sabato, dicembre 11, 2004
Gianni, possiamo essere ottimisti o no?
Sulla scorta di uno spot di successo nel quale il grande Tonino Guerra chiede a un fantomatico Gianni “ma come si fa a non essere ottimisti?”, proviamo a portare lo slogan nella realtà di oggi e vediamo cosa succede.
Per PRIMO vorrei sapere come fa Gianni ad essere ottimista con un Premier inseguito dai magistrati e con una opposizione che non capisce la ragione dello stato e aspira solo ad andare al potere per via giudiziaria e con una Magistratura che è chiaramente politicizzata, tanto è vero che non riesce ad esprimere una sentenza chiara (condanna o assoluzione) ma lascia sempre la possibilità di discuterci sopra.
È il caso della sentenza SME, nella quale non voglio entrarci non avendone le capacità, ma della quale vorrei sottolineare soltanto un aspetto: la magistratura non è riuscita a condannare Berlusconi ed ha trovato quindi l’escamotage della prescrizione di uno dei reati, sul quale ognuno può dibattere a piacimento. E quindi per i prossimi mesi sappiamo su cosa discuteranno i nostri politici (di destra e di sinistra).
Poiché – come ho detto altre volte – queste sentenze vengono emesse “in nome del popolo italiano”, del quale anch’io faccio parte, vorrei sommessamente ribadire un concetto di politica giudiziaria: ma la Bocassini e Colombo, non fanno altri processi? Solo nelle vicende di Berlusconi si sono impegnati, perdendo, peraltro, sempre, tant’è vero che lui è sempre lì.
Negli Stati Uniti i due signori non sarebbero stati rieletti dal popolo in nome del quale sentenziano, vista la pochissima produttività della coppia, e Dio sa quanto bisogno avrebbe la magistratura di produttività.
Voglio dire che – dando per scontato che il Cavaliere ha i suoi scheletri e negli USA sarebbero venuti fuori e lui non sarebbe stato eletto – evidentemente sono nascosti talmente bene che la Magistratura nostrale non riesce a scoprirli; allora io mi chiedo: ma perché non si cambiano accusatori, perché Colombo e la Rossa non vengono adibiti ad altre cose e al loro posto si mettono altre persone? E’ fattibile, oppure nel bizantinismo della nostra procedura giudiziaria è scritto che i perdenti debbono continuare a perdere.
Il SECONDO motivo per rivolgersi a Gianni – questa volta in forma positiva – per invitarlo ad essere ottimista, è la notizia che i telespettatori che seguono “Striscia la Notizia”, che il primo giorno di presenza delle sorelle Leccio aveva avuto un ottimo risultato di audience, già dal secondo e poi dal terzo e via andando, i dati si sono ristrinti e sono tornati addirittura più bassi di prima.
Allora non siamo tutti cretini, c’è anche qualcuno che – dopo un’occhiata di curiosità – ha lasciato le gemelle al loro destino e si è diretto verso altri lidi: migliori di quelli? Mah, difficile dirlo, anche perché come dice il proverbio “al peggio non c’è mai fine”.
Il TERZO motivo per spingere Gianni ad essere, questa volta, PER NIENTE ottimista è la notizia che, per quanto riguarda i regali di Natale (di cui ho già parlato), sembra andare di moda – tra i ricchi ovviamente – regalare al bambinetto che frequenta le elementari un cellulare con videocamera, in modo che la famiglia possa vedere quello che succede a scuola.
Pensate, con cinque milioni di bambini che muoiono di fame ogni anno nel mondo, in Italia regaliamo i cellulari più costosi ai bambini.
Mi sembra che ci sia un forte stridore alla notizia e quindi – a costo di essere tacciato di utilizzare la demagogia più spicciola – chiederei una maggiore solidarietà e meno regali scemi.
Per PRIMO vorrei sapere come fa Gianni ad essere ottimista con un Premier inseguito dai magistrati e con una opposizione che non capisce la ragione dello stato e aspira solo ad andare al potere per via giudiziaria e con una Magistratura che è chiaramente politicizzata, tanto è vero che non riesce ad esprimere una sentenza chiara (condanna o assoluzione) ma lascia sempre la possibilità di discuterci sopra.
È il caso della sentenza SME, nella quale non voglio entrarci non avendone le capacità, ma della quale vorrei sottolineare soltanto un aspetto: la magistratura non è riuscita a condannare Berlusconi ed ha trovato quindi l’escamotage della prescrizione di uno dei reati, sul quale ognuno può dibattere a piacimento. E quindi per i prossimi mesi sappiamo su cosa discuteranno i nostri politici (di destra e di sinistra).
Poiché – come ho detto altre volte – queste sentenze vengono emesse “in nome del popolo italiano”, del quale anch’io faccio parte, vorrei sommessamente ribadire un concetto di politica giudiziaria: ma la Bocassini e Colombo, non fanno altri processi? Solo nelle vicende di Berlusconi si sono impegnati, perdendo, peraltro, sempre, tant’è vero che lui è sempre lì.
Negli Stati Uniti i due signori non sarebbero stati rieletti dal popolo in nome del quale sentenziano, vista la pochissima produttività della coppia, e Dio sa quanto bisogno avrebbe la magistratura di produttività.
