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sabato, ottobre 19, 2013

IL NOBEL PER LA PACE DI QUEST'ANNO 



Quello che in molti definiscono “il premio più prestigioso al mondo” è stato assegnato per il 2013 all’OPAC – Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche – forse per fare riferimento alla recente missione, tuttora in corso, per lo smantellamento degli arsenali tossici del regime di Bashar al-Assad in Siria.
Non ho niente contro questa assegnazione, ma rimango perplesso di fronte ad una organizzazione – alla quale aderiscono 189 stati – che arriva a fare pulizia dopo che “qualcuno”, sia esso un moto rivoluzionario o un accordo con altri Stati (come nel caso della Siria) ha previsto tra le condizioni per il cessate il fuoco anche la consegna e la distruzione delle armi chimiche; ed a questo punto entra in funzione l’OPAC che amministra questo passaggio di arsenali tossici per la successiva distruzione.
Non dico che non sia importante, ma mi appare come una struttura burocratica che mal si concilia – secondo il mio modo di vedere – con l’uomo o la donna che ha fatto qualcosa di importante verso la Pace ed anche verso la conoscenza dei diritti umani laddove ancora non ci sono.
È il caso di Malala Yousafzai (favorita nelle previsioni degli esperti) una studentessa pakistana attivista di una struttura per i diritti civili e per il diritto allo studio delle donne nella valle dello Swat (Pakistan), dove un editto dei talebani ne ha bandito il diritto per le donne.
Circa un anno fa, la ragazza è stata gravemente ferita alla testa ed al collo da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casa dalla scuola; ricoverata nell’ospedale militare di Peshawar, è sopravvissuta all’attentato dopo la rimozione chirurgica dei proiettili-
Il portavoce dei talebani ha rivendicato l’attentato sostenendo che la ragazza “è il simbolo degli infedeli e dell’oscenità” (Malala aveva allora 15 anni); il leader terrorista ha poi minacciato che qualora sopravvivesse, sarebbe stata nuovamente oggetto di attentati.
La ragazza è stata in seguito trasferita in un ospedale londinese che si è offerta di curarla; dopo tale ricovero, il partito laburista norvegese ha promosso ufficialmente la candidatura di Malala al Premio Nobel per la Pace 2013.
Il 2 luglio scorso, in occasione del suo sedicesimo compleanno, ha parlato al Palazzo delle Nazioni Unite a New York, indossando lo scialle appartenuto a Benazir Bhutto e in quell’occasione ha lanciato un appello all’istruzione dei bambini di tutto il mondo.
Il 10 ottobre scorso, è stata insignita del Premio Sakharov per la libertà di pensiero; l’annuncio è stato dato dal presidente del parlamento Europeo, Martun Shulz, che lo ha motivato affermando che Malala “è una ragazza eroica”.
Ovviamente molte organizzazioni internazionali hanno applaudito al conferimento del premio all’OPAC, ma sui siti Web c’è disappunto per il mancato riconoscimento alla giovane pakistana Malala – quasi uccisa dai talebani – i quali hanno esultato per la decisione dell’accademia che ha visto la loro avversaria sconfitta da una organizzazione.
È ovvio che agli occhi del “pubblico”, un volto semi-bendato di una giovanetta, colpisca molti di più di una sigla, ma non dimentichiamo che quast’ultima ha già fatto proseliti: 60 stati e presto arriveranno a superare i 200 uomini impegnati nello smantellamento degli arsenali di Damasco.
E a Malala voglio dire: ricordati che neppure il Mahatma Gandhi ha mai avuto il Nobel!!

