venerdì, settembre 27, 2013
LA STRAGE DI NAIROBI
Attorno alle 12 di sabato scorso, i
terroristi della costola somala di Al Qaeda, gli Shabaab, hanno attaccato i
frequentatori del Westgate di Nairobi, il più grosso Centro Commerciale della
città, ed hanno sparato all’impazzata non per impaurire, ma per uccidere.
Risultato 120 tra morti (62) e dispersi,
attaccati e uccisi da 17 terroristi che rispondono alle direttive del capo
attuale di Al Qaeda, quell’Al Zawahiri che sta ripromettendosi di attaccare gli
occidentali in ogni luogo dove si trovano, per immettere tra queste persone la
paura, anzi il terrore, di non sapere più da chi guardarsi.
Infatti, se guardiamo le provenienze dei 17
attentatori, abbiamo un finlandese, un inglese, 6 americani, 1 canadese, uno
della regione russa del Daghestan, uno svedese, 2 somali, 2 siriani e un
keniota. Sembra che tra gli attentatori ci sia stata una o più di una donna;
dopo un po’ le autorità keniote hanno specificato che probabilmente si tratta
solo di abili travestimenti di personale maschile.
La lista dei terroristi, messa in rete dalla
stessa Shabaab, comprende tutte persone
giovani (giovane è il significato del termine Shabaab).
Come prima impressione possiamo affermare che
gli Shabaab potrebbero tranquillamente arrivare a colpire anche gli Stati
Uniti; si tratta di terroristi della porta accanto, di kamikaze che non danno
nessuna importanza alla propria vita, insomma di persone difficilmente
controbattibili.
Le motivazioni per l’attentato: “abbiamo
attaccato il centro commerciale” – ha detto Abu Muscab, portavoce del gruppo
degli shabaab – “perché è un luogo di incontro della classe dirigente keniota e
perché ci sono negozi ebrei e americani; prima di imputarci le vittime civili
il Kenia dovrebbe interrogarsi sulle ragioni che lo portano a bombardare i
somali”.
Gli attentatori, per evitare per quanto
possibile, di uccidere mussulmani, prima di sparare facevano delle domande
mirate alle persone che si trovavano nel Centro Commerciale, sul tipo di “chi è
la madre del Profeta?” e la risposta accertava la fede del malcapitato; solo
chi ha risposto Amina veniva salvato, mentre tutti gli altri venivano
barbaramente uccisi.
Oppure, in qualche altro caso, gli shabaab
hanno chiesto agli ostaggi di provare la loro fede recitando il credo islamico;
chi non è riuscito nell’intento è stato ucciso.
Come si vede dal sopra citato elenco delle
provenienze dei terrorista, gli Stato Uniti sono il Paese che ne fornisce il
maggior numero; adesso che la frittata è già stata fatta, autorità e cittadini
di ogni ordine, si ricordano di quell’uomo o di quel gruppo proveniente
dall’aerea di Minneapolis che un paio di
anni fa ha partecipato ad un severissimo addestramento per diventare “martiri
della Jjhad”; peccato che questi ricordi arrivano sempre “dopo”, quando ormai
servono a poco.
Una curiosità: i vari servizi di intelligence
puntavano il dito sull’inglese Samantha Lewthwaite, 29 anni, chiamata “vedova
bianca” da quando le hanno ucciso il compagno, Jermaine Lindsay; detta anche
“la terrorista bianca più ricercata del mondo”; in un primo tempo sembrava che
anche lei facesse parte del commando che ha assaltato il Centro Commerciale, ma
poi è stato precisato che le donne .- se ci sono – sono altre e se non ci sono,
sono degli uomini travestiti da donna.
