sabato, ottobre 09, 2010
SIAMO ALLE FASI FINALI ?
Il “bel Danubio blu” sta diventando rosso per l’afflusso di fanghi velenosi che sono fuoriusciti da una fabbrica di alluminio in Ungheria; è ancora vivo il ricordo della famigerata “marea nera” che ha distrutto ogni forma di vita nel Golfo del Messico: colpa di una “perdita” di petrolio da una trivellazione sottomarina (a proposito, una Commissione d’inchiesta” americana voluta da Obama, ha concluso con forti addebiti al Presidente: “sottovalutò la catastrofe e nascose la verità”); da noi, il solito temporale autunnale ha messo in ginocchio alcune regioni del centro nord, in particolare la Liguria e la Toscana: in quest’ultima si sono contati anche tre morti.
Sembra proprio che la Natura si stia ribellando, ancora una volta, e che mandi segnali al suo inquilino perché la smetta di violentarla, con il disboscamento e con altri orrori, ma anche di inquinarla, rendendo così irrespirabile l’aria che ci viene messa a disposizione dalla Natura stessa, un’aria che se la smettiamo di tagliare gli alberi a casaccio, consente di essere veramente pura e benefica.
Ormai l’hanno capito tutti che se continuiamo di questo passo, tra non molto il nostro Pianeta sarà inabitabile; pensate che lo stesso Bin Laden – apparentemente in tutt’altre faccende affaccendato – ha parlato della necessità di non reiterare gli orrori dei conflitti armati, facendo riferimento esplicitamente alle catastrofi naturali.
Ma temo che siano tutte parole al vento e che l’uomo vada ineluttabilmente verso la catastrofe finale, magari ci va con l’ultimo modello – il più inquinante – dell’auto, ma non vedo altre strade che potrebbe percorrere; a questo proposito, in un recente convegno tenutosi in Toscana, il professor Latouche, dell’Università di Parigi, teorico della sobrietà e della decrescita, ha lanciato alcune “provocazioni: “nella società dell’opulenza, le disuguaglianze crescono perché i ricchi approfittano della concorrenza e della globalizzazione per pagare sempre meno chi lavora”; è proprio quello che io –con le mie sole e scarse forze - sto predicando da anni.
E l’illustre luminare ha continuato a lanciare idee che sottoscrivo TUTTE: la prima è la teoria della decrescita, cioè la riduzione dei consumi, quindi l’esatto contrario del capitalismo attuale che è fondato sulla “crescita infinita”.
Quando gli viene opposto che esistono ancora Paesi che la crescita non l’hanno avuta, Latouche controbatte che quei Paesi debbono crescere, ma non ricalcando gli errori dei paesi sviluppati, ma devono operare in modo autonomo rispetto ai paesi ricchi.
Una delle ricette per la “decrescita”, sarebbe – a dire del professore – la riduzione drastica dell’orario di lavoro, che dovrebbe comportare un modo di vivere più improntato alla felicità e finalizzato ad una riduzione dei consumi superflui: cioè si guadagna meno e quindi si consuma meno.
Provocatoriamente gli è stato fatto osservare che sia la rivoluzione francese che quella russa avevano come postulato l’uguaglianza delle genti, ma entrambe hanno fallito; la risposta è stata bellissima e illuminante: “essere uguali non vuol dire essere identici” e quindi in sostanza, i due movimenti rivoluzionari non hanno valorizzato le tante diversità tra uomo e uomo e questo lo risentiamo anche adesso.
La teoria della decrescita e della conseguente abolizione dei consumi superflui, è idealmente una cosa splendida e, all’apparenza, fattibile; ma se poi andiamo a vedere meglio la nostra condizione attuale, vediamo che gli interessi dei potentati economici e finanziari, incitano il consumismo più sfrenato e inaccettabile e quindi – almeno per ora – non vedo spiragli per il chiarissimo professor Latouche e le sue belle teorie.
