sabato, aprile 04, 2009
LA CINA VUOLE CONTARE DI PIU'
Durante il G20, il Presidente cinese Ho Jintao, non si è “visto” – mediaticamente parlando – più di tanto, ma nelle discussioni lontano da orecchi indiscreti, la sua presenza è stata avvertita da tutti; in sostanza si è visto che la Cina non si accontenta più di essere il Motore dell’economia mondiale, non vuole più essere utilizzata dall’Occidente come area di produzione – manodopera a basso costo – o di esportazione selvaggia – esigenze di modernizzare il paese – ma adesso vuole contare davvero nelle stanze dove di premono i bottoni giusti.
Il presidente cinese ha posto sul piano del tavolo di discussione alcuni “atout” indiscutibili: il primo è il possesso del 75% del debito pubblico americano, il che significa condizionare l’andamento del dollaro; il secondo è la particolarità del paese asiatico, che – è bene ricordarlo – non ha un parlamento degno di questo nome, non ha dei partiti e neppure dei sindacati e, in ultima analisi, neppure degli elettori ai quali rendere conto; è in mano a una elité che dispone su tutto.
In concreto, il mondo cinese – che vive questa crisi come gli altri – ha una gran massa di disoccupati come il resto del mondo, ma non protestano e non si agitano, per non incorrere in reati gravissimi che comportano pene altrettanto pesanti: diciamo che tutti, o quasi, i paesi arrivati a Londra, “invidiano” il collega cinese in quanto al loro ritorno in patria debbono fare i conti con una marea montante di proteste e di proposte.
Ma quale sarebbe la strategia della Cina per arrivare a contare di più? Visto che tutte le provvidenze – l’ultima è quella di 1100 miliardi di dollari proposta da Obama – confluiscono al Fondo Monetario Internazionale, l’intento è quello di entrarci dalla porta principale e di assumere un ruolo di primissimo piano.
Due le mosse pensate da Ho Jintao: la prima è l’abolizione del dollaro dagli scambi internazionali e la sua sostituzione con dei Diritti Speciali di Prelievo, una valuta convenzionale usata dal F.M.I.; la seconda è la proposta alla stessa istituzione di concedere ancora maggiori finanziamenti, ma a patto di vedere come vengono utilizzati e – cosa più importante – assumere un ruolo chiave nella gestione dei fondi.
Insomma, con queste mosse la Cina conta di arrivare in qualche anno a sedere allo stesso tavolo dei “potentissimi” e, se vogliamo dirla tutta, se lo meriterebbe anche, fatto salvo ovviamente l’argomento dei diritti umani che in quel paese non vengono minimamente presi in considerazione (ma questo lo abbiamo già detto).
Del resto, se vogliamo vedere le cose come stanno realmente, il Presidente Obama, nell’annunciare tutti i “fantastiliardi” che utilizzerà per rimettere in senso la finanza americana, conta su una sola cosa: la possibilità di collocare il proprio Debito Pubblico, cioè i “bond”, e mi sembra chiaro che il primo paese al quale ha pensato per acquisti massicci di carta stampata è la Cina che, però, adesso non lo fa solo per essere ammessa alla tavola imbandita dai ricchi, ma vuole anche scegliere il menu e gustare le pietanze migliori.
La Cina ha capito benissimo che in questa crisi c’è la possibilità di avvantaggiarsi: sa che c’è a rischio non solo l’intero sistema economico mondiale, ma anche tutte le leadership (forse escluso Obama che è arrivato a crisi avviata) che non hanno saputo prevederla e adesso balbettano sui tentativi di porvi rimedio.
E un’altra cosa: se l’economia mondiale dovrà gioco forza rinunciare a qualche privilegio dei propri abitanti, la Cina è l’unica che può imporre tranquillamente qualsiasi rinuncia ai propri “sudditi”: è un’arma molto potente!!
Il presidente cinese ha posto sul piano del tavolo di discussione alcuni “atout” indiscutibili: il primo è il possesso del 75% del debito pubblico americano, il che significa condizionare l’andamento del dollaro; il secondo è la particolarità del paese asiatico, che – è bene ricordarlo – non ha un parlamento degno di questo nome, non ha dei partiti e neppure dei sindacati e, in ultima analisi, neppure degli elettori ai quali rendere conto; è in mano a una elité che dispone su tutto.
In concreto, il mondo cinese – che vive questa crisi come gli altri – ha una gran massa di disoccupati come il resto del mondo, ma non protestano e non si agitano, per non incorrere in reati gravissimi che comportano pene altrettanto pesanti: diciamo che tutti, o quasi, i paesi arrivati a Londra, “invidiano” il collega cinese in quanto al loro ritorno in patria debbono fare i conti con una marea montante di proteste e di proposte.
Ma quale sarebbe la strategia della Cina per arrivare a contare di più? Visto che tutte le provvidenze – l’ultima è quella di 1100 miliardi di dollari proposta da Obama – confluiscono al Fondo Monetario Internazionale, l’intento è quello di entrarci dalla porta principale e di assumere un ruolo di primissimo piano.
Due le mosse pensate da Ho Jintao: la prima è l’abolizione del dollaro dagli scambi internazionali e la sua sostituzione con dei Diritti Speciali di Prelievo, una valuta convenzionale usata dal F.M.I.; la seconda è la proposta alla stessa istituzione di concedere ancora maggiori finanziamenti, ma a patto di vedere come vengono utilizzati e – cosa più importante – assumere un ruolo chiave nella gestione dei fondi.
Insomma, con queste mosse la Cina conta di arrivare in qualche anno a sedere allo stesso tavolo dei “potentissimi” e, se vogliamo dirla tutta, se lo meriterebbe anche, fatto salvo ovviamente l’argomento dei diritti umani che in quel paese non vengono minimamente presi in considerazione (ma questo lo abbiamo già detto).
Del resto, se vogliamo vedere le cose come stanno realmente, il Presidente Obama, nell’annunciare tutti i “fantastiliardi” che utilizzerà per rimettere in senso la finanza americana, conta su una sola cosa: la possibilità di collocare il proprio Debito Pubblico, cioè i “bond”, e mi sembra chiaro che il primo paese al quale ha pensato per acquisti massicci di carta stampata è la Cina che, però, adesso non lo fa solo per essere ammessa alla tavola imbandita dai ricchi, ma vuole anche scegliere il menu e gustare le pietanze migliori.