Voglio dire che – dando per scontato che il Cavaliere ha i suoi scheletri e negli USA sarebbero venuti fuori e lui non sarebbe stato eletto – evidentemente sono nascosti talmente bene che la Magistratura nostrale non riesce a scoprirli; allora io mi chiedo: ma perché non si cambiano accusatori, perché Colombo e la Rossa non vengono adibiti ad altre cose e al loro posto si mettono altre persone? E’ fattibile, oppure nel bizantinismo della nostra procedura giudiziaria è scritto che i perdenti debbono continuare a perdere.
Il SECONDO motivo per rivolgersi a Gianni – questa volta in forma positiva – per invitarlo ad essere ottimista, è la notizia che i telespettatori che seguono “Striscia la Notizia”, che il primo giorno di presenza delle sorelle Leccio aveva avuto un ottimo risultato di audience, già dal secondo e poi dal terzo e via andando, i dati si sono ristrinti e sono tornati addirittura più bassi di prima.
Allora non siamo tutti cretini, c’è anche qualcuno che – dopo un’occhiata di curiosità – ha lasciato le gemelle al loro destino e si è diretto verso altri lidi: migliori di quelli? Mah, difficile dirlo, anche perché come dice il proverbio “al peggio non c’è mai fine”.
Il TERZO motivo per spingere Gianni ad essere, questa volta, PER NIENTE ottimista è la notizia che, per quanto riguarda i regali di Natale (di cui ho già parlato), sembra andare di moda – tra i ricchi ovviamente – regalare al bambinetto che frequenta le elementari un cellulare con videocamera, in modo che la famiglia possa vedere quello che succede a scuola.
Pensate, con cinque milioni di bambini che muoiono di fame ogni anno nel mondo, in Italia regaliamo i cellulari più costosi ai bambini.
Mi sembra che ci sia un forte stridore alla notizia e quindi – a costo di essere tacciato di utilizzare la demagogia più spicciola – chiederei una maggiore solidarietà e meno regali scemi.
giovedì, dicembre 09, 2004
I regali di Natale
Si dice che i prossimi venti giorni segneranno l’andamento della nostra economia: a far ciò saranno i sempiterni regali di Natale, dei quali abbiamo avuto due antefatti.
Il primo, del capo della Confcommercio, Billé, che ha invitato i suoi iscritti a diminuire i prezzi in occasione di queste festività, allo scopo di realizzare il pieno nei negozi, alla stregua degli anni passati.
Il secondo del capo dell’Associazione Consumatori che ha invitato i suoi aderenti a “regalare una promessa”, cioè a promettere un regalo che poi si concretizzerà nella prima quindicina di gennaio 2005, cioè in occasione dei famosi saldi.
Tutto questo agitarsi delle varie associazioni è sintomo di un grosso malessere: non ci sono soldi da spendere e, quei pochi, sono già impegnati per ICI, saldo IRPEF, rata mutuo, canone assicurativo, ecc.; il tutto, nonostante lo sbandierato taglio delle tasse che – all’atto pratico – per questo fine anno non comporta un euro di differenza e per il prossimo anno invece…pure.
Sappiamo bene che nei momenti di crisi, la maggiore sofferenza è per gli appartenenti alla cosiddetta “middle class”, cioè classe di mezzo o, come diciamo noi, media borghesia; le ristrettezze hanno ovviamente toccato tutti, ma mentre l’alta borghesia ha delle riserve che possono sopportare queste situazioni, ed altrettanto può sopportare la classe “bassa”, da sempre abituata ai sacrifici, la classe di mezzo che fino ad ora reggeva il consumismo sfrenato “imposto” da questo tipo di società, non è abituata a tirare la cinghia e quindi soffre e taglia decisamente i consumi, partendo ovviamente da quelli di carattere voluttuario come sono i regali.
Mi viene voglia quindi di riflettere un po’ su questa “moda” dei regali: le festività natalizie hanno un particolare significato per quanto riguarda l’aspetto religioso (si festeggia la nascita di Gesù) nei confronti dei cristiani; ma le altre religioni non hanno una similare forma di festeggiamento e quindi…
Andiamo avanti e cerchiamo di chiarire ancora meglio (per quel poco che ne so io): quando la società ha avuto bisogno che la gente consumasse in maniera parossistica poiché altrimenti “la ruota si fermava”, ha indotto il popolo a legare lo scambio di regali (in famiglia e fuori) con alcune ricorrenze di grosso impatto popolare (Natale, Pasqua, Befana).
Questa forma di rincorsa ai regali che adesso è diventata quasi un obbligo, non ha nessun motivo logico; mi spiego meglio: se io, cattolico, praticante o meno, festeggio la nascita di Gesù, cosa centra che debba fare il regalo a moglie, figli, nonni, zii, Capo Ufficio, ecc.?
E se mettiamo il caso io sono ateo, perché debbo fare lo stesso i regali? E se sono islamico o buddista?
Pensate un po’ che in aggiunta hanno “inventato” che i regali li porta Babbo Natale con la renna che traina la slitta piena di doni. E noi come continuiamo a turlupinare i bambini che, fanno finta di credere a questa fandonia.
Rendiamoci conto che l’essenza della festa è il ricordare e possibilmente il rivivere la nascita di Gesù (ovviamente per chi crede che sia nato il figlio di Dio); questo avviene anzitutto dentro di noi e poi nelle forme liturgicamente attuate dalla religione cristiana.
Tutto il resto, regali compresi, è un orpello interessato aggiunto dalla società dei consumi per continuare a fregarci. Quindi ne possiamo fare tranquillamente a meno.
Meditiamo, gente, meditiamo!