Sembra proprio che la Natura si stia ribellando, ancora una volta, e che mandi segnali al suo inquilino perché la smetta di violentarla, con il disboscamento e con altri orrori, ma anche di inquinarla, rendendo così irrespirabile l’aria che ci viene messa a disposizione dalla Natura stessa, un’aria che se la smettiamo di tagliare gli alberi a casaccio, consente di essere veramente pura e benefica.
Ormai l’hanno capito tutti che se continuiamo di questo passo, tra non molto il nostro Pianeta sarà inabitabile; pensate che lo stesso Bin Laden – apparentemente in tutt’altre faccende affaccendato – ha parlato della necessità di non reiterare gli orrori dei conflitti armati, facendo riferimento esplicitamente alle catastrofi naturali.
Ma temo che siano tutte parole al vento e che l’uomo vada ineluttabilmente verso la catastrofe finale, magari ci va con l’ultimo modello – il più inquinante – dell’auto, ma non vedo altre strade che potrebbe percorrere; a questo proposito, in un recente convegno tenutosi in Toscana, il professor Latouche, dell’Università di Parigi, teorico della sobrietà e della decrescita, ha lanciato alcune “provocazioni: “nella società dell’opulenza, le disuguaglianze crescono perché i ricchi approfittano della concorrenza e della globalizzazione per pagare sempre meno chi lavora”; è proprio quello che io –con le mie sole e scarse forze - sto predicando da anni.
E l’illustre luminare ha continuato a lanciare idee che sottoscrivo TUTTE: la prima è la teoria della decrescita, cioè la riduzione dei consumi, quindi l’esatto contrario del capitalismo attuale che è fondato sulla “crescita infinita”.
Quando gli viene opposto che esistono ancora Paesi che la crescita non l’hanno avuta, Latouche controbatte che quei Paesi debbono crescere, ma non ricalcando gli errori dei paesi sviluppati, ma devono operare in modo autonomo rispetto ai paesi ricchi.
Una delle ricette per la “decrescita”, sarebbe – a dire del professore – la riduzione drastica dell’orario di lavoro, che dovrebbe comportare un modo di vivere più improntato alla felicità e finalizzato ad una riduzione dei consumi superflui: cioè si guadagna meno e quindi si consuma meno.
Provocatoriamente gli è stato fatto osservare che sia la rivoluzione francese che quella russa avevano come postulato l’uguaglianza delle genti, ma entrambe hanno fallito; la risposta è stata bellissima e illuminante: “essere uguali non vuol dire essere identici” e quindi in sostanza, i due movimenti rivoluzionari non hanno valorizzato le tante diversità tra uomo e uomo e questo lo risentiamo anche adesso.
La teoria della decrescita e della conseguente abolizione dei consumi superflui, è idealmente una cosa splendida e, all’apparenza, fattibile; ma se poi andiamo a vedere meglio la nostra condizione attuale, vediamo che gli interessi dei potentati economici e finanziari, incitano il consumismo più sfrenato e inaccettabile e quindi – almeno per ora – non vedo spiragli per il chiarissimo professor Latouche e le sue belle teorie.
giovedì, ottobre 07, 2010
ANCORA DUE PAROLE SUGLI ANZIANI
Nel mio post di ieri l’altro, ho affrontato lo spinoso problema degli anziani e in particolare di coloro che hanno necessità di essere assistiti in modo professionale nelle cosiddette R.S.A. (residenze sanitarie assistite); queste forme di degenza, come ogni altra cosa di questo mondo, costa dei soldi e quindi l’anziano (ed i suoi familiari) che li ha è bene accolto, mentre per quello che non ne dispone, sono guai: citavo in questo mio articolo il caso di una famiglia che è stata costretta a vendere una casa per poter mantenere l’anziano nella struttura assistita.
Ebbene, quest’oggi, faremo un passo avanti, in quanto ho scoperto che fin dal 2005 lo Stato ha previsto per legge (la 248) uno strumento finanziario appositamente dedicato: il “prestito vitalizio ipotecario”, che permette ad un anziano – dai sessantacinque anni in avanti – di disporre di una adeguata liquidità, importante ed immediata, a prescindere dal fatto che abbia o meno capacità di reddito.
