venerdì, giugno 02, 2006
SEMPRE A PROPOSITO DI PERDONO
Ricorderete che un paio di giorni fa ho fatto un post nel quale l’idea tematica che esprimevo era la difficoltà di perdonare da parte di coloro che tanto hanno sofferto a causa delle malefatte compiute da colui che deve essere perdonato; ricorderete che nel caso che prendevo in esame i perdonatori erano rispettivamente gli ebrei e gli ungheresi e coloro da perdonare erano i nazisti e i fiancheggiatori del comunismo sovietico.
I personaggi che sono protagonisti del post di oggi, pur nella stessa chiave di lettura, hanno però spessore diverso e importanza decisamente inferiore.
Sono due gli eventi: il primo si riferisce alla grande agitazione che il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella (il nome à tutto un programma) ha messo al Presidente della Repubblica per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi, condannato all’ergastolo dal Tribunale di Milano per l’omicidio del commissario Calabresi.
Parlo di grande agitazione, ma potrei dire grande fretta nel chiudere la pratica: entrambi – il ministro ed il presidente – non hanno ancora preso dimestichezza con il loro incarico e la prima cosa che hanno realizzato è la grazia a Bompressi, in attesa – aggiungo io – di mettere in cantiere anche quella a Sofri.
In tutta questa fretta i due personaggi, evidentemente abituati a gestire il potere ma non le buone maniere, si sono dimenticati di compiere un gesto che definire “dovuto” è il minimo: avvertire la vedova di Calabresi (non dimentichiamolo: servitore dello Stato) della decisione che la combriccola di intellettuali di sinistra che sta dietro all’operazione ha loro “imposto” di fatto; comunque sia, la signora Calabresi ha appreso della grazia attraverso la televisione e si è dichiarata sconcertata e addolorata dalla mancanza di tatto (aggiungerei anche “educazione”); i due sono corsi ai ripari e, sia pure in ritardo hanno telefonato alla vedova Calabresi per scusarsi ufficialmente della gaffe compiuta: non si hanno notizie di come ha reagito la signora.
Il secondo evento ha come protagonista tale Sergio D’Elia, condannato a 30 anni – ridotti a 25 in appello – per concorso nell’omicidio, avvenuto nel 1978, dell’agente di polizia Fausto Dionisi, durante l’azione di un gruppo di militanti di “Prima Linea” che voleva liberare alcuni detenuti nelle carceri di Firenze.
La permanenza in carcere (non so per quanti anni) deve essere stata così fruttifera che si potrebbe consigliare anche ai nostri giovani in alternativa all’Università: pensate che questo signore (il D’Elia), è già stato per alcuni anni presidente dell’Associazione Internazionale di matrice radicale “Nessuno tocchi Caino”, che lotta contro la pena di morte, e a queste elezioni è diventato deputato per “La rosa nel pugno” e, dopo l’insediamento delle Camere, è stato nominato addirittura Segretario d’aula a Montecitorio.
La signora Mariella Magi, vedova dell’agente ucciso, non l’ha presa bene e possiamo pure dire che c’è rimasta malissimo: “Ha ucciso mio marito e ora è deputato”, questa la prima sua dichiarazione dopo avere appreso dello svolgimento della vicenda.
Ecco, anche la signora Mariella è una di quelle persone che trova difficoltà a perdonare, ma soprattutto trova difficile perdonare uno che non si pente di niente e anzi sembra quasi che abbia utilizzato le sue gesta da brigatista per fare carriera in campo politico.
Alla signora è stato chiesto come si comporterebbe se D’Elia chiedesse il suo perdono; sentite la risposta: “Quale perdono? Quello cristiano non va chiesto né a me né a mia figlia. Se parliamo invece di quello giudiziario rispondo che non lo avrei mai concesso…ma lui ormai non ne ha bisogno” e, aggiungo io: “neppure lo ha mai chiesto”.
Così va il mondo; meditiamo gente, meditiamo!
I personaggi che sono protagonisti del post di oggi, pur nella stessa chiave di lettura, hanno però spessore diverso e importanza decisamente inferiore.
Sono due gli eventi: il primo si riferisce alla grande agitazione che il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella (il nome à tutto un programma) ha messo al Presidente della Repubblica per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi, condannato all’ergastolo dal Tribunale di Milano per l’omicidio del commissario Calabresi.
Parlo di grande agitazione, ma potrei dire grande fretta nel chiudere la pratica: entrambi – il ministro ed il presidente – non hanno ancora preso dimestichezza con il loro incarico e la prima cosa che hanno realizzato è la grazia a Bompressi, in attesa – aggiungo io – di mettere in cantiere anche quella a Sofri.
In tutta questa fretta i due personaggi, evidentemente abituati a gestire il potere ma non le buone maniere, si sono dimenticati di compiere un gesto che definire “dovuto” è il minimo: avvertire la vedova di Calabresi (non dimentichiamolo: servitore dello Stato) della decisione che la combriccola di intellettuali di sinistra che sta dietro all’operazione ha loro “imposto” di fatto; comunque sia, la signora Calabresi ha appreso della grazia attraverso la televisione e si è dichiarata sconcertata e addolorata dalla mancanza di tatto (aggiungerei anche “educazione”); i due sono corsi ai ripari e, sia pure in ritardo hanno telefonato alla vedova Calabresi per scusarsi ufficialmente della gaffe compiuta: non si hanno notizie di come ha reagito la signora.