Il primo, del capo della Confcommercio, Billé, che ha invitato i suoi iscritti a diminuire i prezzi in occasione di queste festività, allo scopo di realizzare il pieno nei negozi, alla stregua degli anni passati.
Il secondo del capo dell’Associazione Consumatori che ha invitato i suoi aderenti a “regalare una promessa”, cioè a promettere un regalo che poi si concretizzerà nella prima quindicina di gennaio 2005, cioè in occasione dei famosi saldi.
Tutto questo agitarsi delle varie associazioni è sintomo di un grosso malessere: non ci sono soldi da spendere e, quei pochi, sono già impegnati per ICI, saldo IRPEF, rata mutuo, canone assicurativo, ecc.; il tutto, nonostante lo sbandierato taglio delle tasse che – all’atto pratico – per questo fine anno non comporta un euro di differenza e per il prossimo anno invece…pure.
Sappiamo bene che nei momenti di crisi, la maggiore sofferenza è per gli appartenenti alla cosiddetta “middle class”, cioè classe di mezzo o, come diciamo noi, media borghesia; le ristrettezze hanno ovviamente toccato tutti, ma mentre l’alta borghesia ha delle riserve che possono sopportare queste situazioni, ed altrettanto può sopportare la classe “bassa”, da sempre abituata ai sacrifici, la classe di mezzo che fino ad ora reggeva il consumismo sfrenato “imposto” da questo tipo di società, non è abituata a tirare la cinghia e quindi soffre e taglia decisamente i consumi, partendo ovviamente da quelli di carattere voluttuario come sono i regali.
Mi viene voglia quindi di riflettere un po’ su questa “moda” dei regali: le festività natalizie hanno un particolare significato per quanto riguarda l’aspetto religioso (si festeggia la nascita di Gesù) nei confronti dei cristiani; ma le altre religioni non hanno una similare forma di festeggiamento e quindi…
Andiamo avanti e cerchiamo di chiarire ancora meglio (per quel poco che ne so io): quando la società ha avuto bisogno che la gente consumasse in maniera parossistica poiché altrimenti “la ruota si fermava”, ha indotto il popolo a legare lo scambio di regali (in famiglia e fuori) con alcune ricorrenze di grosso impatto popolare (Natale, Pasqua, Befana).
Questa forma di rincorsa ai regali che adesso è diventata quasi un obbligo, non ha nessun motivo logico; mi spiego meglio: se io, cattolico, praticante o meno, festeggio la nascita di Gesù, cosa centra che debba fare il regalo a moglie, figli, nonni, zii, Capo Ufficio, ecc.?
E se mettiamo il caso io sono ateo, perché debbo fare lo stesso i regali? E se sono islamico o buddista?
Pensate un po’ che in aggiunta hanno “inventato” che i regali li porta Babbo Natale con la renna che traina la slitta piena di doni. E noi come continuiamo a turlupinare i bambini che, fanno finta di credere a questa fandonia.
Rendiamoci conto che l’essenza della festa è il ricordare e possibilmente il rivivere la nascita di Gesù (ovviamente per chi crede che sia nato il figlio di Dio); questo avviene anzitutto dentro di noi e poi nelle forme liturgicamente attuate dalla religione cristiana.
Tutto il resto, regali compresi, è un orpello interessato aggiunto dalla società dei consumi per continuare a fregarci. Quindi ne possiamo fare tranquillamente a meno.
Meditiamo, gente, meditiamo!
mercoledì, dicembre 08, 2004
Intrighi internazionali
I lettori più attenti ricorderanno che agli inizi della guerra irakena, proprio da questi miei scritti furono ventilate alcune ipotesi sul deciso “no” ad ogni aiuto all’America da parte di Russia (Putin) e Francia (Chirac) ed il non particolare attivismo dell’O.N.U. e segnatamente del suo Segretario Generale, Kofi Annan.
Anzitutto dobbiamo rilevare che la stampa nazionale e straniera ha stranamente glissato sulla vicenda, facendo risalire tutte le decisioni a motivi di carattere “umanitario” (no alla guerra) e comunque sostanzialmente “sentimentali”.
Diceva il grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia, che “gratta un poco il sentimento ed apparirà subito la robba (si, lo diceva con due b come rafforzativo)”.
Vediamoli questi tre personaggi: Putin ha il compito più ingrato, perché ha dovuto concedere qualcosa alla “democrazia” e si è ritrovato il paese pieno di mafiosi e criminali in genere; gli è poi scoppiata in mano la grana del petrolio russo che – con aziende ex-statali ed ora privatizzate – prende strade tutte da decifrare.
Ha in corso il problema Cecenia e conseguente terrorismo; inoltre si è ritrovato l’America alla testa di uno squadrone di europei che in Ucraina hanno sostenuto un candidato diverso dal suo; e in quest’ultimo caso l’ex KGB ha preso veramente cappello, in quanto sa bene che se perde l’Ucraina gli resta ben poca cosa del grande impero sovietico (dopo specialmente tutte le altre defezioni).
Nella vicenda irakena Putin aveva (o forse ha ancora!) due interessi: il primo è quello di poter riscuotere i debito personalmente avallati da Saddam – miliardi di dollari – riguardanti forniture militari eseguite in barba all’embargo decretato dalle Nazioni Unite; il secondo riguarda precisi interessi sul programma “oil for food”, attraverso il quale veniva riciclato anche petrolio russo (ed i soldi a chi andavano?).