Il sistema parte dalla parola “ipotecario” e quindi viene predisposto un finanziamento garantito da un appartamento e prevede la possibilità di un prestito che va dal 20 al 50% del valore dell’immobile, con l’avvertenza che “più si è anziani e meno reddito si ha e più liquidità si ottiene con questa forma di prestito.
Per comprenderne appieno il funzionamento, facciamo un esempio: un signore ottantenne, proprietario di un appartamento del valore di 300mila euro, ottiene un prestito vitalizio da 90mila euro; con questo denaro, può garantirsi la retta in una R.S.A. per molti anni – dice la legge – ma, aggiungo io, il periodo che si copre con i 90mila euro non è poi così grande: se uno ha una retta di 3.000 euro al mese (cifra minima in queste strutture), si spendono 36.000 euro l’anno e quindi, i famosi 90mila euro non coprono neppure tre annualità; e dopo? Si butta fuori l’anziano? Mah!!
Ma andiamo avanti; la legge continua con questa allocuzione: l’anziano non deve restituire niente, né in conto capitale né in conto interessi finché è in vita, ma utilizzare queste risorse per il suo mantenimento; il riscatto avverrà solo dopo la sua morte e sarà un problema che riguarderà gli eredi, i quali verranno contattati e avranno 12 mesi di tempo per scegliere tra queste opzioni: rifondere, (anche attraverso un mutuo) il debito contratto dall’anziano (i famosi 90mila euro) con gli interessi maturati negli anni trascorsi, oppure vendere l’immobile per conto proprio ed al prezzo che riusciranno a spuntare, restituendo così l’importo finanziato.
Come terza ed ultima opzione, possono decidere di rinunciare all’immobile e in questo caso, l’Istituto di Credito che ha eseguito l’operazione iniziale, farà fare una apposita stima del suo valore a un perito del Tribunale e, dopo aver venduto l’appartamento, liquiderà agli eredi quanto avanza del debito.
Piccolo particolare: questa forma di prestito vitalizio è l’unico strumento finanziario che prevede l’anatocismo, ossia il calcolo degli interessi sugli interessi ricapitalizzati ogni anno: in parole povere, questo sistema – oltre che dalle aziende di credito autorizzate dallo Stato in base alla famosa legge 248 - è utilizzato soltanto dagli strozzini, con l’avvertenza che questi ultimi, se colti sul fatto, vengono mandati sotto processo e, se riconosciuti colpevoli, sbattuti in galera.
Insomma, l’anziano resta un rompiscatole per la famiglia, ma, per altri, può essere anche un’opportunità per farci dei buoni affari e questa del “prestito ipotecario dedicato” mi sembra uno di questi casi; di una cosa sono certo: che l’anatocismo è una vera e propria truffa e applicarla in questo caso mi manda il sangue alla testa!!
Ebbene, quest’oggi, faremo un passo avanti, in quanto ho scoperto che fin dal 2005 lo Stato ha previsto per legge (la 248) uno strumento finanziario appositamente dedicato: il “prestito vitalizio ipotecario”, che permette ad un anziano – dai sessantacinque anni in avanti – di disporre di una adeguata liquidità, importante ed immediata, a prescindere dal fatto che abbia o meno capacità di reddito.
Il sistema parte dalla parola “ipotecario” e quindi viene predisposto un finanziamento garantito da un appartamento e prevede la possibilità di un prestito che va dal 20 al 50% del valore dell’immobile, con l’avvertenza che “più si è anziani e meno reddito si ha e più liquidità si ottiene con questa forma di prestito.
Per comprenderne appieno il funzionamento, facciamo un esempio: un signore ottantenne, proprietario di un appartamento del valore di 300mila euro, ottiene un prestito vitalizio da 90mila euro; con questo denaro, può garantirsi la retta in una R.S.A. per molti anni – dice la legge – ma, aggiungo io, il periodo che si copre con i 90mila euro non è poi così grande: se uno ha una retta di 3.000 euro al mese (cifra minima in queste strutture), si spendono 36.000 euro l’anno e quindi, i famosi 90mila euro non coprono neppure tre annualità; e dopo? Si butta fuori l’anziano? Mah!!