Il secondo evento ha come protagonista tale Sergio D’Elia, condannato a 30 anni – ridotti a 25 in appello – per concorso nell’omicidio, avvenuto nel 1978, dell’agente di polizia Fausto Dionisi, durante l’azione di un gruppo di militanti di “Prima Linea” che voleva liberare alcuni detenuti nelle carceri di Firenze.
La permanenza in carcere (non so per quanti anni) deve essere stata così fruttifera che si potrebbe consigliare anche ai nostri giovani in alternativa all’Università: pensate che questo signore (il D’Elia), è già stato per alcuni anni presidente dell’Associazione Internazionale di matrice radicale “Nessuno tocchi Caino”, che lotta contro la pena di morte, e a queste elezioni è diventato deputato per “La rosa nel pugno” e, dopo l’insediamento delle Camere, è stato nominato addirittura Segretario d’aula a Montecitorio.
La signora Mariella Magi, vedova dell’agente ucciso, non l’ha presa bene e possiamo pure dire che c’è rimasta malissimo: “Ha ucciso mio marito e ora è deputato”, questa la prima sua dichiarazione dopo avere appreso dello svolgimento della vicenda.
Ecco, anche la signora Mariella è una di quelle persone che trova difficoltà a perdonare, ma soprattutto trova difficile perdonare uno che non si pente di niente e anzi sembra quasi che abbia utilizzato le sue gesta da brigatista per fare carriera in campo politico.
Alla signora è stato chiesto come si comporterebbe se D’Elia chiedesse il suo perdono; sentite la risposta: “Quale perdono? Quello cristiano non va chiesto né a me né a mia figlia. Se parliamo invece di quello giudiziario rispondo che non lo avrei mai concesso…ma lui ormai non ne ha bisogno” e, aggiungo io: “neppure lo ha mai chiesto”.
Così va il mondo; meditiamo gente, meditiamo!
SEMPRE A PROPOSITO DI PERDONO
Ricorderete che un paio di giorni fa ho fatto un post nel quale l’idea tematica che esprimevo era la difficoltà di perdonare da parte di coloro che tanto hanno sofferto a causa delle malefatte compiute da colui che deve essere perdonato; ricorderete che nel caso che prendevo in esame i perdonatori erano rispettivamente gli ebrei e gli ungheresi e coloro da perdonare erano i nazisti e i fiancheggiatori del comunismo sovietico.
I personaggi che sono protagonisti del post di oggi, pur nella stessa chiave di lettura, hanno però spessore diverso e importanza decisamente inferiore.
Sono due gli eventi: il primo si riferisce alla grande agitazione che il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella (il nome à tutto un programma) ha messo al Presidente della Repubblica per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi, condannato all’ergastolo dal Tribunale di Milano per l’omicidio del commissario Calabresi.
Parlo di grande agitazione, ma potrei dire grande fretta nel chiudere la pratica: entrambi – il ministro ed il presidente – non hanno ancora preso dimestichezza con il loro incarico e la prima cosa che hanno realizzato è la grazia a Bompressi, in attesa – aggiungo io – di mettere in cantiere anche quella a Sofri.
In tutta questa fretta i due personaggi, evidentemente abituati a gestire il potere ma non le buone maniere, si sono dimenticati di compiere un gesto che definire “dovuto” è il minimo: avvertire la vedova di Calabresi (non dimentichiamolo: servitore dello Stato) della decisione che la combriccola di intellettuali di sinistra che sta dietro all’operazione ha loro “imposto” di fatto; comunque sia, la signora Calabresi ha appreso della grazia attraverso la televisione e si è dichiarata sconcertata e addolorata dalla mancanza di tatto (aggiungerei anche “educazione”); i due sono corsi ai ripari e, sia pure in ritardo hanno telefonato alla vedova Calabresi per scusarsi ufficialmente della gaffe compiuta: non si hanno notizie di come ha reagito la signora.
Il secondo evento ha come protagonista tale Sergio D’Elia, condannato a 30 anni – ridotti a 25 in appello – per concorso nell’omicidio, avvenuto nel 1978, dell’agente di polizia Fausto Dionisi, durante l’azione di un gruppo di militanti di “Prima Linea” che voleva liberare alcuni detenuti nelle carceri di Firenze.
La permanenza in carcere (non so per quanti anni) deve essere stata così fruttifera che si potrebbe consigliare anche ai nostri giovani in alternativa all’Università: pensate che questo signore (il D’Elia), è già stato per alcuni anni presidente dell’Associazione Internazionale di matrice radicale “Nessuno tocchi Caino”, che lotta contro la pena di morte, e a queste elezioni è diventato deputato per “La rosa nel pugno” e, dopo l’insediamento delle Camere, è stato nominato addirittura Segretario d’aula a Montecitorio.
La signora Mariella Magi, vedova dell’agente ucciso, non l’ha presa bene e possiamo pure dire che c’è rimasta malissimo: “Ha ucciso mio marito e ora è deputato”, questa la prima sua dichiarazione dopo avere appreso dello svolgimento della vicenda.
Ecco, anche la signora Mariella è una di quelle persone che trova difficoltà a perdonare, ma soprattutto trova difficile perdonare uno che non si pente di niente e anzi sembra quasi che abbia utilizzato le sue gesta da brigatista per fare carriera in campo politico.