La Cina ha capito benissimo che in questa crisi c’è la possibilità di avvantaggiarsi: sa che c’è a rischio non solo l’intero sistema economico mondiale, ma anche tutte le leadership (forse escluso Obama che è arrivato a crisi avviata) che non hanno saputo prevederla e adesso balbettano sui tentativi di porvi rimedio.
E un’altra cosa: se l’economia mondiale dovrà gioco forza rinunciare a qualche privilegio dei propri abitanti, la Cina è l’unica che può imporre tranquillamente qualsiasi rinuncia ai propri “sudditi”: è un’arma molto potente!!
venerdì, aprile 03, 2009
COME E' ANDATO IL G20 ??
Mi sembrava logico che da una riunione così pletorica non ci si potesse attendere niente di operativo e, infatti, così è stato, anche se il prossimo – con un minore numero di partecipanti: il G8 della Maddalena – si ritroverà a risolvere molti problemi lasciati in sospeso dai famosi 20.
Era cominciato con due gruppi distinti e distanti, che si fronteggiavano nel modo di affrontare il futuro della crisi: da una parte il Presidente Obama ed il Premier britannico Brown che chiedevano un impegno altissimo (in termini di soldi) anche a rischio di sforare i parametri di Maastrick, per aiutare le economie in crisi; dall’altra c’erano Sarkozy e la Merkel che erano riottosi ad aprire di nuovo il portafoglio dopo gli aiuti già stanziati e che prima volevano vederne gli effetti e chiedevano invece di aprire le ostilità verso i cosiddetti paradisi fiscali, dove si vanno a stabilire tutte le cifre truffaldine del mondo.
Il nostro Presidente Berlusconi saltabeccava da un gruppo all’altro, cercando – e poi c’è riuscito – di conciliare le richieste dei due gruppi e affinando le armi in vista del G8 della Maddalena dove si augura di congegnare le cose in modo da ottenere un grande successo personale.
Alla fine, comunque, si sono contemperati i desideri di tutti – magari solo a parole – e cioè, si sono stanziati 1100 miliardi di dollari (poco più di 900 miliardi di euro) per ridare slancio all’economia mondiale, frase che più generica di così non si poteva.
Per l’altro gruppo, coloro che volevano la guerra ai paradisi fiscali, si è pubblicata una lista di provenienza OCSE di queste nazioni, suddivisa in “neri”, “grigi” e bianchi: i primi solo soltanto quattro e cioè Costa Rica, Malaysia, Filippine e Uruguay, e a questi è stata promessa guerra dura, mentre i secondi – hanno sottoscritto accordi di rispetto degli standard fiscali ma sinora non li hanno applicati - sono molti di più (38) e comprende una lunga sfilata di Paesi che, andando per ordine alfabetico, comincia con Andorra e termina con Singapore; tra quelli più conosciuti abbiamo la Svizzera (che ha prontamente dichiarato di adeguarsi alle richieste dell’OCSE), l’Austria, il Belgio e il Lussemburgo, oltre ad una sfilata di piccoli paesi a me sconosciuti
Alcune battute circolate sulla stampa ci mostrano un Berlusconi frenetico per mettersi in evidenza; rivolto a Obama gli dice, dopo essersi congratulato per l’elezione, che “si deve tirare su le maniche per fare uscire il mondo dalla crisi, visto che questa arriva dall’America; e lui risponde che il nostro premier ha ragione e che l’importante è restare uniti per risolvere i problemi”; commento: “aria fritta da entrambi”!
C’è stata poi tutta la manfrina – sempre organizzata da Berlusconi – per fare in modo che i fotografi riprendessero insieme Obama e Medvedev; il risultato è stato raggiunto e i due, sorridenti, si stringono la mano, mentre tra loro campeggia il faccione di Berlusconi; per organizzare questa operazione Silvio ha dovuto alzare la voce per chiamare i due ospiti e di questo si è accorta la Regina che ha avuto da ridire: “suvvia, chi è che urla…?”. Maestà, lei non lo conosce ma noi si!
C’è stata poi la gaffe di Michelle Obama che ha osato “toccare” la Regina, la quale, in una foto è ritratta nel suo abito rosa salmone, accanto al brasiliano Lula e con alle spalle il Presidente indiano, quello cinese, Obama e l’immancabile Berlusconi: Elisabetta non mi è sembrata tranquilla, appariva quasi come se volesse dire “ma chi sono questi energumeni? E io cosa ci faccio in mezzo a loro?”.
Fuori intanto i manifestanti si divertivano a sfasciare qualche vetrina ma niente di più!!
Era cominciato con due gruppi distinti e distanti, che si fronteggiavano nel modo di affrontare il futuro della crisi: da una parte il Presidente Obama ed il Premier britannico Brown che chiedevano un impegno altissimo (in termini di soldi) anche a rischio di sforare i parametri di Maastrick, per aiutare le economie in crisi; dall’altra c’erano Sarkozy e la Merkel che erano riottosi ad aprire di nuovo il portafoglio dopo gli aiuti già stanziati e che prima volevano vederne gli effetti e chiedevano invece di aprire le ostilità verso i cosiddetti paradisi fiscali, dove si vanno a stabilire tutte le cifre truffaldine del mondo.
Il nostro Presidente Berlusconi saltabeccava da un gruppo all’altro, cercando – e poi c’è riuscito – di conciliare le richieste dei due gruppi e affinando le armi in vista del G8 della Maddalena dove si augura di congegnare le cose in modo da ottenere un grande successo personale.
Alla fine, comunque, si sono contemperati i desideri di tutti – magari solo a parole – e cioè, si sono stanziati 1100 miliardi di dollari (poco più di 900 miliardi di euro) per ridare slancio all’economia mondiale, frase che più generica di così non si poteva.