Chirac, dal canto suo (o meglio, della Francia) era invischiato negli stessi due problemi di Putin: il poter recuperare i debiti contratti da Saddam sotto banco per rifornirsi di armi non consentite e, subito accanto, la possibilità di mettere il becco (e forse qualcosa di più) nell’operazione “oil for food” nella quale sono invischiate alcune società francesi.
Ma, mentre si comprende bene che i due statisti siano preoccupati dei debiti di Saddam, non si comprendeva – fino a poco tempo fa – come avessero potuto entrare nell’operazione petrolifera che, a quanto era dato di conoscere, veniva gestita direttamente dall’O.N.U.
Ed ecco che lo scandalo scoppiato poco tempo fa (ma le cui avvisaglie risalgono a tempo addietro) alle Nazioni Unite e che ha investito il Segretario Generale, dovrebbe aver aperto gli occhi a tutti (quindi anche ai giornalisti) sulla truffa vergognosa perpetrata da Russia e Francia e coinvolgente il figlio di Kofi Annan, autentico autore – con l’avallo se non altro morale del padre – dell’operazione che ha portato centinaia di miliardi di dollari fuori delle tasche e delle pance degli iracheni.
Quindi, alla base delle decisioni antiamericane dei due paesi non c’erano ragioni di principio o, peggio ancora umanitarie, ma volgari interessi di bottega, in quanto la cosiddetta guerra preventiva avrebbe buttato all’aria tutti i loro piani: meglio quindi lasciare le cose come stanno e, se non altro, prendere tempo per cercare soluzioni alternative e cavalli di ricambio ad un business irrinunciabile. E la figura fatta dal Segretario Generale è talmente “barbina” che è ragionevole supporre un suo allontanamento dalla carica al più presto, anche se – non dimentichiamolo – egli ha dalla sua parte tutti i paesi africani ed asiatici, da lui beneficiati in più occasioni.
Anzitutto dobbiamo rilevare che la stampa nazionale e straniera ha stranamente glissato sulla vicenda, facendo risalire tutte le decisioni a motivi di carattere “umanitario” (no alla guerra) e comunque sostanzialmente “sentimentali”.
Diceva il grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia, che “gratta un poco il sentimento ed apparirà subito la robba (si, lo diceva con due b come rafforzativo)”.
Vediamoli questi tre personaggi: Putin ha il compito più ingrato, perché ha dovuto concedere qualcosa alla “democrazia” e si è ritrovato il paese pieno di mafiosi e criminali in genere; gli è poi scoppiata in mano la grana del petrolio russo che – con aziende ex-statali ed ora privatizzate – prende strade tutte da decifrare.
Ha in corso il problema Cecenia e conseguente terrorismo; inoltre si è ritrovato l’America alla testa di uno squadrone di europei che in Ucraina hanno sostenuto un candidato diverso dal suo; e in quest’ultimo caso l’ex KGB ha preso veramente cappello, in quanto sa bene che se perde l’Ucraina gli resta ben poca cosa del grande impero sovietico (dopo specialmente tutte le altre defezioni).
Nella vicenda irakena Putin aveva (o forse ha ancora!) due interessi: il primo è quello di poter riscuotere i debito personalmente avallati da Saddam – miliardi di dollari – riguardanti forniture militari eseguite in barba all’embargo decretato dalle Nazioni Unite; il secondo riguarda precisi interessi sul programma “oil for food”, attraverso il quale veniva riciclato anche petrolio russo (ed i soldi a chi andavano?).
Chirac, dal canto suo (o meglio, della Francia) era invischiato negli stessi due problemi di Putin: il poter recuperare i debiti contratti da Saddam sotto banco per rifornirsi di armi non consentite e, subito accanto, la possibilità di mettere il becco (e forse qualcosa di più) nell’operazione “oil for food” nella quale sono invischiate alcune società francesi.
Ma, mentre si comprende bene che i due statisti siano preoccupati dei debiti di Saddam, non si comprendeva – fino a poco tempo fa – come avessero potuto entrare nell’operazione petrolifera che, a quanto era dato di conoscere, veniva gestita direttamente dall’O.N.U.
Ed ecco che lo scandalo scoppiato poco tempo fa (ma le cui avvisaglie risalgono a tempo addietro) alle Nazioni Unite e che ha investito il Segretario Generale, dovrebbe aver aperto gli occhi a tutti (quindi anche ai giornalisti) sulla truffa vergognosa perpetrata da Russia e Francia e coinvolgente il figlio di Kofi Annan, autentico autore – con l’avallo se non altro morale del padre – dell’operazione che ha portato centinaia di miliardi di dollari fuori delle tasche e delle pance degli iracheni.
Quindi, alla base delle decisioni antiamericane dei due paesi non c’erano ragioni di principio o, peggio ancora umanitarie, ma volgari interessi di bottega, in quanto la cosiddetta guerra preventiva avrebbe buttato all’aria tutti i loro piani: meglio quindi lasciare le cose come stanno e, se non altro, prendere tempo per cercare soluzioni alternative e cavalli di ricambio ad un business irrinunciabile. E la figura fatta dal Segretario Generale è talmente “barbina” che è ragionevole supporre un suo allontanamento dalla carica al più presto, anche se – non dimentichiamolo – egli ha dalla sua parte tutti i paesi africani ed asiatici, da lui beneficiati in più occasioni.
martedì, dicembre 07, 2004
TV - trash
Potrebbe sembrare un doppione di quanto scritto sul mio post del 5 corrente, ma cercherò invece di vedere la situazione da un punto di vista diverso.