Alla signora è stato chiesto come si comporterebbe se D’Elia chiedesse il suo perdono; sentite la risposta: “Quale perdono? Quello cristiano non va chiesto né a me né a mia figlia. Se parliamo invece di quello giudiziario rispondo che non lo avrei mai concesso…ma lui ormai non ne ha bisogno” e, aggiungo io: “neppure lo ha mai chiesto”.
Così va il mondo; meditiamo gente, meditiamo!
I personaggi che sono protagonisti del post di oggi, pur nella stessa chiave di lettura, hanno però spessore diverso e importanza decisamente inferiore.
Sono due gli eventi: il primo si riferisce alla grande agitazione che il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella (il nome à tutto un programma) ha messo al Presidente della Repubblica per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi, condannato all’ergastolo dal Tribunale di Milano per l’omicidio del commissario Calabresi.
Parlo di grande agitazione, ma potrei dire grande fretta nel chiudere la pratica: entrambi – il ministro ed il presidente – non hanno ancora preso dimestichezza con il loro incarico e la prima cosa che hanno realizzato è la grazia a Bompressi, in attesa – aggiungo io – di mettere in cantiere anche quella a Sofri.
In tutta questa fretta i due personaggi, evidentemente abituati a gestire il potere ma non le buone maniere, si sono dimenticati di compiere un gesto che definire “dovuto” è il minimo: avvertire la vedova di Calabresi (non dimentichiamolo: servitore dello Stato) della decisione che la combriccola di intellettuali di sinistra che sta dietro all’operazione ha loro “imposto” di fatto; comunque sia, la signora Calabresi ha appreso della grazia attraverso la televisione e si è dichiarata sconcertata e addolorata dalla mancanza di tatto (aggiungerei anche “educazione”); i due sono corsi ai ripari e, sia pure in ritardo hanno telefonato alla vedova Calabresi per scusarsi ufficialmente della gaffe compiuta: non si hanno notizie di come ha reagito la signora.
Il secondo evento ha come protagonista tale Sergio D’Elia, condannato a 30 anni – ridotti a 25 in appello – per concorso nell’omicidio, avvenuto nel 1978, dell’agente di polizia Fausto Dionisi, durante l’azione di un gruppo di militanti di “Prima Linea” che voleva liberare alcuni detenuti nelle carceri di Firenze.
La permanenza in carcere (non so per quanti anni) deve essere stata così fruttifera che si potrebbe consigliare anche ai nostri giovani in alternativa all’Università: pensate che questo signore (il D’Elia), è già stato per alcuni anni presidente dell’Associazione Internazionale di matrice radicale “Nessuno tocchi Caino”, che lotta contro la pena di morte, e a queste elezioni è diventato deputato per “La rosa nel pugno” e, dopo l’insediamento delle Camere, è stato nominato addirittura Segretario d’aula a Montecitorio.
La signora Mariella Magi, vedova dell’agente ucciso, non l’ha presa bene e possiamo pure dire che c’è rimasta malissimo: “Ha ucciso mio marito e ora è deputato”, questa la prima sua dichiarazione dopo avere appreso dello svolgimento della vicenda.
Ecco, anche la signora Mariella è una di quelle persone che trova difficoltà a perdonare, ma soprattutto trova difficile perdonare uno che non si pente di niente e anzi sembra quasi che abbia utilizzato le sue gesta da brigatista per fare carriera in campo politico.
Alla signora è stato chiesto come si comporterebbe se D’Elia chiedesse il suo perdono; sentite la risposta: “Quale perdono? Quello cristiano non va chiesto né a me né a mia figlia. Se parliamo invece di quello giudiziario rispondo che non lo avrei mai concesso…ma lui ormai non ne ha bisogno” e, aggiungo io: “neppure lo ha mai chiesto”.
Così va il mondo; meditiamo gente, meditiamo!
giovedì, giugno 01, 2006
LA REALTA' SUPERA OGNI FANTASIA
Credevo di averle viste tutte, o quasi, credevo di avere assistito ad ogni forma di idiozia, credevo di essere venuto a conoscenza di tutte le forme di nefandezza contrabbandate da cose normali, ma così evidentemente non era, perché le notizie che provengono dall’Olanda mi hanno lasciato di stucco.
Qual’è allora la novità che ci perviene dal paese dei mulini a vento e dei tulipani: il suo nome è “Nvd” sigla che sta ad indicare, letteralmente, “amore per il prossimo”, “libertà” e “diversità” ed è il nome che viene applicato ad un nuovissimo partito politico che ha visto la luce in questi giorni.
Tra le tante cose “sconvenienti” che propone – delle quali parleremo più avanti – la più lieve è la libertà di nudismo ovunque e questo, viste le temperature medie olandesi per la maggior parte dell’anno, fa veramente sorridere.
Ma veniamo alle cose più “importanti”, vedendole in forma crescente rispetto alla “mia” e spero alla vostra moralità: anzitutto abbassare l’età legale per bere e scommettere a dodici anni; via libera ai film porno in televisione fin dalla mattina (mi sembra che con il sesso criptato, questo ci sia anche adesso da noi); gli attori di questi film porno possono avere anche sedici anni e a questa stessa età possono prostituirsi; legalizzare il sesso con animali, vietando solo quelle pratiche che provocano sofferenza alla povera bestia; liberalizzazione completa di tutte le droghe sia leggere che pesanti (non si dice a quale età).