Per l’altro gruppo, coloro che volevano la guerra ai paradisi fiscali, si è pubblicata una lista di provenienza OCSE di queste nazioni, suddivisa in “neri”, “grigi” e bianchi: i primi solo soltanto quattro e cioè Costa Rica, Malaysia, Filippine e Uruguay, e a questi è stata promessa guerra dura, mentre i secondi – hanno sottoscritto accordi di rispetto degli standard fiscali ma sinora non li hanno applicati - sono molti di più (38) e comprende una lunga sfilata di Paesi che, andando per ordine alfabetico, comincia con Andorra e termina con Singapore; tra quelli più conosciuti abbiamo la Svizzera (che ha prontamente dichiarato di adeguarsi alle richieste dell’OCSE), l’Austria, il Belgio e il Lussemburgo, oltre ad una sfilata di piccoli paesi a me sconosciuti
Alcune battute circolate sulla stampa ci mostrano un Berlusconi frenetico per mettersi in evidenza; rivolto a Obama gli dice, dopo essersi congratulato per l’elezione, che “si deve tirare su le maniche per fare uscire il mondo dalla crisi, visto che questa arriva dall’America; e lui risponde che il nostro premier ha ragione e che l’importante è restare uniti per risolvere i problemi”; commento: “aria fritta da entrambi”!
C’è stata poi tutta la manfrina – sempre organizzata da Berlusconi – per fare in modo che i fotografi riprendessero insieme Obama e Medvedev; il risultato è stato raggiunto e i due, sorridenti, si stringono la mano, mentre tra loro campeggia il faccione di Berlusconi; per organizzare questa operazione Silvio ha dovuto alzare la voce per chiamare i due ospiti e di questo si è accorta la Regina che ha avuto da ridire: “suvvia, chi è che urla…?”. Maestà, lei non lo conosce ma noi si!
C’è stata poi la gaffe di Michelle Obama che ha osato “toccare” la Regina, la quale, in una foto è ritratta nel suo abito rosa salmone, accanto al brasiliano Lula e con alle spalle il Presidente indiano, quello cinese, Obama e l’immancabile Berlusconi: Elisabetta non mi è sembrata tranquilla, appariva quasi come se volesse dire “ma chi sono questi energumeni? E io cosa ci faccio in mezzo a loro?”.
Fuori intanto i manifestanti si divertivano a sfasciare qualche vetrina ma niente di più!!
giovedì, aprile 02, 2009
I WANT FIAT
Qualcuno di voi avrà visto in qualche film, i manifesti con cui Rooswelt chiamava alle armi i giovani americani in occasione del secondo conflitto mondiale: c’era scritto, a lettere cubitali, “I want you” che significa “io, cioè lo zio Sam, voglio te”; slogan analogo lo ha lanciato il Presidente Obama questa volta non rivolto agli americani, ma ai manager di Chrysler in relazione ad un prestito/aiuto di 6 miliardi di dollari che l’amministrazione statunitense ha subordinato al raggiungimento dell’accordo tra la casa automobilistica americana e la nostra FIAT; quindi “I WANT FIAT”.
La storia recente ci ricorda che lo stesso Barack Obama, quando frequentava l’Occidental College di Los Angeles, viaggiava con grande entusiasmo sulla sua “funky red Fiat”, cioè una “Ritmo” rosso fiammante versione a stelle e strisce che il Lingotto commercializzava negli States.
In concreto, Obama ha definito la nostra casa automobilistica “un partner ideale, pronto a trasferire la sua tecnologia di punta per il rilancio della nostra industria”; sono belle parole e sono soprattutto il riconoscimento di una tecnologia all’avanguardia nel mondo per i motori a bassa emissione di inquinanti e a basso consumo di carburante.
L’accorato appello di Obama non ha lasciato, ovviamente insensibile l’AD di Fiat, Sergio Marchionne che è volato immediatamente a Detroit e successivamente a Washington per siglare l’accordo con Chrysler, garante il ministro del Tesoro U.S.A.; in sostanza sembra che alla FIAT vada un pacchetto di azioni della Chrysler oscillante tra il 20 e il 30%, a titolo assolutamente gratuito, o meglio in corrispettivo della tecnologia per i motori piccoli e dell’assistenza nel comparto delle realizzazioni societarie; a questo proposito, c’è da aggiungere che l’amministrazione americana ed anche il management della FIAT non ha preteso dalla casa americana l’allontanamento dell’A.D. Robert Nardelli, detto “il mastino”, al quale evidentemente non si rimprovera alcunché; da notare che Nardelli, arrivato in Chrysler alla fine del 2007, forte di una maxi liquidazione dalla precedente azienda che lo stipendiava (200 milioni di dollari), si è accontentato di uno stipendio simbolico di 1 dollaro l’anno e quindi non grava certo sul bilancio societario; va da se che a questo misero dollaro ci sarà da aggiungere i bonus e le eventuali stock optino in caso di risultati positivi dell’azienda, circostanza che al momento non è facile individuare a breve.
Mentre la borsa italiana salutava con tutti gli onori l’operazione (FIAT +10%), l’agenzia di rating S&P ha tagliato il rating della FIAT a lungo termine da BBB a BB+ che, nel gergo degli agenti di borsa corrisponde a “Junk”, (cioè “azione spazzatura”) ed ha ridotto anche il giudizio a breve da A3 a B, rimuovendo il titolo dal “credit watch”.
Gli amici che mi fanno l’onore di leggere i miei scritti, si ricorderanno che questa operazione ha molti punti in comune con quella – di qualche anno fa – che vide la FIAT dell’Avvocato Agnelli, impegnata nel salvataggio di un’altra prestigiosa casa automobilistica, l’Alfa Romeo, che venne incorporata dall’azienda del Lingotto senza tirare fuori un bottone e che ha portato fortuna al suo successore – Luca di Montezemolo – facendolo diventare un top manager, da quel “fighetto e basta” che era fino ad allora; ovviamente auguriamoci che tutto vada a finire nel migliore dei modi, sia per la salvaguardia dei posti di lavoro in USA e sia per l’onore della nostra casa automobilistica. Ma siccome non si vive di solo onore, non scordiamoci che proprio ieri la FIAT ha comunicato ai Sindacati una settimana di cassa integrazione per lo stabilimento di Mirafiori e l’aumento da 2 a 3 settimane – per quello di Pomigliano!!
La storia recente ci ricorda che lo stesso Barack Obama, quando frequentava l’Occidental College di Los Angeles, viaggiava con grande entusiasmo sulla sua “funky red Fiat”, cioè una “Ritmo” rosso fiammante versione a stelle e strisce che il Lingotto commercializzava negli States.
In concreto, Obama ha definito la nostra casa automobilistica “un partner ideale, pronto a trasferire la sua tecnologia di punta per il rilancio della nostra industria”; sono belle parole e sono soprattutto il riconoscimento di una tecnologia all’avanguardia nel mondo per i motori a bassa emissione di inquinanti e a basso consumo di carburante.