Anzitutto il titolo (TV-trash), dove al sostantivo TV viene legato il termine “trash” che, come riportato da alcuni dizionari d’inglese da me consultati, sta a significare “robaccia, ciarpame”.
Ed è bene notare che di questo sostantivo aggettivato (appunto “trash) se ne fa molto uso; addirittura negli articoli cosiddetti di cultura televisiva, viene usato come una categoria di programma, alla stessa stregua di “programmi giornalistici”, oppure “programmi di varietà” o ancora “programmi di rivista”.
Di questo “trash” voglio fare due soli esempi, uno dei quali si è svolto proprio ieri sera: le sorelle Lecciso sono apparse a “Striscia la Notizia” (Canale 5) nelle vesti di veline e successivamente su Rai 1 a “Porta a Porta”.
Non ha importanza cosa hanno dette queste due trasmissioni che – ahimé, confesso – non ho avuto lo stomaco di seguire, quanto piuttosto il fatto in se stesso; e se possiamo arrivare a comprendere Canale 5 e segnatamente Antonio Ricci che con la sua trasmissione sta prendendo delle belle bastonate da Bonolis e cerca tutto e più di tutto per risalire, non arrivo a capacitarmi del perché una trasmissione come “Porta a Porta”, nata per affrontare problemi di una certa serietà, arrivi a concentrare un “trash” simile. Forse che nel nostro paese non ci sono più problemi da dibattere, oppure il “trash” rappresentato dalle due sorelle è diventato sinonimo di serietà?
Resta da aggiungere che entrambi gli autori (Ricci e Vespa) si sono comportati in questo modo perché alla ricerca spasmodica degli ascolti e, per adorare questa forma di religione, non si bada a buon gusto, ma si cerca di colpire lo spettatore negli istinti più bassi e più reconditi.
Un altro esempio di “trash” smodato, è lo spot di Dolce e Gabbana che rappresenta una giovane coppia, la quale – nell’affermazione del più totale realismo – emette un piccolo peto (lei) e un grosso peto (lui): la differenza del boato, oltre ad essere sinonimo di forza maschile, è anche espressione di una volontà da parte di lui di mettere lei a totale suo agio. Mah, sarà!
Ho portato come esempio di “trash” anche uno spot pubblicitario, perché la TV è formata anche da questo, anzi in alcuni casi è più condizionante con i commercial che con i programmi: essi infatti possono diventare “modi di dire” o “modi di atteggiarsi” come e forse più delle normali trasmissioni.
Alla base di tutto questo scadimento – non culturale, lasciamo in pace la cultura, solo di buon senso è lecito parlare – sta l’accettazione, l’acquiescenza di tutti noi ad ogni forma di comunicazione che ci viene inviata. Resta da stabilire poi se da tale atteggiamento discende anche una forma di condizionamento, che non è – badate bene – il voler diventare tutti delle “Lecciso” o di aspirare al peto continuato, ma è questa forma di cialtroneria o meglio di ciarpame che ci viene inculcato e che diventa nostra forma mentale e ci accompagna nelle altre nostre scelte, siano esse di carattere politico, sociale e commerciale.
Un amico (non lo conosco, ma se legge i miei scritti è un amico), a commento di un mio post ha accennato al “vuoto silenzioso” della maggior parte delle menti, vuoto che aspetta solo di essere riempito da qualcun altro che sta lì apposta (ben pagato) per farlo.
Questo amico ha capito tutto; non saprei dire meglio.
Anzitutto il titolo (TV-trash), dove al sostantivo TV viene legato il termine “trash” che, come riportato da alcuni dizionari d’inglese da me consultati, sta a significare “robaccia, ciarpame”.
Ed è bene notare che di questo sostantivo aggettivato (appunto “trash) se ne fa molto uso; addirittura negli articoli cosiddetti di cultura televisiva, viene usato come una categoria di programma, alla stessa stregua di “programmi giornalistici”, oppure “programmi di varietà” o ancora “programmi di rivista”.
Di questo “trash” voglio fare due soli esempi, uno dei quali si è svolto proprio ieri sera: le sorelle Lecciso sono apparse a “Striscia la Notizia” (Canale 5) nelle vesti di veline e successivamente su Rai 1 a “Porta a Porta”.
Non ha importanza cosa hanno dette queste due trasmissioni che – ahimé, confesso – non ho avuto lo stomaco di seguire, quanto piuttosto il fatto in se stesso; e se possiamo arrivare a comprendere Canale 5 e segnatamente Antonio Ricci che con la sua trasmissione sta prendendo delle belle bastonate da Bonolis e cerca tutto e più di tutto per risalire, non arrivo a capacitarmi del perché una trasmissione come “Porta a Porta”, nata per affrontare problemi di una certa serietà, arrivi a concentrare un “trash” simile. Forse che nel nostro paese non ci sono più problemi da dibattere, oppure il “trash” rappresentato dalle due sorelle è diventato sinonimo di serietà?
Resta da aggiungere che entrambi gli autori (Ricci e Vespa) si sono comportati in questo modo perché alla ricerca spasmodica degli ascolti e, per adorare questa forma di religione, non si bada a buon gusto, ma si cerca di colpire lo spettatore negli istinti più bassi e più reconditi.