Quello che ho indicato sopra è un primo pacchetto di norme che l’Nvd intenderebbe fare approvare, alle quali si aggiungono anche alcune regole che non hanno niente a che vedere con droga e sesso e sono, precisamente, la norma che abolisce i minimi salariali, lasciando le aziende libere di comportarsi come ritengono meglio: l’assistenza sanitaria, i trasporti e i libri scolastici dovranno essere completamente gratuiti; .
Ma ci sono anche alcuni punti del programma che meritano “rispetto”: aumento del numero delle spine elettriche nelle stazioni per collegare il computer portatile; permesso ai detenuti di tenersi un piccolo animale in cella (non a scopo sessuale come ha pensato qualcuno di voi!!).
Con questi punti programmatici che appaiono abbastanza condivisibili anche se di difficile attuazione per il bilancio erariale, vorrei sapere come si concilia quanto viene appresso: abbassata a 12 (dodici) anni la soglia per fare sesso con un o una minore e conseguente cancellazione della punibilità di questo che fino ad ora veniva considerato un reato; coerentemente con quanto sopra, l’educazione sessuale dovrebbe essere impartita ad iniziare dagli asili (non è una mia idea, ma una richiesta dell’Nvd!!).
Quest’ultimo punto programmatico ha fatto sì che la nuova formazione politica venisse subito ribattezzata “il partito dei pedofili”; un mio auspicio sarebbe che vi si iscrivessero tutti i pedofili del mondo in modo da poterli più facilmente individuare, conoscere e – con la massima democrazia – arrestare; dopo averli sbattuti in galera, invece di usare la cosiddetta “castrazione chimica”, si dovrebbe tornare a “quella classica”, dove l’oggetto da tagliare si comprende bene quale sia.
Ho cercato di tenere il tono di questo mio intervento più leggero possibile, ma non posso tacere che sono assolutamente sbalordito che ci possa essere nella civilissima Olanda chi ritiene fattibili tutte quelle pratiche di carattere sessuale e, al tempo stesso, proporre anche quelle misure di carattere sociale che non possiamo che apprezzare.
Quale sarà la risposta delle autorità politiche e legali olandesi? Non credo, almeno voglio sperare, che si giungerà mai ad autorizzare una formazione politica a battersi per queste cose, ma, ho anche paura che si attui il detto “il peggio deve ancora venire”!!
Qual’è allora la novità che ci perviene dal paese dei mulini a vento e dei tulipani: il suo nome è “Nvd” sigla che sta ad indicare, letteralmente, “amore per il prossimo”, “libertà” e “diversità” ed è il nome che viene applicato ad un nuovissimo partito politico che ha visto la luce in questi giorni.
Tra le tante cose “sconvenienti” che propone – delle quali parleremo più avanti – la più lieve è la libertà di nudismo ovunque e questo, viste le temperature medie olandesi per la maggior parte dell’anno, fa veramente sorridere.
Ma veniamo alle cose più “importanti”, vedendole in forma crescente rispetto alla “mia” e spero alla vostra moralità: anzitutto abbassare l’età legale per bere e scommettere a dodici anni; via libera ai film porno in televisione fin dalla mattina (mi sembra che con il sesso criptato, questo ci sia anche adesso da noi); gli attori di questi film porno possono avere anche sedici anni e a questa stessa età possono prostituirsi; legalizzare il sesso con animali, vietando solo quelle pratiche che provocano sofferenza alla povera bestia; liberalizzazione completa di tutte le droghe sia leggere che pesanti (non si dice a quale età).
Quello che ho indicato sopra è un primo pacchetto di norme che l’Nvd intenderebbe fare approvare, alle quali si aggiungono anche alcune regole che non hanno niente a che vedere con droga e sesso e sono, precisamente, la norma che abolisce i minimi salariali, lasciando le aziende libere di comportarsi come ritengono meglio: l’assistenza sanitaria, i trasporti e i libri scolastici dovranno essere completamente gratuiti; .
Ma ci sono anche alcuni punti del programma che meritano “rispetto”: aumento del numero delle spine elettriche nelle stazioni per collegare il computer portatile; permesso ai detenuti di tenersi un piccolo animale in cella (non a scopo sessuale come ha pensato qualcuno di voi!!).
Con questi punti programmatici che appaiono abbastanza condivisibili anche se di difficile attuazione per il bilancio erariale, vorrei sapere come si concilia quanto viene appresso: abbassata a 12 (dodici) anni la soglia per fare sesso con un o una minore e conseguente cancellazione della punibilità di questo che fino ad ora veniva considerato un reato; coerentemente con quanto sopra, l’educazione sessuale dovrebbe essere impartita ad iniziare dagli asili (non è una mia idea, ma una richiesta dell’Nvd!!).
Quest’ultimo punto programmatico ha fatto sì che la nuova formazione politica venisse subito ribattezzata “il partito dei pedofili”; un mio auspicio sarebbe che vi si iscrivessero tutti i pedofili del mondo in modo da poterli più facilmente individuare, conoscere e – con la massima democrazia – arrestare; dopo averli sbattuti in galera, invece di usare la cosiddetta “castrazione chimica”, si dovrebbe tornare a “quella classica”, dove l’oggetto da tagliare si comprende bene quale sia.
Ho cercato di tenere il tono di questo mio intervento più leggero possibile, ma non posso tacere che sono assolutamente sbalordito che ci possa essere nella civilissima Olanda chi ritiene fattibili tutte quelle pratiche di carattere sessuale e, al tempo stesso, proporre anche quelle misure di carattere sociale che non possiamo che apprezzare.