L’accorato appello di Obama non ha lasciato, ovviamente insensibile l’AD di Fiat, Sergio Marchionne che è volato immediatamente a Detroit e successivamente a Washington per siglare l’accordo con Chrysler, garante il ministro del Tesoro U.S.A.; in sostanza sembra che alla FIAT vada un pacchetto di azioni della Chrysler oscillante tra il 20 e il 30%, a titolo assolutamente gratuito, o meglio in corrispettivo della tecnologia per i motori piccoli e dell’assistenza nel comparto delle realizzazioni societarie; a questo proposito, c’è da aggiungere che l’amministrazione americana ed anche il management della FIAT non ha preteso dalla casa americana l’allontanamento dell’A.D. Robert Nardelli, detto “il mastino”, al quale evidentemente non si rimprovera alcunché; da notare che Nardelli, arrivato in Chrysler alla fine del 2007, forte di una maxi liquidazione dalla precedente azienda che lo stipendiava (200 milioni di dollari), si è accontentato di uno stipendio simbolico di 1 dollaro l’anno e quindi non grava certo sul bilancio societario; va da se che a questo misero dollaro ci sarà da aggiungere i bonus e le eventuali stock optino in caso di risultati positivi dell’azienda, circostanza che al momento non è facile individuare a breve.
Mentre la borsa italiana salutava con tutti gli onori l’operazione (FIAT +10%), l’agenzia di rating S&P ha tagliato il rating della FIAT a lungo termine da BBB a BB+ che, nel gergo degli agenti di borsa corrisponde a “Junk”, (cioè “azione spazzatura”) ed ha ridotto anche il giudizio a breve da A3 a B, rimuovendo il titolo dal “credit watch”.
Gli amici che mi fanno l’onore di leggere i miei scritti, si ricorderanno che questa operazione ha molti punti in comune con quella – di qualche anno fa – che vide la FIAT dell’Avvocato Agnelli, impegnata nel salvataggio di un’altra prestigiosa casa automobilistica, l’Alfa Romeo, che venne incorporata dall’azienda del Lingotto senza tirare fuori un bottone e che ha portato fortuna al suo successore – Luca di Montezemolo – facendolo diventare un top manager, da quel “fighetto e basta” che era fino ad allora; ovviamente auguriamoci che tutto vada a finire nel migliore dei modi, sia per la salvaguardia dei posti di lavoro in USA e sia per l’onore della nostra casa automobilistica. Ma siccome non si vive di solo onore, non scordiamoci che proprio ieri la FIAT ha comunicato ai Sindacati una settimana di cassa integrazione per lo stabilimento di Mirafiori e l’aumento da 2 a 3 settimane – per quello di Pomigliano!!
mercoledì, aprile 01, 2009
LE POLEMICHE SULLA CITTADINANZA AD ENGLARO
Chiarisco subito che non intendo parlare delle polemiche politiche sulla decisione del Comune di Firenze di conferire la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro, ma di un solo aspetto di tali polemiche e precisamente delle dichiarazioni che un prete fiorentino, Don Santoro, ha rivolto al suo Vescovo; andiamo con ordine e vediamo queste frasi che hanno fatto seguito ad alcune citazioni del Vescovo Betori circa l’”offesa fatta alla città con tale onorificenza”.
Dice Don Santoro – definito dai mass media prete no-global, che vorrà dire? – “La Chiesa, quella che nasce dal Vangelo, è capace di scrivere solo parole d’amore; nei vertici ecclesiastici, nel mio vescovo questo amore non l’ho visto”, continuando poi con la frase “se la Chiesa è quella che in questo tempo hanno fatto vedere i vertici ed il mio Vescovo, non mi ci riconosco più”.
Il Vescovo non ha risposto essendo fuori Firenze, ma già alcune voci clericali si sono alzate per stigmatizzare le frasi di Don Santoro: “se fosse coerente, a questo punto farebbe bene a rinunciare al suo incarico di parroco” oppure “si è posto di fatto lui stesso al di fuori della comunione con il vescovo ordinario e con il Papa”.
Da vero ed autentico laico – non come quelli che stanno una volta di qua e l’altra di là – non entro in questa polemica tra Don Santoro ed il “suo” Vescovo, ma mi voglio limitare a riportare alcune frasi e affermazioni di un grande prete fiorentino, uno che avrebbe anche potuto “convertirmi”, Don Lorenzo Milani, il cui motto – “I care”, cioè me ne occupo – campeggia sul muro del mio studio a lettere cubitali.
Sappiamo tutti quante litigate ci sono state tra Don Milani ed i suoi Vescovi, quanti soprusi ebbe a subire il parroco di Barbiana, eppure diceva: “non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa”: evidentemente Don Santoro non pecca mai oppure non sente l’esigenza di cercare il perdono.
E quando a Don Milani “scappava” di parlare male a qualcuno del suo Vescovo, aggiungeva “io posso parlare così di lui, perché da 22 anni vivo nella più severa ortodossia e disciplina; lo puoi dire te di te?” ed ancora sulla Chiesa Don Lorenzo diceva: “ questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica L’Espresso…il più piccolo litigio che avessi con la Chiesa io perdo questo potere….e chi me lo rende, Benedetti (direttore dell’Espresso)?”. Insomma, Don Milani era uno che prendeva posizione sempre “prima” del Vescovo, ma dopo che questi si era espresso stava zitto. Non voglio dire che Santoro (tolgo il Don?) debba per forza pensarla allo stesso modo, ma Don Milani è comunque un bell’esempio!
Un ultimo riferimento alla polemica Santoro/Vescovo: ma queste diatribe succedono solo nel cattolicesimo oppure avvengono anche in altre religioni, tipo l’Imam di Firenze che sconfessa il capo degli Imam, oppure il Rabbino si arrabbia con il Rabbino capo ?
Una piccola notazione sulla polemica circa i trattamenti medici di fine vita: l’aspetto più agghiacciante è il dibattito su quale sia il livello di “minorazione” capace di definire “una vita degna di essere vissuta”, come se una decisione simile – in assenza di una esplicita dichiarazione di volontà del soggetto interessato - fosse lecita o comunque segno di libertà; di questo tipo di scelta il vero profeta potrebbe essere, nell’era moderna, quindi lasciando stare Sparta e compagnia bella, Hitler che ha cominciato a prendere decisioni simili ottant’anni fa, stabilendo lui chi doveva vivere e chi no: non mi sembra che si sia fatto un gran passo avanti nella Storia dell’Umanità.