Per concludere: dei 17 attentatori, 12
risiederebbero in Occidente e solo 5
in oriente; non credete che sia una grande valvola
d’allarme per tutti noi?!
mercoledì, settembre 25, 2013
IL TRIONFO DELLA MERKEL
Angela Merkel ha vinto le elezioni in
Germania e sarà per altri 4 anni alla guida della politica tedesca e, di
conseguenza, di quella europea; per la verità, la grande Angela aspirava a
governare in solitudine ma dovrà mettere in piedi una nuova “grande coalizione”
visto che il suo 42% non le consentirà di governare da sola.
Eppure, nonostante i tanti successi, in
patria non è molto amata; sarà forse per quella sua mania di fare tornare i
conti, ma, i tedeschi non la amano, ma la votano, perché da persone
intelligenti quali sono, si rendono conto che i suoi successi portano il
benessere al popolo tedesco.
In Italia, c’è sempre stato lo slogan anti
Merkel, colpevole ai nostri occhi di avere imposto la politica di austerità
che, secondo la maggioranza degli italiani, sarebbe la fonte di tutti i nostri
guai; ma mentre critichiamo la cancelliera, i nostri giovani emigrano a Berlino
in cerca di una possibilità di lavoro per il loro futuro; ma non siamo soli in
questa emigrazione: anche spagnoli, greci e francesi, fanno parte di queste
colonie di giovani che cercano fortuna all’estero.
Ma cosa ha di particolare la Germania per essere
diventata la locomotiva d’Europa? La riunificazione delle due germanie derivate
dalla sconfitta bellica, generò due cose: da un lato la germanofobia degli
altri popoli, la sua demonizzazione dalla quale riaffiorano stereotipo e
malevoli giudizi, dall’altra la forza dell’economia tedesca: basti pensare che
la riunificazione delle due germanie fu concessa dalle potenze vincitrici della
seconda guerra mondiale in cambio della rinuncia al troppo forte Deutche Mark;
ed ora che ci ritroviamo con l’euro, dobbiamo ammettere che da loro funziona e
da noi – e in tante altre parti d’Europa – no.
Sia chiaro che per la ricostruzione della DDR
(la Germania
proveniente dal blocco sovietico), la Germania consumò gran parte del suo potenziale
economico, diventando una sorta di fanalino delle nazioni europee; vediamo che
sono stati sufficienti poco più di una dozzina di anni per ridiventare la
nazione di testa.
Ma cosa ha fatto la Germania? Ha messo in
campo una vera e propria “austerità”; a questo proposito, nessuno dei nostri
tanti “economisti”, critici implacabili dell’austerità tedesca, si ricorda che
più di tre decenni fa, Enrico Berlinguer lanciò la proposta dell’austerità come
chiave culturale e politica per costruire un nuovo modello di sviluppo fondato
sulla sobrietà, il superamento delle disuguaglianze, contro il consumismo
smodato e il modello produttivo iniquo.
La sinistra mediterranea, a cominciare da
quella italiana, evidentemente è ormai orfana della sua stessa tradizione
popolare e culturale; comunque sia, questa ricetta – più o meno aggiustata ai
tempi ed ai luoghi – è diventata il vessillo che ha permesso alla Merkel di
stravincere le elezioni ed ai tedeschi di conoscere un periodo di ricchezza
difficilmente riscontrabile nella loro storia moderna.
Ma anche da noi ci sono delle rivoluzioni
culturali: “Striscia la
Notizia”, lo show ideato da Antonio Ricci, ha annunciato che
alla ripresa delle trasmissioni le “veline” saranno sostituite dai “velini”,
due giovanotti, che vengono definiti “belli con l’anima” (non so cosa voglia
dire e quindi vi passo questa definizione così come l’ho trovata).
Questo cambiamento “epocale”, che comporterà
grosse novità nella politica culturale italiana, discende da un’antica promessa
di Ricci: quando la RAI
eliminerà Miss Italia, noi elimineremo le Veline. La trasmissione avrà anche
una imitazione molto attesa: Dario Ballantini nei panni di Papa Francesco: è la
prima volta per un pontefice!!
martedì, settembre 24, 2013
LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI
Lo slogan del titolo era una delle massime
storiche inventate dalla sinistra all’epoca del boom economico, ma non ha avuto
molta fortuna sia in Italia che nel resto d’Europa (non parliamo degli Stati
Uniti).