Quale sarà la risposta delle autorità politiche e legali olandesi? Non credo, almeno voglio sperare, che si giungerà mai ad autorizzare una formazione politica a battersi per queste cose, ma, ho anche paura che si attui il detto “il peggio deve ancora venire”!!
mercoledì, maggio 31, 2006
QUANDO E' DIFFICILE DIMENTICARE
La recente visita di Papa Benedetto XVI in Polonia ha avuto uno dei momenti più significativi nel campo di sterminio nazista di Auschwitz; in tale occasione il Sommo Pontefice ha avuto parole di viva commozione e di forte riprovazione per i crimini commessi da Hitler e dai suoi accoliti.
In particolare il Papa, che non dobbiamo dimenticare essere di origine tedesca, ha sostenuto la tesi che un manipolo di “criminali” si era impadronito della Germania e, con futili e vane promesse di benessere e di grandezza storica, aveva convinto il popolo – anche con la violenza quando le aspettative non erano sufficienti – a seguire questa ideologia pazzesca.
Il Santo Padre ha anche “rimproverato” Dio per avere permesso tutto questo e ha sostenuto che i nazisti “ammazzando gli ebrei come pecore da macello volevano uccidere Dio e quindi anche il cattolicesimo”; nessun accenno a eventuali colpe o responsabilità delle alte gerarchie ecclesiastiche del Vaticano nell’olocausto, ovviamente non dirette ma indirette, cioè il non avere stigmatizzato abbastanza e al tempo debito l’operato di Hitler.
La comunità ebraica, sia pure sottovoce, non ha apprezzato totalmente il discorso del Papa, al quale ha rimproverato alcune “dimenticanze” su argomenti che loro vanno sostenendo da tempo: le gerarchie vaticane, con Papa Pio XII in testa, hanno avuto responsabilità, come minimo per non aver avuto il coraggio di intervenire; il popolo tedesco non può essere assolto in questo modo semplicistico dall’accusa di complicità con il nazismo; nessuno in Germania può onestamente affermare di “non aver saputo” che era in atto un autentico sterminio razziale.
Più o meno negli stessi giorni, si è verificato un altro fatterello che forse non siete venuti a conoscenza in quanto la nostra stampa – sempre più formata da “pennivendoli” – ha bellamente taciuto o relegato in trafiletti sperduti nelle ultime pagine dei quotidiani; per quanto riguarda le televisioni, silenzio totale, nessun TG ne ha minimamente accennato.
Ecco cosa riguarda: un gruppo di insorti ungheresi contro l’invasione sovietica del 1956 ha protestato con il governo di Budapest per l’invito ufficiale rivolto al nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di partecipare alle celebrazioni del 50esimo anniversario dell’insurrezione.
La parlamentare ungherese Maria Wittner, facendosi portavoce anche di due celebri insorti, Sandor Racz e Laszlo Balas Piri, ha inviato una lettera al presidente ungherese, nella quale “protesta fermamente per l’invito a un politico – anche se egli è diventato Presidente della Repubblica Italiana – che diede sostegno internazionale agli assassini sovietici che hanno schiacciato nel sangue l’aspirazione dell’Ungheria alla libertà”.
Il portavoce della presidenza ungherese ha dichiarato che l’invito non sarà ritirato in quanto “il punto di vista espresso da Napolitano al momento dell’ingresso dei carri armati sovietici in Ungheria si é modificato nel corso del tempo”.
Mi chiederete perché ho messo insieme questi due episodi lontani tra loro – almeno in apparenza – anni luce; ebbene, la motivazione che mi ha mosso è nel titolo stesso di questo post, laddove il dimenticare è reso difficile dalle sofferenze che un popolo o una comunità ha subito nel corso della storia.
Queste sofferenze sono ancora talmente “a galla” nei loro spiriti da sorpassare qualsiasi concetto ispirato alla “convenienza” ed al comportamento “politically correct”, come si usa dire ai giorni nostri: ci sono patimenti che non possono essere né dimenticati né perdonati e qua sopra abbiamo parlato proprio di un paio di questi.
In particolare il Papa, che non dobbiamo dimenticare essere di origine tedesca, ha sostenuto la tesi che un manipolo di “criminali” si era impadronito della Germania e, con futili e vane promesse di benessere e di grandezza storica, aveva convinto il popolo – anche con la violenza quando le aspettative non erano sufficienti – a seguire questa ideologia pazzesca.
Il Santo Padre ha anche “rimproverato” Dio per avere permesso tutto questo e ha sostenuto che i nazisti “ammazzando gli ebrei come pecore da macello volevano uccidere Dio e quindi anche il cattolicesimo”; nessun accenno a eventuali colpe o responsabilità delle alte gerarchie ecclesiastiche del Vaticano nell’olocausto, ovviamente non dirette ma indirette, cioè il non avere stigmatizzato abbastanza e al tempo debito l’operato di Hitler.
La comunità ebraica, sia pure sottovoce, non ha apprezzato totalmente il discorso del Papa, al quale ha rimproverato alcune “dimenticanze” su argomenti che loro vanno sostenendo da tempo: le gerarchie vaticane, con Papa Pio XII in testa, hanno avuto responsabilità, come minimo per non aver avuto il coraggio di intervenire; il popolo tedesco non può essere assolto in questo modo semplicistico dall’accusa di complicità con il nazismo; nessuno in Germania può onestamente affermare di “non aver saputo” che era in atto un autentico sterminio razziale.