Ma andiamo avanti; la legge continua con questa allocuzione: l’anziano non deve restituire niente, né in conto capitale né in conto interessi finché è in vita, ma utilizzare queste risorse per il suo mantenimento; il riscatto avverrà solo dopo la sua morte e sarà un problema che riguarderà gli eredi, i quali verranno contattati e avranno 12 mesi di tempo per scegliere tra queste opzioni: rifondere, (anche attraverso un mutuo) il debito contratto dall’anziano (i famosi 90mila euro) con gli interessi maturati negli anni trascorsi, oppure vendere l’immobile per conto proprio ed al prezzo che riusciranno a spuntare, restituendo così l’importo finanziato.
Come terza ed ultima opzione, possono decidere di rinunciare all’immobile e in questo caso, l’Istituto di Credito che ha eseguito l’operazione iniziale, farà fare una apposita stima del suo valore a un perito del Tribunale e, dopo aver venduto l’appartamento, liquiderà agli eredi quanto avanza del debito.
Piccolo particolare: questa forma di prestito vitalizio è l’unico strumento finanziario che prevede l’anatocismo, ossia il calcolo degli interessi sugli interessi ricapitalizzati ogni anno: in parole povere, questo sistema – oltre che dalle aziende di credito autorizzate dallo Stato in base alla famosa legge 248 - è utilizzato soltanto dagli strozzini, con l’avvertenza che questi ultimi, se colti sul fatto, vengono mandati sotto processo e, se riconosciuti colpevoli, sbattuti in galera.
Insomma, l’anziano resta un rompiscatole per la famiglia, ma, per altri, può essere anche un’opportunità per farci dei buoni affari e questa del “prestito ipotecario dedicato” mi sembra uno di questi casi; di una cosa sono certo: che l’anatocismo è una vera e propria truffa e applicarla in questo caso mi manda il sangue alla testa!!
martedì, ottobre 05, 2010
DUE CHIACCHIERE SUGLI ANZIANI
A proposito degli anziani, un po’ di tempo fa mi venne di coniare questa frase: “questa società non li fa morire ma neppure vivere”; intendevo dire che innegabilmente gli sviluppi della scienza medica ha rimandato di molto il momento fatale della morte, ma a prezzo di una diecina e, in qualche caso, di molti più anni che non si possono certo chiamare vita; al massimo possiamo considerarli “sopravvivenza”.
Le cose stanno così: all’allungamento della vita delle persone non eravamo preparati – lo Stato più di tutti – e quindi ci siamo ritrovati degli anziani – da 80 in su possiamo chiamarli così? – che vengono tenuti in vita con una serie infinita di accorgimenti e con tante, ma tante medicine che servono per allontanare lo spettro della morte.
In questo periodo di crisi, di chiusura delle fabbriche, di disoccupazione e cose del genere, è rimasto in piedi un solo caposaldo: la pensione del nonno alla quale pertanto l’intera famiglia attinge per far quadrare in qualche modo il bilancio.
Ma l’anziano, dopo una certa soglia di età, ha bisogno di essere accudito, magari anche in forma professionale e quindi da strutture all’uopo create dalla mano privata per lucrare anche in questo settore; scusate la parentesi, ma voglio dire che una trentina di anni or sono, ebbi è preconizzare che i business del futuro sarebbero stati due: i vecchi e i rifiuti; ho avuto ragione!
Ma torniamo agli anziani ed al loro modo di vivere (o meglio sopravvivere); quando – come ho detto sopra – le cure parentali non sono più sufficienti per accudire decorosamente il vecchio, bisogna ricorrere alle strutture assistenziali che, in rarissimi casi fanno parte della sanità pubblica e quindi ci possono affluire le persone secondo i canoni previsti, mentre negli altri casi, siamo al livello di trattativa privata e quindi si tratta di contrattare la retta del “nonno” con il proprietario della Casa di Cura; e nell’ipotesi, ahimé assai frequente, che la pensione dell’anziano non sia sufficiente a pagare la retta, bisogna che qualcuno provveda a integrarla; ovviamente tale integrazione avviene anche nel caso in cui gli introiti dell’anziano non siano sufficienti neppure a soddisfare la struttura pubblica abbia.