Dice Don Santoro – definito dai mass media prete no-global, che vorrà dire? – “La Chiesa, quella che nasce dal Vangelo, è capace di scrivere solo parole d’amore; nei vertici ecclesiastici, nel mio vescovo questo amore non l’ho visto”, continuando poi con la frase “se la Chiesa è quella che in questo tempo hanno fatto vedere i vertici ed il mio Vescovo, non mi ci riconosco più”.
Il Vescovo non ha risposto essendo fuori Firenze, ma già alcune voci clericali si sono alzate per stigmatizzare le frasi di Don Santoro: “se fosse coerente, a questo punto farebbe bene a rinunciare al suo incarico di parroco” oppure “si è posto di fatto lui stesso al di fuori della comunione con il vescovo ordinario e con il Papa”.
Da vero ed autentico laico – non come quelli che stanno una volta di qua e l’altra di là – non entro in questa polemica tra Don Santoro ed il “suo” Vescovo, ma mi voglio limitare a riportare alcune frasi e affermazioni di un grande prete fiorentino, uno che avrebbe anche potuto “convertirmi”, Don Lorenzo Milani, il cui motto – “I care”, cioè me ne occupo – campeggia sul muro del mio studio a lettere cubitali.
Sappiamo tutti quante litigate ci sono state tra Don Milani ed i suoi Vescovi, quanti soprusi ebbe a subire il parroco di Barbiana, eppure diceva: “non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa”: evidentemente Don Santoro non pecca mai oppure non sente l’esigenza di cercare il perdono.
E quando a Don Milani “scappava” di parlare male a qualcuno del suo Vescovo, aggiungeva “io posso parlare così di lui, perché da 22 anni vivo nella più severa ortodossia e disciplina; lo puoi dire te di te?” ed ancora sulla Chiesa Don Lorenzo diceva: “ questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica L’Espresso…il più piccolo litigio che avessi con la Chiesa io perdo questo potere….e chi me lo rende, Benedetti (direttore dell’Espresso)?”. Insomma, Don Milani era uno che prendeva posizione sempre “prima” del Vescovo, ma dopo che questi si era espresso stava zitto. Non voglio dire che Santoro (tolgo il Don?) debba per forza pensarla allo stesso modo, ma Don Milani è comunque un bell’esempio!
Un ultimo riferimento alla polemica Santoro/Vescovo: ma queste diatribe succedono solo nel cattolicesimo oppure avvengono anche in altre religioni, tipo l’Imam di Firenze che sconfessa il capo degli Imam, oppure il Rabbino si arrabbia con il Rabbino capo ?
Una piccola notazione sulla polemica circa i trattamenti medici di fine vita: l’aspetto più agghiacciante è il dibattito su quale sia il livello di “minorazione” capace di definire “una vita degna di essere vissuta”, come se una decisione simile – in assenza di una esplicita dichiarazione di volontà del soggetto interessato - fosse lecita o comunque segno di libertà; di questo tipo di scelta il vero profeta potrebbe essere, nell’era moderna, quindi lasciando stare Sparta e compagnia bella, Hitler che ha cominciato a prendere decisioni simili ottant’anni fa, stabilendo lui chi doveva vivere e chi no: non mi sembra che si sia fatto un gran passo avanti nella Storia dell’Umanità.
martedì, marzo 31, 2009
QUANTO BUONISMO PER I REDUCI TV
Ricorderete che nei giorni scorsi abbiamo “commemorato” la liberazione dalle patrie galere di “faccia di pugile”, in realtà Karol Racz, in un primo tempo accusato dello stupro della Caffarella; in tale occasione abbiamo anche riportato i desiderata di Karol e cioè un lavoro da pasticcere in Italia.
Ebbene, le offerte di lavoro si sono sprecate: magari non precisamente da pasticcere, ma insomma, con la crisi che ci ritroviamo dobbiamo pure accontentarci di quel che capita: ha cominciato un noto chef, titolare di un locale romano – tale Filippo La Mantia – il quale ha offerto un posto di cameriere allo sfortunato romeno; l’offerta però ha dovuto essere ritirata perché le cameriere già in servizio nel locale del signor La Mantia, si sono opposte vigorosamente a tale assunzione e non c’è stato verso di farle recedere: insomma, come si dice in questi casi, si è dovuto abbozzare.
Da questa “normale” offerta di lavoro, si passa all’intervento di Vittorio Sgarbi che dalla sua carica di Sindaco di Salemi, si è dichiarato pronto ad affidare la gestione del ristorante che si aprirà nel palazzo comunale solo a colui che assumerà Karol.
Il Comune di Salemi ha anche un assessorato alle “Mani in Pasta” – non so cosa si intenda, forse una sorta di tuttofare – il cui titolare è il proprietario del Ristorante “Gambero Rosso” di San Vincenzo, in Provincia di Livorno, tale Fulvio Pierangelini, il quale si è dichiarato entusiasta dell’iniziativa ed ha definito la mossa del Sindaco Sgarbi come “un gesto di solidarietà che non è solo una bella idea ma anche un gesto di perfetta coerenza gastronomica”; non ho capito cosa volesse dire con tale coerenza, ma probabilmente dipende dalle mie poche conoscenze gastronomiche.
L’assessore ha rincarato la dose, dichiarandosi pronto ad assumere la gestione del ristorante di Salemi – che si chiamerà “La tolleranza” alle condizioni poste dal Sindaco; una sola considerazione: come fa uno che gestisce un locale in Provincia di Livorno a ricoprire la carica di Assessore alle “Mani in Pasta” a Salemi? O c’è poco da fare nel ristorante di sua proprietà o c’è poco da fare nell’assessorato in questione: scelga!.
I romeni indiziati per lo stupro erano due, se ben ricordate: oltre a Karol c’era quello chiamato “il biondino”, tale Alexandru Loyos; ebbene anche per lui si sono aperte le porte del carcere, è tornato in libertà – arresti domiciliari suppongo in quanto accusato di altri reati – ed è riuscito a trovare una sistemazione, con l’aiuto del Forum degli intellettuali romeni in Italia e di un avvocato quale portavoce dell’associazione EuRomeni d’Italia.