Più o meno negli stessi giorni, si è verificato un altro fatterello che forse non siete venuti a conoscenza in quanto la nostra stampa – sempre più formata da “pennivendoli” – ha bellamente taciuto o relegato in trafiletti sperduti nelle ultime pagine dei quotidiani; per quanto riguarda le televisioni, silenzio totale, nessun TG ne ha minimamente accennato.
Ecco cosa riguarda: un gruppo di insorti ungheresi contro l’invasione sovietica del 1956 ha protestato con il governo di Budapest per l’invito ufficiale rivolto al nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di partecipare alle celebrazioni del 50esimo anniversario dell’insurrezione.
La parlamentare ungherese Maria Wittner, facendosi portavoce anche di due celebri insorti, Sandor Racz e Laszlo Balas Piri, ha inviato una lettera al presidente ungherese, nella quale “protesta fermamente per l’invito a un politico – anche se egli è diventato Presidente della Repubblica Italiana – che diede sostegno internazionale agli assassini sovietici che hanno schiacciato nel sangue l’aspirazione dell’Ungheria alla libertà”.
Il portavoce della presidenza ungherese ha dichiarato che l’invito non sarà ritirato in quanto “il punto di vista espresso da Napolitano al momento dell’ingresso dei carri armati sovietici in Ungheria si é modificato nel corso del tempo”.
Mi chiederete perché ho messo insieme questi due episodi lontani tra loro – almeno in apparenza – anni luce; ebbene, la motivazione che mi ha mosso è nel titolo stesso di questo post, laddove il dimenticare è reso difficile dalle sofferenze che un popolo o una comunità ha subito nel corso della storia.
Queste sofferenze sono ancora talmente “a galla” nei loro spiriti da sorpassare qualsiasi concetto ispirato alla “convenienza” ed al comportamento “politically correct”, come si usa dire ai giorni nostri: ci sono patimenti che non possono essere né dimenticati né perdonati e qua sopra abbiamo parlato proprio di un paio di questi.
martedì, maggio 30, 2006
QUESTA NON E' FATALITA'
In Indonesia, precisamente nell’Isola di Giava, un terremoto di media entità (6,2 della scala Richter) ha fatto una strage: al momento in cui scrivo sono 5.000 i morti “ufficiali”, e almeno 20.000 i feriti, mentre i senza tetto variano tra un numero di 100.000 di stima UNICEF e 200.000 di fonte Croce Rossa; ma queste cifre sono purtroppo destinate ad aumentare quando saranno rimosse tutte le macerie, anche perché adesso si temono anche epidemie.
L’evento è di quelli che, quando accadono, ci fanno imprecare alla sfortuna che colpisce povere popolazioni indifese, alla natura che sembra ribellarsi contro il dominio dell’uomo ed altre scempiaggini del genere; dico questo perché se intervistate un sismologo vi dirà che terremoti come quello di Giava ne avvengono almeno un paio al giorno e in Italia, in un anno, ci sono almeno 8.000 scosse con magnitudo superiore a 4; a mo’ di corollario aggiunge che se una scossa come quella registrata a Giava si fosse abbattuta in Giappone o in California non avrebbe provocato vittime e probabilmente neppure danni consistenti.
Detta così, si resta perplessi, perché sembra quasi che i morti siano stati causati da un’altra cosa che non dal sisma; e invece è stato proprio quello a provocare i morti e le distruzioni, ma la responsabilità del terremoto è assai relativa in quanto le vittime sono state tutte provocate dai crolli degli edifici costruiti senza alcune attenzione alla normativa anti sismica.
L’Indonesia è un Paese ancora povero che sta avendo un “apparente” boom economico in questi ultimi anni, derivato principalmente dal turismo; per stare in linea con la richiesta di strutture abitative, hanno tirato su case all’impazzata senza nessun criterio e senza nessuna verifica, e questi sono i risultati.
Ecco perché nel mio titolo parlo di “fatalità”, in quanto non possiamo imputare a questo fattore i mali che tutti noi conosciamo, ma neppure quelli indotti dalla superficialità e dall’ingordigia di incassare dei denari per riempire la pancia; a questo proposito va notato che gli unici edifici che non hanno risentito del sisma sono quelli governativi e certi alberghi di lusso destinati a turisti di riguardo: come volevasi dimostrare!
Gli scienziati del settore, che appaiono solo in presenza di queste disgrazie per poi scomparire come messi in naftalina, affermano che al momento non hanno fatto grandi progressi gli studi per “prevedere” i terremoti e che quindi l’unica forma di lotta è la costruzione – in zone sismiche ben identificabili – di strutture abitative e commerciali realizzate con criteri anti sismici; in Paesi più ricchi e progrediti ci sono già arrivati, mentre per gli “altri” bisognerà attendere ancora un bel numero di terremoti.
Le autorità indonesiane stanno chiedendo aiuto al mondo intero e, quando gli altri gli domandano di cosa hanno bisogno, la risposta è sempre la stessa: di tutto!
Diversamente dall’evento-tsunami, dove c’erano svariati occidentali morti o feriti, in questa occasione non sembra che si stia ripetendo questa situazione; perché dico questo, ma perché – come ebbi modo di scrivere all’epoca – la grande generosità del mondo occidentale derivò dall’interesse spasmodico che i mass-media dettero all’accaduto e questo interesse discendeva direttamente dalla presenza di connazionali morti o feriti o scampati miracolosamente.