Un altro esempio di “trash” smodato, è lo spot di Dolce e Gabbana che rappresenta una giovane coppia, la quale – nell’affermazione del più totale realismo – emette un piccolo peto (lei) e un grosso peto (lui): la differenza del boato, oltre ad essere sinonimo di forza maschile, è anche espressione di una volontà da parte di lui di mettere lei a totale suo agio. Mah, sarà!
Ho portato come esempio di “trash” anche uno spot pubblicitario, perché la TV è formata anche da questo, anzi in alcuni casi è più condizionante con i commercial che con i programmi: essi infatti possono diventare “modi di dire” o “modi di atteggiarsi” come e forse più delle normali trasmissioni.
Alla base di tutto questo scadimento – non culturale, lasciamo in pace la cultura, solo di buon senso è lecito parlare – sta l’accettazione, l’acquiescenza di tutti noi ad ogni forma di comunicazione che ci viene inviata. Resta da stabilire poi se da tale atteggiamento discende anche una forma di condizionamento, che non è – badate bene – il voler diventare tutti delle “Lecciso” o di aspirare al peto continuato, ma è questa forma di cialtroneria o meglio di ciarpame che ci viene inculcato e che diventa nostra forma mentale e ci accompagna nelle altre nostre scelte, siano esse di carattere politico, sociale e commerciale.
Un amico (non lo conosco, ma se legge i miei scritti è un amico), a commento di un mio post ha accennato al “vuoto silenzioso” della maggior parte delle menti, vuoto che aspetta solo di essere riempito da qualcun altro che sta lì apposta (ben pagato) per farlo.
Questo amico ha capito tutto; non saprei dire meglio.
lunedì, dicembre 06, 2004
Celentano e Gesù
E’ un accostamento pericoloso e sicuramente arbitrario – da parte mia – ma se avrete la bontà di seguire il mio argomentare vedrete che qualcosa in comune c’è.
Cominciamo da Celentano: avrete seguito tutte le fasi della vicenda riguardante le trattative del “Molleggiato” con la RAI per la messa in onda di uno spettacolo ideato e condotto dal celebre cantante.
La RAI e segnatamente il Direttore di RAI 1, Fabrizio Del Noce, ha sempre sbandierato che non avrebbe messo alcun vincolo di carattere preventivo a quanto sarebbe successo nello spettacolo; unico vincolo che – come azienda titolare di Concessione per servizio pubblico – avevano l’obbligo di imporre era il rispetto delle leggi vigenti in materia.
Con queste premesse sembrava che l’accordo avesse moltissime probabilità di arrivare in porto in breve tempo, invece – è di ieri la notizia – Celentano ha interrotto le trattative dichiarando: “mi riconoscono carta bianca, ma non abbastanza bianca”; affermazione abbastanza criptica che però si lega bene al personaggio.
È evidente che il cantante non si è fidato del generico concetto “seguire la legge”, perché con questa affermazione l’Azienda avrebbe potuto interrompere in qualunque momento la serie di trasmissioni, magari adducendo una legge piccola, piccola, misconosciuta dai più ma non certo dai soloni della RAI: in sostanza è una forma di assicurazione che Del Noce ha voluto precostituirsi in vista di eventuali affermazioni del “Molleggiato” che possano scandalizzare e far arrabbiare “Qualcuno”.
In sostanza si ha una paura fottuta di quello che il cantante milanese potrebbe dire (la trasmissione dovrebbe andare in onda nel periodo precedente le elezioni regionali della primavera 2005); e qui sta la mia domanda: non credete che la vicenda scada nel grottesco se – tanto per dire - si ipotizza che un personaggio come Celentano, dalle idee catto-populiste, ambientalista e pieno di confusione, possa smuovere a suo piacimento il voto delle masse? Se è vera paura, credo che il termine “censura” non sia sufficiente a etichettare l’andamento della vicenda e si debba trovarne uno più cogente; se invece si esamina la cosa dal punto di vista del motto “essere più realista del re”, allora si rischia di avvicinarsi alla verità.
E si trova anche l’aggancio con “Gesù”, come è citato nel titolo di questo post : in molte scuole italiane, all’avvicinarsi delle festività natalizie, gli insegnanti si stanno mobilitando per mettere in campo i vari cori e canzoncine da far cantare ai bambini.
Ebbene, lo direste mai che il termine “Gesù”, presente ovviamente in molte canzoncine, viene sistematicamente sostituito da “virtù” (notare l’assonanza) per paura di mancare di rispetto ai piccoli studenti islamici presenti in classe?
Questo intervento degli insegnanti non ha fatto seguito a rimostranze dei genitori islamici, anzi lo stesso Magdi Allam – noto scrittore di derivazione islamica – esortava, dalle pagine del “Corriere della Sera”, genitori e docenti a non aver paura di fare il presepe a scuola. Quindi – avete capito bene! – i capi delle varie comunità islamiche non hanno proferito verbo, ma i nostri docenti “più realisti del re” hanno organizzato queste riscritture delle canzoncine che recano il termine “Gesù”.
Pertanto dovete darmi atto che in entrambe le vicende ci sono delle persone “più realiste del re”: nel primo caso (Celentano) si tratta delle forze filo - governative, nel secondo (le canzoncine con Gesù) invece sono i filo - islamici.
Interessante, non è vero?
Cominciamo da Celentano: avrete seguito tutte le fasi della vicenda riguardante le trattative del “Molleggiato” con la RAI per la messa in onda di uno spettacolo ideato e condotto dal celebre cantante.