Insomma anche per lui si stanno aprendo orizzonti meno foschi e di questo tutti noi dovremmo essere lieti; magari il modo con cui questi traguardi sono stati raggiunti mi lascia perplesso: se non fosse stato per la televisione i due giovanotti, con tutta probabilità si sarebbero poi ritrovati in mezzo ad una strada, allo stesso modo in cui si trovano tanti loro compatrioti. In questo caso quindi possiamo plaudire all’intervento della TV ma tornare a considerare che il mezzo seleziona coloro che passano in TV e coloro che non hanno questa fortuna, quindi di fatto il mezzo è fortemente discriminante, cioè l’esatto contrario di tutto quello che non vorremmo.
Chiudiamo con una battuta udita in un film; il personaggio interpretato dalla splendida Scarlet Johansson, dice: “se voglio farmi bella non vado dal parrucchiere: mi aggiorno il profilo su MySpace”. E questo, amici carissimi, la dice lunga sull’importanza dell’immagine nel mondo contemporaneo: non solo ha sostituito la realtà, ma è diventata addirittura più importante!! Chiaro il concetto!!
Ebbene, le offerte di lavoro si sono sprecate: magari non precisamente da pasticcere, ma insomma, con la crisi che ci ritroviamo dobbiamo pure accontentarci di quel che capita: ha cominciato un noto chef, titolare di un locale romano – tale Filippo La Mantia – il quale ha offerto un posto di cameriere allo sfortunato romeno; l’offerta però ha dovuto essere ritirata perché le cameriere già in servizio nel locale del signor La Mantia, si sono opposte vigorosamente a tale assunzione e non c’è stato verso di farle recedere: insomma, come si dice in questi casi, si è dovuto abbozzare.
Da questa “normale” offerta di lavoro, si passa all’intervento di Vittorio Sgarbi che dalla sua carica di Sindaco di Salemi, si è dichiarato pronto ad affidare la gestione del ristorante che si aprirà nel palazzo comunale solo a colui che assumerà Karol.
Il Comune di Salemi ha anche un assessorato alle “Mani in Pasta” – non so cosa si intenda, forse una sorta di tuttofare – il cui titolare è il proprietario del Ristorante “Gambero Rosso” di San Vincenzo, in Provincia di Livorno, tale Fulvio Pierangelini, il quale si è dichiarato entusiasta dell’iniziativa ed ha definito la mossa del Sindaco Sgarbi come “un gesto di solidarietà che non è solo una bella idea ma anche un gesto di perfetta coerenza gastronomica”; non ho capito cosa volesse dire con tale coerenza, ma probabilmente dipende dalle mie poche conoscenze gastronomiche.
L’assessore ha rincarato la dose, dichiarandosi pronto ad assumere la gestione del ristorante di Salemi – che si chiamerà “La tolleranza” alle condizioni poste dal Sindaco; una sola considerazione: come fa uno che gestisce un locale in Provincia di Livorno a ricoprire la carica di Assessore alle “Mani in Pasta” a Salemi? O c’è poco da fare nel ristorante di sua proprietà o c’è poco da fare nell’assessorato in questione: scelga!.
I romeni indiziati per lo stupro erano due, se ben ricordate: oltre a Karol c’era quello chiamato “il biondino”, tale Alexandru Loyos; ebbene anche per lui si sono aperte le porte del carcere, è tornato in libertà – arresti domiciliari suppongo in quanto accusato di altri reati – ed è riuscito a trovare una sistemazione, con l’aiuto del Forum degli intellettuali romeni in Italia e di un avvocato quale portavoce dell’associazione EuRomeni d’Italia.
Insomma anche per lui si stanno aprendo orizzonti meno foschi e di questo tutti noi dovremmo essere lieti; magari il modo con cui questi traguardi sono stati raggiunti mi lascia perplesso: se non fosse stato per la televisione i due giovanotti, con tutta probabilità si sarebbero poi ritrovati in mezzo ad una strada, allo stesso modo in cui si trovano tanti loro compatrioti. In questo caso quindi possiamo plaudire all’intervento della TV ma tornare a considerare che il mezzo seleziona coloro che passano in TV e coloro che non hanno questa fortuna, quindi di fatto il mezzo è fortemente discriminante, cioè l’esatto contrario di tutto quello che non vorremmo.
Chiudiamo con una battuta udita in un film; il personaggio interpretato dalla splendida Scarlet Johansson, dice: “se voglio farmi bella non vado dal parrucchiere: mi aggiorno il profilo su MySpace”. E questo, amici carissimi, la dice lunga sull’importanza dell’immagine nel mondo contemporaneo: non solo ha sostituito la realtà, ma è diventata addirittura più importante!! Chiaro il concetto!!
lunedì, marzo 30, 2009
MANIA DI LUSTRINI E PAILLETTES
Non ho intenzione di commentare il congresso che ha sancito la nascita di un nuovo soggetto politico in Italia, ma solo accostare l’evento – stupendo e affascinante sotto il profilo della scenografia – a quello che è adesso tanto di moda: l’universo artistico, in particolare cinematografico, indiano, con quella Bombay che è stata ben presto ribattezzata Bollywood a conferma della vocazione dell’India al cinema.
Scusatemi se in questo mio post partirò “da lontano”, ma non posso sottacere la frase che Schopenhauer, nella prima metà dell’800, ebbe a scrivere in merito ai rapporti che si andavano sempre più stringendo tra Europa e India: “Torna l’indiana sapienza a fluire verso l’Europa e produrrà una fondamentale mutazione del nostro sapere e pensare”; ebbene, questo fluire di pensieri si è andato sviluppando non solo verso l’Europa ma anche verso il Nuovo Mondo, cioè verso l’America e, in particolare verso la mecca del cinema, Hollywood.
Non è sfuggito a nessuno che The Millionaire, il film vincitore di ben 8 statuette agli Oscar del 2008, ha prodotto quello che il cinema si aspettava: un fruttifero interscambio tra oriente ed occidente e anche l’inverso; ma il prodotto che ne è scaturito come è? Mah, io ho già messo on-line il mio articolo scritto sul film, nel quale rilevo una sostanziale “sufficienza” ma niente più alla produzione, grandiosa ma poi in realtà semplice e centrata su valori immutabili quali l’amore, la famiglia, la riconoscenza, insomma tutte quelle cose che hanno la fresca genuinità della pasta fatta in casa e che in un mondo “complicato” come il nostro sono state accolte a braccia aperte; e possiamo aggiungere: tutte cose del cinema indiano!