Al giorno d’oggi, stante la crisi imperante,
lo slogan andrebbe modificato in “lavorare troppo, lavorare in pochi”, e con
questo si farebbe una discreta fotografia a quello che succede nell’attuale
mercato del lavoro.
Ma quale sarebbe il motivo per cui ho introdotto
questi due slogan? Semplice: a Londra un ragazzo di 21 anni di nazionalità
tedesca, studente dell’Università del Michigan, era a Londra per fare uno stage
presso la Bank
of America ed è stato trovato morto sotto la doccia, nel pensionato dove
viveva; sembrerebbe che il ragazzo sia morto “di lavoro”, dato che era stato in
ufficio 72 ore di fila in tre giorni.
A prima vista sembra una balla, o meglio uno
scamotto per arraffare i soldi dell’assicurazione quando invece il giovane è
morto per qualche problema pre-esistente, ma l’evento ha come scoperchiato un
grosso pentolone che bolliva e da questo ne sono scaturite varie informazioni
che chiamarle raccapriccianti è dire poco.
Un ex dipendente di una Banca d’investimento
della City britannica ha confermato che i tirocinanti possono arrivare a
lavorare 14 ore filate al giorno, con un monte ore complessive settimanali di
100-110 ore lavorate; è chiaramente un modo di lavorare allo stremo delle
forze, ma è quanto viene loro richiesto e, se non esegui, ne vengono tratte
delle considerazioni non positive.
Un ventenne si è confidato con un giornalista
dell’Evening Standard ed ha detto: “semplicemente sgobbi per tutto il tempo che
ti chiedono di sgobbare”; il momento più tragico è quello che chiamano “il
percorso magico”, quando cioè alle 7 del mattino il taxi che ti porta a casa aspetta
il tempo di una doccia e di un cambio di vestiti e ti riporta in ufficio”. Questa
frase pronunciata da un giovane è un autentico manifesto contro lo sfruttamento
che viene perpetrato a danno di coloro che hanno un disperato bisogno di
lavorare; ma non si creda che questo avviene solo in Europa, perché anche sull’altra
sponda dell’Oceano gli stagisti non sono meno sfruttati; questa estate sono
fioccate negli Stati Uniti, una serie di
ricorsi di giovani che denunciano orari lunghissimi e, per di più senza
salario. Ne è nata una campagna chiamata “Fair Pay Campaign” (campagna per una
giusta paga) arrivata fino alla Casa Bianca, accusata di non pagare i suoi
tirocinanti.
Il leader di questa campagna, Mickey Franklin
ha così dichiarato, a proposito di quest’ultima denuncia: “non crediamo che la
Casa Bianca possa, in buona fede, parlare
di aumentare il salario minimo ed allo stesso tempo avere personale non pagato”;
ed ha aggiunto: “il fatto di chiamare qualcuno “stagista” non significa che si
possa aggirare la legge” e, aggiungo io, la buona creanza.
Ma parliamo di soldi, per coloro che li
prendono: il ragazzo tedesco morto a Londra lavorava 14 ore al giorno e
guadagnava 3.000 euro; in apparenza sembrano molti soldi, ma non dobbiamo
dimenticare che in quella città l’affitto di un monolocale costa 1.800 euro e
quindi se aggiungiamo gli altri “costi”, come mangiare e vestirsi, comprendiamo
perché il giovane dormiva in un ostello.