Tutto questo mi è venuto in mente, perché nella mia città, è giunto sulla cronaca la vicenda di una famiglia che – per accudire l’anziano – si è vista costretta a vendere il proprio appartamento; le polemiche si sono sprecate, ma niente è cambiato e, stringi stringi, lo slogan è: “se vuoi che ti tenga il vecchietto mi devi pagare!!”; questo slogan è valido sia per la parte pubblica che per quella privata.
Giunti a questo punto, sono abbastanza incazzato da rilanciare un altro mio vecchio slogan: “lo Stato è così pusillanime che non ha il coraggio di uccidere i vecchi dopo una certa età o quando cominciano a “rompere”, ma neppure ha la forza di accudirli”.
In concreto, queste situazioni vengono vissute nella stragrande maggioranza dei casi dai figli o comunque dai parenti che – logicamente, umanamente – arrivano a considerarlo non più un “reddito sicuro”, ma un grandissimo rompiscatole al quale non possono far altro che augurare di togliersi di torno al più presto.
Sarà retorica, ma lo slogan della socialdemocrazia nordica “dalla culla alla bara” stava a significare che lo Stato si sarebbe occupato della persona in tutto il lasso di tempo della sua vita, corta o lunga che fosse; la gente un po’ meno giovane se lo ricorderà, non è un’invenzione mia, ma non posso dire quale sia adesso la posizione di quelle forze politiche e neppure se sono al governo da qualche parte; se qualcuno lo sa, me lo segnali; comunque credo di essere stato chiaro circa il mio pensiero in materia.
Le cose stanno così: all’allungamento della vita delle persone non eravamo preparati – lo Stato più di tutti – e quindi ci siamo ritrovati degli anziani – da 80 in su possiamo chiamarli così? – che vengono tenuti in vita con una serie infinita di accorgimenti e con tante, ma tante medicine che servono per allontanare lo spettro della morte.
In questo periodo di crisi, di chiusura delle fabbriche, di disoccupazione e cose del genere, è rimasto in piedi un solo caposaldo: la pensione del nonno alla quale pertanto l’intera famiglia attinge per far quadrare in qualche modo il bilancio.
Ma l’anziano, dopo una certa soglia di età, ha bisogno di essere accudito, magari anche in forma professionale e quindi da strutture all’uopo create dalla mano privata per lucrare anche in questo settore; scusate la parentesi, ma voglio dire che una trentina di anni or sono, ebbi è preconizzare che i business del futuro sarebbero stati due: i vecchi e i rifiuti; ho avuto ragione!
Ma torniamo agli anziani ed al loro modo di vivere (o meglio sopravvivere); quando – come ho detto sopra – le cure parentali non sono più sufficienti per accudire decorosamente il vecchio, bisogna ricorrere alle strutture assistenziali che, in rarissimi casi fanno parte della sanità pubblica e quindi ci possono affluire le persone secondo i canoni previsti, mentre negli altri casi, siamo al livello di trattativa privata e quindi si tratta di contrattare la retta del “nonno” con il proprietario della Casa di Cura; e nell’ipotesi, ahimé assai frequente, che la pensione dell’anziano non sia sufficiente a pagare la retta, bisogna che qualcuno provveda a integrarla; ovviamente tale integrazione avviene anche nel caso in cui gli introiti dell’anziano non siano sufficienti neppure a soddisfare la struttura pubblica abbia.
Tutto questo mi è venuto in mente, perché nella mia città, è giunto sulla cronaca la vicenda di una famiglia che – per accudire l’anziano – si è vista costretta a vendere il proprio appartamento; le polemiche si sono sprecate, ma niente è cambiato e, stringi stringi, lo slogan è: “se vuoi che ti tenga il vecchietto mi devi pagare!!”; questo slogan è valido sia per la parte pubblica che per quella privata.