E Spielberg ha già abbandonato i monti innevati, simbolo della Paramount Pictures per approdare ai cantieri cinematografici indiani, dove costituirà una sua casa produttrice indipendente da americani e indiani: speriamo che gli frutti qualche idea!!
In contemporanea a Steven, anche due stilisti al top della loro gloria hanno fatto marcia su Bolliwood e vestiranno le star indiane emergenti: si tratta di Armani e di Cavalli, entrambi conquistati dalla spontaneità e naturalezza della gente indiana, qualità che invece mancherebbe – a loro dire – a Hollywood.
Ma anche gli italiani del cinema, ricordandosi di provenire da un paese di navigatori (oltre che di santi e di pooeti), hanno fatto vela su Bollywood ed hanno già realizzato delle cose che stanno per uscire anche qui da noi: la splendida Violante Placido è diventata la prima attrice italiana a sbarcare su un set indiano; ha girato una pellicola “Barah Aana” (traduzione probabile: truffato) uscita per ora in India, nella quale opera anche Giulia Achilli come addetta alla produzione.
Il giudizio della bella Violante sull’India è folgorante: “evidentemente era nel mio karma; ero curiosa di mescolarmi con loro, mi affascinava fin da piccola” e la splendida attrice dagli occhi verdi ha promosso a pieni voti la sua partecipazione al film ed alla esperienza indiana.
Ma il cinema indiano è veramente solo lustrini e paillettes? Appare così per il suo modo narrativo, ma la sua origine è quella di un cinema pieno di intrighi, con storie misteriose e ricolme di valori che, alla fine risultano immancabilmente vincitori.
Quindi l’occidente – e l’America in particolare – ha per ora colto solo il substrato della cinematografia indiana, ma si è portata da casa la narrazione e la tematica.
Ma non dimentichiamo che il cinema indiano ha già dato i natali ad una grande regista, Mira Nair che con “Monsoon Wedding” ha vinto il Leone d’Oro a Venezia nel 2001.
Scusatemi se in questo mio post partirò “da lontano”, ma non posso sottacere la frase che Schopenhauer, nella prima metà dell’800, ebbe a scrivere in merito ai rapporti che si andavano sempre più stringendo tra Europa e India: “Torna l’indiana sapienza a fluire verso l’Europa e produrrà una fondamentale mutazione del nostro sapere e pensare”; ebbene, questo fluire di pensieri si è andato sviluppando non solo verso l’Europa ma anche verso il Nuovo Mondo, cioè verso l’America e, in particolare verso la mecca del cinema, Hollywood.
Non è sfuggito a nessuno che The Millionaire, il film vincitore di ben 8 statuette agli Oscar del 2008, ha prodotto quello che il cinema si aspettava: un fruttifero interscambio tra oriente ed occidente e anche l’inverso; ma il prodotto che ne è scaturito come è? Mah, io ho già messo on-line il mio articolo scritto sul film, nel quale rilevo una sostanziale “sufficienza” ma niente più alla produzione, grandiosa ma poi in realtà semplice e centrata su valori immutabili quali l’amore, la famiglia, la riconoscenza, insomma tutte quelle cose che hanno la fresca genuinità della pasta fatta in casa e che in un mondo “complicato” come il nostro sono state accolte a braccia aperte; e possiamo aggiungere: tutte cose del cinema indiano!
E Spielberg ha già abbandonato i monti innevati, simbolo della Paramount Pictures per approdare ai cantieri cinematografici indiani, dove costituirà una sua casa produttrice indipendente da americani e indiani: speriamo che gli frutti qualche idea!!
In contemporanea a Steven, anche due stilisti al top della loro gloria hanno fatto marcia su Bolliwood e vestiranno le star indiane emergenti: si tratta di Armani e di Cavalli, entrambi conquistati dalla spontaneità e naturalezza della gente indiana, qualità che invece mancherebbe – a loro dire – a Hollywood.
Ma anche gli italiani del cinema, ricordandosi di provenire da un paese di navigatori (oltre che di santi e di pooeti), hanno fatto vela su Bollywood ed hanno già realizzato delle cose che stanno per uscire anche qui da noi: la splendida Violante Placido è diventata la prima attrice italiana a sbarcare su un set indiano; ha girato una pellicola “Barah Aana” (traduzione probabile: truffato) uscita per ora in India, nella quale opera anche Giulia Achilli come addetta alla produzione.
Il giudizio della bella Violante sull’India è folgorante: “evidentemente era nel mio karma; ero curiosa di mescolarmi con loro, mi affascinava fin da piccola” e la splendida attrice dagli occhi verdi ha promosso a pieni voti la sua partecipazione al film ed alla esperienza indiana.
Ma il cinema indiano è veramente solo lustrini e paillettes? Appare così per il suo modo narrativo, ma la sua origine è quella di un cinema pieno di intrighi, con storie misteriose e ricolme di valori che, alla fine risultano immancabilmente vincitori.
Quindi l’occidente – e l’America in particolare – ha per ora colto solo il substrato della cinematografia indiana, ma si è portata da casa la narrazione e la tematica.
Ma non dimentichiamo che il cinema indiano ha già dato i natali ad una grande regista, Mira Nair che con “Monsoon Wedding” ha vinto il Leone d’Oro a Venezia nel 2001.
domenica, marzo 29, 2009
GENTE FORTUNATA ??
Dietro alle bordate che Obama ha diretto verso i super manager per le miliardarie prebende percepite, mi sono domandato che cosa comporta questa forma di attività che, almeno all’apparenza, ha una sostanziale instabilità ma che in effetti, consente – in apparenza – una bella vita a chi ci si ritrova impegnato.
Poiché non conosco nessun top-manager, mi posso riferire ad una professione decisamente di rango inferiore, ma pur sempre ben retribuita: quella di “portavoce” di qualche pezzo grosso della politica, della finanza; come in tutte le cose, c’è il pro e il contro e quindi dobbiamo stare attenti al piatto della bilancia che pesa le due realtà.