La RAI e segnatamente il Direttore di RAI 1, Fabrizio Del Noce, ha sempre sbandierato che non avrebbe messo alcun vincolo di carattere preventivo a quanto sarebbe successo nello spettacolo; unico vincolo che – come azienda titolare di Concessione per servizio pubblico – avevano l’obbligo di imporre era il rispetto delle leggi vigenti in materia.
Con queste premesse sembrava che l’accordo avesse moltissime probabilità di arrivare in porto in breve tempo, invece – è di ieri la notizia – Celentano ha interrotto le trattative dichiarando: “mi riconoscono carta bianca, ma non abbastanza bianca”; affermazione abbastanza criptica che però si lega bene al personaggio.
È evidente che il cantante non si è fidato del generico concetto “seguire la legge”, perché con questa affermazione l’Azienda avrebbe potuto interrompere in qualunque momento la serie di trasmissioni, magari adducendo una legge piccola, piccola, misconosciuta dai più ma non certo dai soloni della RAI: in sostanza è una forma di assicurazione che Del Noce ha voluto precostituirsi in vista di eventuali affermazioni del “Molleggiato” che possano scandalizzare e far arrabbiare “Qualcuno”.
In sostanza si ha una paura fottuta di quello che il cantante milanese potrebbe dire (la trasmissione dovrebbe andare in onda nel periodo precedente le elezioni regionali della primavera 2005); e qui sta la mia domanda: non credete che la vicenda scada nel grottesco se – tanto per dire - si ipotizza che un personaggio come Celentano, dalle idee catto-populiste, ambientalista e pieno di confusione, possa smuovere a suo piacimento il voto delle masse? Se è vera paura, credo che il termine “censura” non sia sufficiente a etichettare l’andamento della vicenda e si debba trovarne uno più cogente; se invece si esamina la cosa dal punto di vista del motto “essere più realista del re”, allora si rischia di avvicinarsi alla verità.
E si trova anche l’aggancio con “Gesù”, come è citato nel titolo di questo post : in molte scuole italiane, all’avvicinarsi delle festività natalizie, gli insegnanti si stanno mobilitando per mettere in campo i vari cori e canzoncine da far cantare ai bambini.
Ebbene, lo direste mai che il termine “Gesù”, presente ovviamente in molte canzoncine, viene sistematicamente sostituito da “virtù” (notare l’assonanza) per paura di mancare di rispetto ai piccoli studenti islamici presenti in classe?
Questo intervento degli insegnanti non ha fatto seguito a rimostranze dei genitori islamici, anzi lo stesso Magdi Allam – noto scrittore di derivazione islamica – esortava, dalle pagine del “Corriere della Sera”, genitori e docenti a non aver paura di fare il presepe a scuola. Quindi – avete capito bene! – i capi delle varie comunità islamiche non hanno proferito verbo, ma i nostri docenti “più realisti del re” hanno organizzato queste riscritture delle canzoncine che recano il termine “Gesù”.
Pertanto dovete darmi atto che in entrambe le vicende ci sono delle persone “più realiste del re”: nel primo caso (Celentano) si tratta delle forze filo - governative, nel secondo (le canzoncine con Gesù) invece sono i filo - islamici.
Interessante, non è vero?
domenica, dicembre 05, 2004
Un'occhiata alla TV
E’ un po’ di tempo che non affrontiamo il problema di quello che vediamo in televisione; ovviamente ci soffermeremo solo su alcuni programmi che – a mio modo di vedere – sono stati i più eclatanti.
Cominciamo dai telegiornali e notiamo subito che sembra acuirsi la ricerca della notizia a sensazione, di quella news che il pubblico aspetta e che ascolta in modo attento, per non perdere neppure una parola; e di questo è recente esempio il fatto che le “due Simone”, come vengono chiamate le due volontarie italiane rapite in Irak, hanno deciso di tornare in zona, recandosi per una settimana in Giordania dove è allogata una sede della loro organizzazione: ebbene, per tutti è stata una notizia da dare così: “le due Simone ritornano in Irak”, e sulla base di questa notizia si sono succedute interviste a vari esponenti governativo e non e a personaggi comunque famosi. Il tutto – interviste e commenti – fondati su una informativa che sta alla base del servizio e che reca una inesattezza: le due ragazzette non rientrano in Irak, ma vanno a farsi una vacanza di sette giorni ad Amman, in Giordania, dove i pericoli sono gli stessi che si possono incontrare in qualche spiaggia esotica.
C’è poi il problema della Loredana Lecciso, coniugata Al Bano, che da brava donna di casa addetta sinora alla “riproduzione” (credo che abbia fatto 3 figli con Al Bano e uno già lo aveva prima di sposarsi) ha deciso di gettarsi nel mondo dello spettacolo: non sa fare niente – né ballare, né cantare, né recitare – e quindi sembrerebbe adattissima a far parte dello star-sysrem; il problema era quello di farsi un po’ conoscere (il fatto di essere la signora di Al Bano non sembra sufficiente) e quindi qualche bravissimo press-agent ha pensato bene di proporla come una donna che cerca una propria dimensione umana e lavorativa e con un marito che non gradisce questa situazione. E qui si sono sprecati i sociologi, gli psicologi, le femministe eccetera. E noi, gonzi, a prendere parte alla discussione e ad esprimere il nostro parere sui diritti della Loredana a “realizzarsi”.