Giunti a questo punto, sono abbastanza incazzato da rilanciare un altro mio vecchio slogan: “lo Stato è così pusillanime che non ha il coraggio di uccidere i vecchi dopo una certa età o quando cominciano a “rompere”, ma neppure ha la forza di accudirli”.
In concreto, queste situazioni vengono vissute nella stragrande maggioranza dei casi dai figli o comunque dai parenti che – logicamente, umanamente – arrivano a considerarlo non più un “reddito sicuro”, ma un grandissimo rompiscatole al quale non possono far altro che augurare di togliersi di torno al più presto.
Sarà retorica, ma lo slogan della socialdemocrazia nordica “dalla culla alla bara” stava a significare che lo Stato si sarebbe occupato della persona in tutto il lasso di tempo della sua vita, corta o lunga che fosse; la gente un po’ meno giovane se lo ricorderà, non è un’invenzione mia, ma non posso dire quale sia adesso la posizione di quelle forze politiche e neppure se sono al governo da qualche parte; se qualcuno lo sa, me lo segnali; comunque credo di essere stato chiaro circa il mio pensiero in materia.
domenica, ottobre 03, 2010
COSA FARE PER IL LAVORO?
A parte i dati che ci pervengono dalle strutture preposte, la cronaca di tutti i giorni ci riporta una serie impressionante di gesti clamorosi posti in essere da operai – italiani e stranieri – ormai giunti a livelli di esasperazione tali da condurli su questo terreno; vi cito gli ultimi due che mi è capitato di leggere: il primo riguarda due operai che per nove ore hanno “occupato” il braccio esterno di una gru, minacciando di gettarsi di sotto se non venivano loro pagati gli stipendi; l’altro riguarda un altro operaio che è entrato in una “agenzia interinale” ed ha minacciato le dipendenti con una pistola (poi rivelatasi “giocattolo”) pretendendo del denaro o un tipo di occupazione che fosse di suo gradimento.
Per fortuna, in entrambi i casi, non si è andato oltre lo spavento, ma la situazione mi sembra che si stia evolvendo verso una violenza che forse è diretta spia di un senso di esasperazione ormai ingestibile.
Nel mondo del lavoro, oltre alla sua carenza, abbiamo anche coloro che fanno lavorare la gente ma non la pagano, accampando motivazioni (giuste o non giusto non so) le più disparate, ma sostanzialmente facenti tutte riferimento alla maledetta crisi che ha messo in ginocchio anche loro (i padroni) i quali però mi sembrano inginocchiati sopra un morbido cuscino, in quanto le difese e le riserve di queste categorie non sono minamene paragonabili a quelle dei lavoratori.
Ci sono poi episodi che fanno sorridere, soprattutto perché ricalcano malefatte presenti in film di successo: ricordate “Tutta la vita davanti”, di Paolo Virzì? In questo lavoro, si racconta la vita di un “call.center” con tutte le spietatezze e cattiverie che vi si trovano.
Ebbene, una cosa analoga è avvenuta anche “nella realtà”: un call center in cui si piazzavano degli aspirapolvere che definirei miracolosi, in quanto oltre al loro mestiere, si occupavano anche di combattere l’asma. Questo oggetto, che veniva acquistato in America al costo di 350 euro, veniva piazzato sul mercato nostrale alla bella sommetta di 3500 euro, peraltro rateizzata in 60 mesi a 94 euro ciascuno (totale 5.640 euro).
Lasciamo perdere le caratteristiche del prodotto venduto e la truffa ai danni dei consumatori, ma quello che mi interessa in questa sede è l’attinenza con il film di Virzì, nel quale i “venditori” erano sottoposti a sopraffazioni di ogni sorta e coloro che non riuscivano a vendere la quantità di prodotti stabiliti da un target personalizzato, subivano umiliazioni, rimproveri pubblici e, in alcuni casi, anche punizioni corporali.
Ebbene, tutto questo è presente nel film, ma – secondo il rinvio a giudizio presso il Tribunale di Arezzo – sarebbe avvenuto anche in questa azienda che gestiva un call center dedito al collocamento dei famigerati aspirapolvere.