Parliamo subito dei “contro” e diciamo che il fortunato si annulla nell’incarico e nel far questo distrugge ogni parvenza di vita familiare che uno possa avere: mi raccontava il portavoce di Gianni Agnelli che doveva svegliare l’avvocato alle 6.30 di mattina con la rassegna stampa completa, il che significava essere in piedi alle 5 o anche prima e – dopo le tradizionali abluzioni – leggersi tutti i giornali e sottolineare i pezzi più importanti da sottoporre al boss.
La sera, poi, era prassi andare a letto tardi, stante gli impegni mondani dell’avvocato e quindi le ore di sonno erano sempre poche, cosicché il maggior desiderio per gente del genere è quello di una bella dormita ristoratrice; chiaro che il guadagno c’è ed è anche alto, ma in proporzione alla vita che devi fare non mi appare astronomico.
Ma facciamo qualche esempio tra i “contemporanei”: tale Piero Martino è portavoce del neo segretario PD Franceschini; sembra che occupi la prima posizione tra i suoi consimili in fatto di guadagno: 200mila euro, oltre ad altri 15mila per una particolare consulenza; sappiamo anche le prebende di un altro portavoce, quello del Sindaco di Roma, Alemanno, che risponde al nome di Simone Turbolente ed ha un contratto di 150mila euro annue.
All’apparenza questi due signori percepiscono un lauto stipendio, ma non dimentichiamoci che il loro mestiere è il massimo dell’aleatorietà, perché basta il minimo “inciampo”, la minima inesattezza nelle comunicazioni alle Agenzie per essere cacciati e ci sarebbe anche da aggiungere che nell’ambiente queste cose si risanno e quindi non è facilissimo per il malcapitato trovare un nuovo lavoro.
L’attività poi è quanto di più esagitato si possa immaginare e non conosce “fine settimana” oppure settimane bianche e neppure ferie, durante le quali abbandonare la lettura dei “soliti” articoli sui “soliti” quotidiani e concedersi la lettura di un libro o di un giornaletto scandalistico.
L’attività non è neppure identificabile con esattezza: si tratta di fare il possibile perché il tuo capo – il leader – possa fare bella figura; quindi scrutare, monitorare le prime e le seconde pagine dei giornali, seguire le agenzie, rispondere alle dichiarazioni di Tizio o di Caio e far dire al proprio Capo quello che si ritiene più appropriato con i vari comunicati stampa.; in sostanza, dormi poco, vivi ancora meno, guadagni tanto è vero, ma non ci dobbiamo dimenticare che il capo, così come paga, altrettanto toglie, cioè licenzia, senza troppe spiegazioni.
Però, in questo momento di crisi, se non va bene questo possiamo tentare il ritorno alla terra, sulla scia di Obama che ha fatto coltivare a orto un pezzetto di prato della Casa Bianca: secondo Coldiretti 4 italiani su10 sono tornati a curare l’orticello; da notare che uno studio dell’Università di Uppsala, rivela che “zappare fa bene e allunga la vita”, quindi possiamo dire che abbiamo trovato il nuovo mestiere: sarà così??
Poiché non conosco nessun top-manager, mi posso riferire ad una professione decisamente di rango inferiore, ma pur sempre ben retribuita: quella di “portavoce” di qualche pezzo grosso della politica, della finanza; come in tutte le cose, c’è il pro e il contro e quindi dobbiamo stare attenti al piatto della bilancia che pesa le due realtà.
Parliamo subito dei “contro” e diciamo che il fortunato si annulla nell’incarico e nel far questo distrugge ogni parvenza di vita familiare che uno possa avere: mi raccontava il portavoce di Gianni Agnelli che doveva svegliare l’avvocato alle 6.30 di mattina con la rassegna stampa completa, il che significava essere in piedi alle 5 o anche prima e – dopo le tradizionali abluzioni – leggersi tutti i giornali e sottolineare i pezzi più importanti da sottoporre al boss.
La sera, poi, era prassi andare a letto tardi, stante gli impegni mondani dell’avvocato e quindi le ore di sonno erano sempre poche, cosicché il maggior desiderio per gente del genere è quello di una bella dormita ristoratrice; chiaro che il guadagno c’è ed è anche alto, ma in proporzione alla vita che devi fare non mi appare astronomico.
Ma facciamo qualche esempio tra i “contemporanei”: tale Piero Martino è portavoce del neo segretario PD Franceschini; sembra che occupi la prima posizione tra i suoi consimili in fatto di guadagno: 200mila euro, oltre ad altri 15mila per una particolare consulenza; sappiamo anche le prebende di un altro portavoce, quello del Sindaco di Roma, Alemanno, che risponde al nome di Simone Turbolente ed ha un contratto di 150mila euro annue.
All’apparenza questi due signori percepiscono un lauto stipendio, ma non dimentichiamoci che il loro mestiere è il massimo dell’aleatorietà, perché basta il minimo “inciampo”, la minima inesattezza nelle comunicazioni alle Agenzie per essere cacciati e ci sarebbe anche da aggiungere che nell’ambiente queste cose si risanno e quindi non è facilissimo per il malcapitato trovare un nuovo lavoro.
L’attività poi è quanto di più esagitato si possa immaginare e non conosce “fine settimana” oppure settimane bianche e neppure ferie, durante le quali abbandonare la lettura dei “soliti” articoli sui “soliti” quotidiani e concedersi la lettura di un libro o di un giornaletto scandalistico.
L’attività non è neppure identificabile con esattezza: si tratta di fare il possibile perché il tuo capo – il leader – possa fare bella figura; quindi scrutare, monitorare le prime e le seconde pagine dei giornali, seguire le agenzie, rispondere alle dichiarazioni di Tizio o di Caio e far dire al proprio Capo quello che si ritiene più appropriato con i vari comunicati stampa.; in sostanza, dormi poco, vivi ancora meno, guadagni tanto è vero, ma non ci dobbiamo dimenticare che il capo, così come paga, altrettanto toglie, cioè licenzia, senza troppe spiegazioni.
Però, in questo momento di crisi, se non va bene questo possiamo tentare il ritorno alla terra, sulla scia di Obama che ha fatto coltivare a orto un pezzetto di prato della Casa Bianca: secondo Coldiretti 4 italiani su10 sono tornati a curare l’orticello; da notare che uno studio dell’Università di Uppsala, rivela che “zappare fa bene e allunga la vita”, quindi possiamo dire che abbiamo trovato il nuovo mestiere: sarà così??