Datemi pure del cinico, ma l’iter della generosità passa attraverso l’interessamento dei media e quindi questa volta ci sarà meno “generosità”: scommettiamo che ci indovino?
L’evento è di quelli che, quando accadono, ci fanno imprecare alla sfortuna che colpisce povere popolazioni indifese, alla natura che sembra ribellarsi contro il dominio dell’uomo ed altre scempiaggini del genere; dico questo perché se intervistate un sismologo vi dirà che terremoti come quello di Giava ne avvengono almeno un paio al giorno e in Italia, in un anno, ci sono almeno 8.000 scosse con magnitudo superiore a 4; a mo’ di corollario aggiunge che se una scossa come quella registrata a Giava si fosse abbattuta in Giappone o in California non avrebbe provocato vittime e probabilmente neppure danni consistenti.
Detta così, si resta perplessi, perché sembra quasi che i morti siano stati causati da un’altra cosa che non dal sisma; e invece è stato proprio quello a provocare i morti e le distruzioni, ma la responsabilità del terremoto è assai relativa in quanto le vittime sono state tutte provocate dai crolli degli edifici costruiti senza alcune attenzione alla normativa anti sismica.
L’Indonesia è un Paese ancora povero che sta avendo un “apparente” boom economico in questi ultimi anni, derivato principalmente dal turismo; per stare in linea con la richiesta di strutture abitative, hanno tirato su case all’impazzata senza nessun criterio e senza nessuna verifica, e questi sono i risultati.
Ecco perché nel mio titolo parlo di “fatalità”, in quanto non possiamo imputare a questo fattore i mali che tutti noi conosciamo, ma neppure quelli indotti dalla superficialità e dall’ingordigia di incassare dei denari per riempire la pancia; a questo proposito va notato che gli unici edifici che non hanno risentito del sisma sono quelli governativi e certi alberghi di lusso destinati a turisti di riguardo: come volevasi dimostrare!
Gli scienziati del settore, che appaiono solo in presenza di queste disgrazie per poi scomparire come messi in naftalina, affermano che al momento non hanno fatto grandi progressi gli studi per “prevedere” i terremoti e che quindi l’unica forma di lotta è la costruzione – in zone sismiche ben identificabili – di strutture abitative e commerciali realizzate con criteri anti sismici; in Paesi più ricchi e progrediti ci sono già arrivati, mentre per gli “altri” bisognerà attendere ancora un bel numero di terremoti.
Le autorità indonesiane stanno chiedendo aiuto al mondo intero e, quando gli altri gli domandano di cosa hanno bisogno, la risposta è sempre la stessa: di tutto!
Diversamente dall’evento-tsunami, dove c’erano svariati occidentali morti o feriti, in questa occasione non sembra che si stia ripetendo questa situazione; perché dico questo, ma perché – come ebbi modo di scrivere all’epoca – la grande generosità del mondo occidentale derivò dall’interesse spasmodico che i mass-media dettero all’accaduto e questo interesse discendeva direttamente dalla presenza di connazionali morti o feriti o scampati miracolosamente.
Datemi pure del cinico, ma l’iter della generosità passa attraverso l’interessamento dei media e quindi questa volta ci sarà meno “generosità”: scommettiamo che ci indovino?
lunedì, maggio 29, 2006
I COSTI DELLA PARTITOCRAZIA
A proposito dei costi della politica, dei quali ho trattato nel post immediatamente precedente a questo, non dobbiamo tralasciare di mettere quello che da più parti viene considerata come la componente essenziale, la madre di tutti gli sprechi.
Mi riferisco alle enormi dimensioni che hanno assunto i partiti politici in Italia e, principalmente, ai costi altissimi dei loro apparati; questo problema – per la verità – è di quasi tutte le democrazie rappresentative europee, ma in Italia ha assunto forme e dimensioni talmente degenerate che rasentano la patologia.
Alcuni studiosi del problema imputano questa situazione alla presenza in Italia, nel dopoguerra, del più forte partito comunista d’Europa che riceveva forti sovvenzioni dall’URSS e con queste aveva messo in piedi un capillare apparato di funzionari che poi alcuni – diciamo la sola D.C. che mi sembra più veritiero! – ha cercato di copiare avvalendosi dei dollari inviati dagli U.S.A.
Il sistema è andato avanti finché due eventi hanno “disturbato” i manovratori: il primo è stato Tangentopoli con i tagli forzati alle “dazioni” che sono stati imposti dal bravo Tonino Di Pietro; il secondo è stato il referendum del 1993 sul finanziamento pubblico ai partiti, fortemente voluto dai radicali e stravinto con percentuali assolutamente “bulgare”: pensate che i favorevoli all’abolizione furono addirittura il 90% dei voti.
Mentre per il primo evento luttuoso (tangentopoli) c’è stato poco da fare, se non fare le cose con più attenzione, per il secondo (referendum) l’escamotage è stato immediatamente trovato, sostituendo l’allocuzione di “finanziamento pubblico” con quello di “rimborsi elettorali”, che addirittura aumenta le cifre che vanno ai singoli apparati.