Pensate che al mattino, prima di iniziare l’attività, i dipendenti erano costretti a partecipare a riunioni motivazionali in cui cantavano l’inno nazionale e recitavano slogan di auto-incitamento: tutto questo avviene quasi allo stesso modo, anche nel film di cui sopra e quindi possiamo dire che la realtà può superare la fantasia.
Inoltre, coloro che non riuscivano a realizzare determinato target, subivano delle punizione che andavano dal divieto di andare in bagno (e dove la facevano??) fino alla mancata ricezione dello stipendio nei casi più gravi. Insomma, un incubo, al quale molti non resistevano e se ne andavano anche senza ricevere alcun compenso.
Questo settore – vendite telefoniche – è quello che ancora assume personale; e ci credo, non pagandolo se non a raggiungimento di target stratosferici, il guadagno “su” ciascun dipendente è altissimo: ma questo è peggio dello schiavismo!!
Per fortuna, in entrambi i casi, non si è andato oltre lo spavento, ma la situazione mi sembra che si stia evolvendo verso una violenza che forse è diretta spia di un senso di esasperazione ormai ingestibile.
Nel mondo del lavoro, oltre alla sua carenza, abbiamo anche coloro che fanno lavorare la gente ma non la pagano, accampando motivazioni (giuste o non giusto non so) le più disparate, ma sostanzialmente facenti tutte riferimento alla maledetta crisi che ha messo in ginocchio anche loro (i padroni) i quali però mi sembrano inginocchiati sopra un morbido cuscino, in quanto le difese e le riserve di queste categorie non sono minamene paragonabili a quelle dei lavoratori.
Ci sono poi episodi che fanno sorridere, soprattutto perché ricalcano malefatte presenti in film di successo: ricordate “Tutta la vita davanti”, di Paolo Virzì? In questo lavoro, si racconta la vita di un “call.center” con tutte le spietatezze e cattiverie che vi si trovano.
Ebbene, una cosa analoga è avvenuta anche “nella realtà”: un call center in cui si piazzavano degli aspirapolvere che definirei miracolosi, in quanto oltre al loro mestiere, si occupavano anche di combattere l’asma. Questo oggetto, che veniva acquistato in America al costo di 350 euro, veniva piazzato sul mercato nostrale alla bella sommetta di 3500 euro, peraltro rateizzata in 60 mesi a 94 euro ciascuno (totale 5.640 euro).
Lasciamo perdere le caratteristiche del prodotto venduto e la truffa ai danni dei consumatori, ma quello che mi interessa in questa sede è l’attinenza con il film di Virzì, nel quale i “venditori” erano sottoposti a sopraffazioni di ogni sorta e coloro che non riuscivano a vendere la quantità di prodotti stabiliti da un target personalizzato, subivano umiliazioni, rimproveri pubblici e, in alcuni casi, anche punizioni corporali.
Ebbene, tutto questo è presente nel film, ma – secondo il rinvio a giudizio presso il Tribunale di Arezzo – sarebbe avvenuto anche in questa azienda che gestiva un call center dedito al collocamento dei famigerati aspirapolvere.
Pensate che al mattino, prima di iniziare l’attività, i dipendenti erano costretti a partecipare a riunioni motivazionali in cui cantavano l’inno nazionale e recitavano slogan di auto-incitamento: tutto questo avviene quasi allo stesso modo, anche nel film di cui sopra e quindi possiamo dire che la realtà può superare la fantasia.
Inoltre, coloro che non riuscivano a realizzare determinato target, subivano delle punizione che andavano dal divieto di andare in bagno (e dove la facevano??) fino alla mancata ricezione dello stipendio nei casi più gravi. Insomma, un incubo, al quale molti non resistevano e se ne andavano anche senza ricevere alcun compenso.
Questo settore – vendite telefoniche – è quello che ancora assume personale; e ci credo, non pagandolo se non a raggiungimento di target stratosferici, il guadagno “su” ciascun dipendente è altissimo: ma questo è peggio dello schiavismo!!