giovedì, ottobre 17, 2013

ANALFABETI DI RITORNO 



Prima di parlare della condizione della nostra “cultura di massa”, voglio cominciare da alcuni ricordi che – a testimonianza della mia non più verde età – mi ritornano alla memoria e mi danno, da una parte gioia e dall’altra tristezza.
Per esempio, il ticchettare del lampeggiatore con la macchina ferma ad un semaforo, mi ricorda l’analogo rumore di una vecchia sveglia che era nella mia casa di ragazzo e questo mi riporta indietro nel tempo alla riscoperta di alcuni “odori” tutti ovviamente mentali: per esempio l’odore dolciastro del latte appena munto e quello dei campi dopo che era stata falciata l’erba.
E poi una cosa che mi è rimasta nel naso e non mi vuole andare via, nonostante il tanto tempo trascorso: l’odore della pelle delle ragazze di allora, privo di qualunque “aggiunta” sia essa di profumo o di qualche pomata; ci mandavano in estasi e a questo si aggiungeva l’odore dei capelli appena lavati con quel profumo acidulo dello shampoo di una volta.
Anche i film sono uno splendido veicolo per ricordare cose del passato: in “Roma” di Fellini riviviamo lo scampanio della domenica di Pasqua che si accompagnava alla benedizione del Papa che ci perveniva da un Phonola a cinque valvole.
E il ristorante all’aperto, con i tavolini che rasentano le verghe del tram; il modo di mangiare, la clientela che diventa comunità, in cui si mette insieme tutto quello che ci riguarda, cose buone o cattive.
Ma quelli che adesso sono “i noi del passato”, vengono definiti dai tedeschi che hanno organizzato la Fiera del Libro di Francoforte, degli “analfabeti di ritorno” e questo la dice lunga.
A Francoforte si è riversato tutto il meglio dell’editoria mondiale e noi italiani ci siamo distinti anzitutto per l’assenza del nostro Ministro della Cultura (“c’è una riunione di governo”) che, del resto negli ultimi cinque anni non è mai stato visto, a differenza di quelli degli altri Paesi europei e sudamericani.
Il tedesco “Die Welt” afferma che a noi italiani non riesce più scrivere e neppure leggere; stiamo precipitando nell’analfabetismo di ritorno; i libri sono sempre meno letti e conseguentemente meno editi; meno 7% nel 2011, meno 8 per il 2012 e meno 6 per il primo semestre del 2013; in totale si è perso il 20%.
I politici si salvano sostenendo che il futuro è l’ebook, ma non sanno neppure di cosa parlano; per quanto mi riguarda, trovo assolutamente impossibile leggere un libro ad uno schermo elettronico; sarà la mia età, ma non posso togliere il legame tra lettura e carta, elementi entrambi inscindibili per noi che abbiamo letto per studio ma anche per diletto.
In Brasile – Nazione ospite d’onore di quest’anno – il consumo dei  libri è aumentato dell’11% nonostante che lo stipendio della classe media (cioè quella che legge i libri) sia all’incirca la metà del nostro.
Ma lo Stato non è interessato a questa forma di erudizione; per la normale amministrazione c’è la televisione che provvede a fornire ai poveri telespettatori quanto possa loro occorrere per fare la loro figura nel mondo di “analfabeti”; se poi vogliamo ricordare e veleggiare nel mondo dei ricordi, come non riferirsi ad una cosa che è stata molto determinante nell’immediato dopoguerra: “Non è mai troppo tardi”, la trasmissione televisiva fatta per cercare di estrarre dalla posizione di analfabeti quanti più possibile; non c’è più!! Ora basta con i ricordi e torniamo alla realtà!!

martedì, ottobre 15, 2013

ZIBALDONE N.10 



Lo zibaldone di questo mese è più nutrito di notizie di molti dei miei precedenti; quindi ci sono notizie di varie genere; spero che piacciano ai miei lettori così come hanno interessato me.
LA PRIMA si riferisce a Lady D., la principessa che ci ha rimesso la pelle in un incidente d’auto accaduto a Parigi mentre Diana e Dodi al-Fayed cercavano di seminare i paparazzi; ebbene, un libro che sta uscendo lancia una nuova ipotesi: dietro a tutta l’operazione ci sono i servizi segreti britannici in quanto – udite, udite – erano stati messi in moto dalla Casa Reale poiché Diana era in stato di gravidanza.
Il libro che è in uscito in Inghilterra afferma a chiare lettere che sia la radiologa dell’ospedale dove venne ricoverata la principessa e sia l’infermiera avrebbero dichiarato di “aver visto chiaramente il feto”. Capirete lo scandalo che sarebbe scoppiato se fosse venuto alla ribalta questo figlio; meglio mettere tutto a tacere!!
LA SECONDA riguarda il signor Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate e una delle persone più “odiate” dal popolo italiano; ebbene, questo signore – dopo tante sollecitazioni – sembra che si sia accorto di una verità banale e facilissima a scoprire: “in molti casi l’evasione è stata commessa per sopravvivenza”.
È una affermazione importante, ma poi viene vanificata dal seguito del discorso: “ma non so bene, non sono un evasore”.
Ci mancherebbe, Befera guadagna circa 300/mila euro l’anno e il suo stipendio è pubblico, per cui sarebbe assai difficile evadere qualcosa; poi il nostro Befera continua con una considerazione più interessante: “se la pressione fiscale calasse, ci sarebbe meno evasione”; ecco, questo secondo commento mi sembra assai più intelligente.
LA TERZA notizia riguarda la nostra Telecom, l’azienda di telecomunicazioni che è stata richiesta dall’analoga azienda spagnola e il fatto ha suscitato un vespaio grandissimo, come se avessero tentato di portarci via il Colosseo.
Adesso, la scure di Moody’s è calata sull’azienda italiana che è stata classificata “junk”, cioè spazzatura; una nota dell’agenzia di rating precisa che le dimissioni di Franco Bernabé hanno aumentato l’incertezza per quanto riguarda le capacità dell’azienda a rafforzare il proprio bilancio in misura sufficiente a mitigare la tendenza al calo nelle sue entrate e, conseguentemente, del margine operativo.
Insomma, se gli spagnoli sono ancora dello stesso avviso, portiamogli Telecom ben incartata e non stiamo a fare tante storie sul prezzo; non vorrei che si accorgessero di essere stati fregati e si ritirino.
LA QUARTA è un anniversario: sono trascorsi cinquanta anni dalla tragedia del Vajont; 50 anni sono molti, probabilmente quasi tutti i protagonisti di allora sono morti o rincoglioniti, ma alcuni ci sono ancora e mi sono sembrati in perfette condizioni mentali.
La gente del posto, con la dignità che gli è caratteristica, non sta elemosinando nulla, ma chiedono che il Presidente della Repubblica vada da loro a posare una mano sulla loro spalla e ammetta che non è stata “la solita fatalità”, dato che la morte di tutta quelle persone poteva benissimo essere evitata.
Anche Papa Francesco è stato invitato da loro con la richiesta, semplice come sono semplici i montanari, si fare loro una carezza e dire una messa per loro; questa è la Lampedusa del Nord, una Lampedusa che è scoppiata cinquanta anni fa e dura ancora adesso: mentre quei poveretti sui barconi sono morti annegati, qui l’acqua è arrivata dall’alto!