Con una aggravante: presentarsi alle elezioni è diventato un affare per moltissimi furbi che hanno scoperto il trucco; qui di seguito vi indicherò il nome di alcune formazioni politiche con accanto il rimborso percepito e voi mi dovete fare la cortesia di dirmi se qualcuno conosce questi banditi: “Insieme per Presso” (710/mila euro); “Puglia prima di tutto” (327/mila euro); “Primavera pugliese” (92/mila euro); “Fortza Paris”, non è un errore di battitura (68/mila euro); “Primavera siciliana” (53/mila euro); “Stella Alpina” (21/mila euro); allora, mi raccomando, se qualcuno dei miei lettori conosce anche solo per sentito dire qualcuno di questi gruppi, mi faccia un cenno; oppure se qualcuno è interessato, potremmo anche noi formare una formazione politica con un bel nome altisonante e così iscriversi per i rimborsi.
Scherzi a parte e chiudendo con le cifre, vi debbo segnalare che nel 2005 lo Stato – cioè tutti noi – ha pagato per il rimborso delle spese elettorali poco meno di 200 milioni di euro (cioè 400 miliardi del vecchio conio), suddividendo tale cifra tra 113 formazioni politiche (o presunte tali).
Voglio concludere con una sorta di aneddoto che risale al 1946, cioè immediato dopoguerra, pochi soldi, grandi distruzioni, Italia da ricostruire, ecc.: Guglielmo Giannini, fondatore dell’Uomo Qualunque, propose di affidare la gestione della cosa pubblica a un Ragioniere dello Stato per cinque anni, senza possibilità di essere rinnovato nell’incarico; i partiti di allora – che poi sono grosso modo quelli di adesso – reagirono in modo furibondo e bollarono il Giannini con un termine (“qualunquista”) che da allora è diventato uno dei peggiori insulti politici, superato solo da “fascista”.
I signori dei partiti avevano perfettamente capito che se questa idea avesse preso piede, il loro potere sarebbe stato drasticamente ridimensionato, ed infatti….
Mi riferisco alle enormi dimensioni che hanno assunto i partiti politici in Italia e, principalmente, ai costi altissimi dei loro apparati; questo problema – per la verità – è di quasi tutte le democrazie rappresentative europee, ma in Italia ha assunto forme e dimensioni talmente degenerate che rasentano la patologia.
Alcuni studiosi del problema imputano questa situazione alla presenza in Italia, nel dopoguerra, del più forte partito comunista d’Europa che riceveva forti sovvenzioni dall’URSS e con queste aveva messo in piedi un capillare apparato di funzionari che poi alcuni – diciamo la sola D.C. che mi sembra più veritiero! – ha cercato di copiare avvalendosi dei dollari inviati dagli U.S.A.
Il sistema è andato avanti finché due eventi hanno “disturbato” i manovratori: il primo è stato Tangentopoli con i tagli forzati alle “dazioni” che sono stati imposti dal bravo Tonino Di Pietro; il secondo è stato il referendum del 1993 sul finanziamento pubblico ai partiti, fortemente voluto dai radicali e stravinto con percentuali assolutamente “bulgare”: pensate che i favorevoli all’abolizione furono addirittura il 90% dei voti.
Mentre per il primo evento luttuoso (tangentopoli) c’è stato poco da fare, se non fare le cose con più attenzione, per il secondo (referendum) l’escamotage è stato immediatamente trovato, sostituendo l’allocuzione di “finanziamento pubblico” con quello di “rimborsi elettorali”, che addirittura aumenta le cifre che vanno ai singoli apparati.
Con una aggravante: presentarsi alle elezioni è diventato un affare per moltissimi furbi che hanno scoperto il trucco; qui di seguito vi indicherò il nome di alcune formazioni politiche con accanto il rimborso percepito e voi mi dovete fare la cortesia di dirmi se qualcuno conosce questi banditi: “Insieme per Presso” (710/mila euro); “Puglia prima di tutto” (327/mila euro); “Primavera pugliese” (92/mila euro); “Fortza Paris”, non è un errore di battitura (68/mila euro); “Primavera siciliana” (53/mila euro); “Stella Alpina” (21/mila euro); allora, mi raccomando, se qualcuno dei miei lettori conosce anche solo per sentito dire qualcuno di questi gruppi, mi faccia un cenno; oppure se qualcuno è interessato, potremmo anche noi formare una formazione politica con un bel nome altisonante e così iscriversi per i rimborsi.
Scherzi a parte e chiudendo con le cifre, vi debbo segnalare che nel 2005 lo Stato – cioè tutti noi – ha pagato per il rimborso delle spese elettorali poco meno di 200 milioni di euro (cioè 400 miliardi del vecchio conio), suddividendo tale cifra tra 113 formazioni politiche (o presunte tali).
Voglio concludere con una sorta di aneddoto che risale al 1946, cioè immediato dopoguerra, pochi soldi, grandi distruzioni, Italia da ricostruire, ecc.: Guglielmo Giannini, fondatore dell’Uomo Qualunque, propose di affidare la gestione della cosa pubblica a un Ragioniere dello Stato per cinque anni, senza possibilità di essere rinnovato nell’incarico; i partiti di allora – che poi sono grosso modo quelli di adesso – reagirono in modo furibondo e bollarono il Giannini con un termine (“qualunquista”) che da allora è diventato uno dei peggiori insulti politici, superato solo da “fascista”.
I signori dei partiti avevano perfettamente capito che se questa idea avesse preso piede, il loro potere sarebbe stato drasticamente ridimensionato, ed infatti….