Siamo quindi in presenza di una stridente
contraddizione: “pochi che lavorano troppo” contrapposti ai “troppi che
lavorano poco, o addirittura mai”; sembrerebbe il frutto di un sistema senza
governo; ma forse non è così; è addirittura peggio!!
domenica, settembre 22, 2013
COME ERAVAMO
Mi è venuto in mente di fare un breve
excursus sulle “abitudini” che avevamo una trentina di anni addietro, in
particolare per quanto riguarda la famiglia, intesa come madre, padre e figli e
su come sono diventate adesso, con l’emancipazione.
Ho visto una madre di un piccolissimo bambino
che se lo portava a spasso, oppure a fare compere, dentro un sacchetto appeso
al collo; credo che trenta anni fa la puerpera sarebbe stata arrestata in
flagranza di reato e accusata di sevizie a minore.
E invece sta meglio lì che nei famosi
“port-enfant”, una specie di piccola branda ornata di pizzi e merletti in cui
il piccolo – non ho mai capito il motivo – urlava invariabilmente e i passanti
incoraggiavano la madre con i soliti discorsi “ci vuole coraggio, poi gli
passa” e intanto succhiava tutti i gas delle auto.
C’è un’altra cosa che mi è rimasta impressa:
il rapporto della puerpera con l’acqua; adesso, appena uscita dalla clinica in
cui ha partorito, la madre si fa una bella doccia e si reca per una sistematina
dal parrucchiere; una volta c’era una sorta di “quarantena” di cui non conosco
l’origine, e nella civilissima Italia (non in Uganda), la puerpera non poteva
toccare acqua per quaranta giorni; vi immaginate l’odore che la povera donna emanava?
Forse, era un bieco tentativo della Chiesa di rimandare di molti giorni i primi
contatti con il marito; penso male? Ma ci si indovina quasi sempre!!
E della coppia con il figlio che si reca in
vacanza, vi ricordate? I genitori mangiavano a turno, mentre uno era sempre “di
servizio” a origliare dietro la porta dove il pupo dormiva beatamente oppure
aveva la solita bizza; adesso si cena con gli amici e si sente il respiro del
neonato tramite un amplificatore sistemato tra i bicchieri e i piatti e quando
esplode il pianto sembra un barrito seguito da una musichetta; la puerpera si
alza con tutta calma e si dirige verso la camera del bimbo ma riappare quasi
subito per informare i presenti: “al primo pianto l’orsetto elettronico si è
messo a suonare la ninna-nanna di Brahms e il bambino si è riaddormentato
subito”.
E quando poi il bambino diventa un po’ più
grande, si prende tutte le maleducazioni dell’attuale generazione, nella quale
nessun genitore osa dire no al marmocchio che si alza da tavola e scorrazza per
la sala, saltellando sui divani vuoti.
E visto che ormai impera la società del “dire
sempre si e mai no”, si alimenta quella società di cafoni screanzati che i
bambini diventano da grandi.
E allora non scorrazzano più sui piedi dei
commensali nella sala da pranzo della Pensione Eden, ma ce li ritroviamo a borgo
di un potente SUV mentrei bloccano un paio di auto, parcheggiando
tranquillamente la propria macchina in terza fila.
E posso continuare: avete mai visto un
giovane o una giovane che cedono il posto in autobus ad una vecchietta male in
arnese? Se ce ne sono qualcuno diventano delle specie protette, come i panda.
Ed il rapporto con la scuola? Avete mai visto
un genitore dare ragione all’insegnante che si è permesso di redarguire il
figlio mentre filma col telefonino durante la lezione? Il figlio ha ragione per
definizione e l’insegnante – di ogni ordine di scuole – deve essere al “suo”
servizio per insegnargli, con parole semplici e facilmente comprensibili, solo
quello che lui o lei è interessato a comprendere.
E ricordiamoci tutti che questi giovani, poi
crescono e diventano adulti e, quasi sempre più sono ignoranti e cafoni e più
fanno carriera in questa disgraziata società e noi che, nel frattempo, stiamo
inesorabilmente invecchiando, ne paghiamo le conseguenze con lazzi e frizzi ad
ogni minima cedenza del nostro fisico non più integro.