domenica, ottobre 13, 2013

LA STRAGE DI LAMPEDUSA 



L’ennesima strage del mare che colpisce i migranti che cercano di sbarcare a Lampedusa, ha fatto questa volta alcune centinaia  di morti e ha scoperchiato tutta una serie di recriminazioni che hanno interessato tutti i potenti; infatti, il Papa, quel Francesco che si trova benissimo con i poveri, si è subito scatenato contro i “ricchi e i potenti” che niente fanno per questi disperati che solcano il mare alla ricerca di pace.
Infatti, questi ultimi arrivi di barconi stracolmi di gente – uomini, ma anche donne e bambini – non hanno la caratteristica di chi scappa dalla fame e dall’indigenza e cerca di raggiungere un Paese che gli possa offrire un tozzo di pane, ma sono in massima parte gente che sfugge alle guerre e alle guerriglie che stanno infestando il nord africa, dopo le famose “primavere” che avrebbero dovuto regalare a quei disgraziati un bene prezioso – anche se per loro sconosciuto – la democrazia.
A quanto è dato sapere, i motivi per cui questa gente scappa dalla Somalia sono tre:la sicurezza della gente, in quanto la vita, in quei luoghi, non vale niente,  l’assenza di prospettive per il futuro e la terza ragione è la mancanza di dignità e di libertà.
Ed allora si comincia a pensare a migrare verso un luogo considerato amico, l’Italia; ma venire in Italia non è come andare da un luogo all’altro, si fa il biglietto e all’ora stabilita ci presentiamo alla partenza; in questi posti e in queste situazioni, la prima cosa è trovare i soldi ed allora la famiglia si indebita, vende tutto, per comperare la speranza che almeno uno dei loro figli abbia delle speranze per il futuro; e se quel figlio muore in mare muoiono con lui i sacrifici di una vita di intere famiglie. Ma a questa “prassi” sembra non esserci alternativa e quindi il sistema si perpetua.
In Italia si è sempre detto che il “problema migranti” non era da considerare una questione italiana ma europea; ma questa entità di Stati, senza una vera e propria fisionomia, non ha mai accettato tale incombenza e si è limitata a dare all’Italia dei “contributi”, diciamo meglio: delle elargizioni, delle mance e niente più, mai riconoscendo “a parole” che il problema doveva riguardare l’intera Europa.
La grande Germania, sempre pronta a criticare gli altri ma quasi mai disponibile a fare qualcosa per gli altri, nel 2008 inviò due guardie di frontiera a Lampedusa, un modo simbolico di partecipare ma soprattutto un modo per circoscrivere tale partecipazione; questa volta sembra che le cose stiano un poco cambiando: il Der Spiegel titola “Europa trauert, Europa mauert” il che significa Europa in lutto ma alza un muro; per la prima volta si ammette che la “mostruosa tragedia” di Lampedusa, come è stata definita su molti quotidiani, è un evento europeo che coinvolge tutti e non può essere addossato soltanto all’Italia.
E cosa potrebbe fare l’Europa? La risposta è senza retorica  possiamo rispondere “quasi nulla a breve tempo”, visto che per anni si è limitata ad assistere e, in molti casi a criticare la presunta (magari anche vera) inefficienza dell’Italia.
Ma la “Suddeutsche Zeitung”, ha mostrato la foto di alcuni bambini dietro il filo spinato, non a Lampedusa, ma in Germania, dove giungono via terra dai Paesi dell’Est e i tedeschi li chiudono nei campi, come noi; anche lì si sono avute proteste, evasioni di massa per marciare nei centri di alcune città e chiedere misure umanitarie.
Il Presidente della Repubblica tedesca, Gauck, ha affermato che “i naufraghi di Lampedusa sono esseri umani deboli, che cercano condizioni di vita migliori e la loro debolezza li espone a rischi maggiori; quel che avviene lede i valori della civiltà europea” speriamo che adesso ci sia maggiore collaborazione.

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