Per rendermi conto del perché la Maria De Filippi batta regolarmente e sonoramente il pur bravo Panariello, mi sono dovuto sciroppare un numero di “C’è posta per te”; ho forse scoperto dove sta il trucco: pur non volendo tediarvi con il racconto di come si svolge il programma, bisogna che vi ricordi che nel corso della trasmissione – dopo tutta la narrazione delle motivazioni per le quali il tizio o la tizia viene chiamato – c’è un momento di assoluto silenzio nel quale il “chiamato”, dopo aver visto l’interlocutore, decide se farlo o meno parlare; ebbene, quella pausa di silenzio assoluto, con primissimi piani dei volti dei due protagonisti (“chiamatore” e “chiamato”), questa forma di “rumoroso silenzio” riesce a creare una sorta di pathos che poi sfocia nella esternazione del “chiamatore” che, in genere, cerca di farsi perdonare qualcosa.
Ma ripeto, la pausa con silenzio, cronometrata anche in quasi due minuti – una enormità per i tempi televisivi, se pensate che una fascia pubblicitario ne dura tre – è il degno prologo allo scoppio di emozione per la richiesta di perdono o altro che viene rivolta al destinatario della lettera e, successivamente, all’accoglimento o meno della richiesta, con relativa immancabile commozione di entrambi i partecipanti, del pubblico in sala e di quello televisivo a casa . Notare bene che questa forma linguistica (il silenzio come espressione e come preparazione ad un ritmo diverso) è mutuata dal cinema e si vede bene che ne sono state assimilate tutte le caratteristiche.
Quindi, per concludere, trasmissione che si appella ai sentimenti più deteriori di ognuno di noi, ma la cui realizzazione è una delle massime dimostrazioni di professionalità linguistica che si può incontrare nel panorama televisivo.
Cominciamo dai telegiornali e notiamo subito che sembra acuirsi la ricerca della notizia a sensazione, di quella news che il pubblico aspetta e che ascolta in modo attento, per non perdere neppure una parola; e di questo è recente esempio il fatto che le “due Simone”, come vengono chiamate le due volontarie italiane rapite in Irak, hanno deciso di tornare in zona, recandosi per una settimana in Giordania dove è allogata una sede della loro organizzazione: ebbene, per tutti è stata una notizia da dare così: “le due Simone ritornano in Irak”, e sulla base di questa notizia si sono succedute interviste a vari esponenti governativo e non e a personaggi comunque famosi. Il tutto – interviste e commenti – fondati su una informativa che sta alla base del servizio e che reca una inesattezza: le due ragazzette non rientrano in Irak, ma vanno a farsi una vacanza di sette giorni ad Amman, in Giordania, dove i pericoli sono gli stessi che si possono incontrare in qualche spiaggia esotica.
C’è poi il problema della Loredana Lecciso, coniugata Al Bano, che da brava donna di casa addetta sinora alla “riproduzione” (credo che abbia fatto 3 figli con Al Bano e uno già lo aveva prima di sposarsi) ha deciso di gettarsi nel mondo dello spettacolo: non sa fare niente – né ballare, né cantare, né recitare – e quindi sembrerebbe adattissima a far parte dello star-sysrem; il problema era quello di farsi un po’ conoscere (il fatto di essere la signora di Al Bano non sembra sufficiente) e quindi qualche bravissimo press-agent ha pensato bene di proporla come una donna che cerca una propria dimensione umana e lavorativa e con un marito che non gradisce questa situazione. E qui si sono sprecati i sociologi, gli psicologi, le femministe eccetera. E noi, gonzi, a prendere parte alla discussione e ad esprimere il nostro parere sui diritti della Loredana a “realizzarsi”.
Per rendermi conto del perché la Maria De Filippi batta regolarmente e sonoramente il pur bravo Panariello, mi sono dovuto sciroppare un numero di “C’è posta per te”; ho forse scoperto dove sta il trucco: pur non volendo tediarvi con il racconto di come si svolge il programma, bisogna che vi ricordi che nel corso della trasmissione – dopo tutta la narrazione delle motivazioni per le quali il tizio o la tizia viene chiamato – c’è un momento di assoluto silenzio nel quale il “chiamato”, dopo aver visto l’interlocutore, decide se farlo o meno parlare; ebbene, quella pausa di silenzio assoluto, con primissimi piani dei volti dei due protagonisti (“chiamatore” e “chiamato”), questa forma di “rumoroso silenzio” riesce a creare una sorta di pathos che poi sfocia nella esternazione del “chiamatore” che, in genere, cerca di farsi perdonare qualcosa.
Ma ripeto, la pausa con silenzio, cronometrata anche in quasi due minuti – una enormità per i tempi televisivi, se pensate che una fascia pubblicitario ne dura tre – è il degno prologo allo scoppio di emozione per la richiesta di perdono o altro che viene rivolta al destinatario della lettera e, successivamente, all’accoglimento o meno della richiesta, con relativa immancabile commozione di entrambi i partecipanti, del pubblico in sala e di quello televisivo a casa . Notare bene che questa forma linguistica (il silenzio come espressione e come preparazione ad un ritmo diverso) è mutuata dal cinema e si vede bene che ne sono state assimilate tutte le caratteristiche.
Quindi, per concludere, trasmissione che si appella ai sentimenti più deteriori di ognuno di noi, ma la cui realizzazione è una delle massime dimostrazioni di professionalità linguistica che si può incontrare nel panorama televisivo.