leader socialista “Andate al mare!!).

In quel periodo dirigevo una emittente televisiva e in prima persona mi esposi sul versante contrario all’abolizione della scala mobile, tant’è vero che invitai vari economisti – o che si credevano tali – a dibattere con me sull’argomento oppure a spiegare dove e con quale meccanismo l’adeguamento dello stipendio ad un aumento già avvenuto potesse produrre inflazione: nessuno accettò il dibattito e neppure la “sfida” di spiegare al pubblico, con parole semplici e comprensibili da tutti, il presunto meccanismo “perverso”.

La classe imprenditoriale imbastì una potente campagna pubblicitaria – con metodi subdoli e a volte assai spregiudicati – per dimostrare che questa dannata scala mobile era la madre di tutti i nostri guai; operai e impiegati si sentirono colpevolizzare come se quei loro adeguamenti stipendiali producessero dei guai tremendi alla nostra già disastrata economia.

Solo dopo molti anni i sindacati hanno preso ad interrogarsi sull’impegno (scarso) profuso all’epoca per contrastare il provvedimento governativo, ma ormai era tardi; adesso vedo usare quasi le stesse parole e le stesse strategie per mettere mano alla riforma previdenziale e mi chiedo e vi chiedo di stare in guardia perché forse un altro pericolo incombe sulla classe lavoratrice più giovane.

Vigiliamo, gente, vigiliamo!!

domenica, febbraio 04, 2007

CAMBIARE TUTTO PER NON CAMBIARE NIENTE 

Il titolo di questo post è tratto da un celebre commento del “Gattopardo” tratto dall’omonimo libro di Tommasi di Lampedusa: è quello che anche questa volta, direi per l’ennesima volta, sta succedendo nelle vicende che abbinano il calcio alla violenza.

Adesso tutti a riempirsi la bocca di splendidi programmi da mettere in piedi per salvaguardare l’ordine pubblico negli stadi e nessuno che ricordi che una normativa esiste già, nonostante il parziale annacquamento delle forze politiche, ed è il Decreto Pisanu, che dall’agosto del 2005 – data della sua emanazione – non ha ancora trovato una sua completa applicazione.

Il problema di questo decreto è che la responsabilità, l’onere e l’onore dell’ordine pubblico negli stadi è di competenza – in grossa parte – delle società organizzatrici dell’evento calcistico, le quali – ad onor del vero – dovrebbero essere anche proprietarie dello stadio che ospita le partite della loro squadra.

Facciamo alcuni esempi, così ci capiamo meglio: secondo la normativa vigente, i biglietti dovrebbero essere TUTTI numerati ed abbinati ad un posto a sedere; il loro acquisto dovrebbe avvenire previa esibizione di documento di identità che – pertanto – diventerebbe un allegato al biglietto; gli steward delle società (uno ogni 500 spettatori sulle tribune ed uno ogni 4 metri a bordo campo) avrebbero il compito di controllare eventuali contraffazioni o passaggi dei biglietti a persone diverse dall’acquirente.

Passiamo poi alle fasi di videosorveglianza: è stata resa obbligatoria in tutti gli impianti con capienza superiore alle 10 mila persone e deve comprendere non solo l’intero incontro, ma anche l’ingresso e l’uscita degli spettatori; tale registrazione – eseguita con un numero di telecamere adeguato (tra le 15 e le 20 a seconda dell’impianto) - deve essere conservata a cura della società per un periodo di almeno 7 giorni.

Sapete quanti stadi sono al momento in regola? Soltanto 4 in tutta Italia (Roma, Milano, Torino e Genova, queste ultime tre non perfettamente), mentre tutti gli altri hanno chiesto ed ottenuto un rinvio all’applicazione delle norme e, nel frattempo hanno speso i soldi per i giocatori, buona parte dei quali provenienti dall’estero.

A questa situazione c’è da aggiungere che gli impianti sportivi sono quasi tutti di proprietà dei Comuni che non hanno certo i soldi per mettere in piedi questa normativa, anzi, cercano di utilizzare gli stadi in vari modi per ottimizzarne i costi (sembra che in quello di Catania dove sono avvenuti gli incidenti, ci sia addirittura un distaccamento comunale che non ha trovato posto in altri siti e quindi ospita impiegati e dirigenti che svolgono il loro lavoro nel sotto-tribune).

Se adesso, sull’onda dell’emozione per i fattacci accaduti a Catania, il Governo smantellerà tutto l’esistente (e non ancora entrato in vigore) sulla base del principio che “quello fatto dagli altri è sbagliato per assunto”, si ripartirà da capo e – soprattutto – le potentissime lobby calcistiche avranno ancora tempo per mettere in atto il loro attivismo; pensate che queste lobby – di carattere eminentemente politico ed economico – anche adesso sostengono che il Decreto Pisanu è troppo severo e che andava attenuato perchè svuotava gli stadi.

E, per concludere, si ricordi, chi di dovere, della “giustezza e certezza della pena”; il commissario ucciso, giorni fa è andato a testimoniare contro un “tifoso” accusato di vari reati contro il patrimonio e di aggressione verso alcuni Agenti: al termine dell’udienza l’accusato – dopo avere “patteggiato” pochi spiccioli di multa – ha lasciato l’aula non senza avere prima sbeffeggiato chi lo ha accusato.

Meditiamo, gente, meditiamo!!

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