venerdì, ottobre 29, 2004
Libero anche l'irriducibile
Il prof. Giovanni Senzani – soprannominato a suo tempo “Il professor bazooka” – è stato rimesso in libertà dopo diciotto anni di galera e cinque di semilibertà.
Era considerato uno degli ultimi irriducibili, perché non si è mai pentito, non si è mai dissociato e non ha mai chiesto perdono a nessuno, né tanto meno ha chiesto la grazia.
La Magistratura italiana lo ha considerato ravveduto in base a questa frase pronunciata dall’ex brigatista: “..sento molto forte il rammarico per i danni e le vittime causate dalla lotta armata”.
Con questa frase e per l’uso del termine “rammaricarsi”, i giudici hanno disposto la scarcerazione del Senzani sottoponendolo a restrizioni che definire risibili è poco.
Vediamole: 1) darsi a lavoro stabile (lo vorrebbero in tanti!!); 2) non uscire di casa dalle 23.00 alle 6 del mattino; 3)non associarsi a pregiudicati; 4) non detenere armi o oggetti atti ad offendere; 5) portare sempre addosso il decreto precettivo ; 6) presentarsi due volte al mese ai servizi sociali; 7) non allontanarsi dalla provincia di Firenze (suo luogo di residenza) senza il consenso dell’organo di vigilanza.
Parlare di Giovanni Senzani ad un giovane è come ricordargli Giulio Cesare o Catilina, tanto distante appare la sua vicenda; eppure tanto distante non è, ed anzi la possiamo collocare nel pieno fulgore della lotta armata (primi anni ’80).
Dopo aver rapito l’assessore regionale campano Ciro Cirillo, l’organizzazione rapisce il Giudice D’urso e uccide il generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi; ma la vicenda più efferata e che lo accomuna ai farneticanti brigatisti “attuali” (Lioce, Moranti, ecc) è senz’altro quella che si riferisce all’uccisione dell’operaio Roberto Peci, la cui unica colpa era quella di essere fratello di Patrizio Peci, brigatista catturato e poi dissociato.
Il volantino fatto trovare in occasione di quell’omicidio recita: “L’unico rapporto della rivoluzione proletaria con i traditori è l’annientamento. Morte al traditore Roberto Peci. Il processo è concluso e la condanna a morte è la giusta sentenza che emettono le forze rivoluzionarie”.
Se il discorso dovesse apparire poco chiaro consiglio una seconda lettura e la considerazione che questa sorta di epitaffio era vergato per il fratello del traditore che, ripeto, non c’entrava niente con loro e la loro lotta.
Invece, dopo l’esecuzione dell’ing. Taliercio, direttore del Petrolchimico di Porto Marghera si poteva leggere la seguente rivendicazione: “Di fronte all’esecuzione del porco Taliercio gli avvoltoi borghesi, i corvi revisionisti e le cornacchie radicali si troveranno ad aver lavorato ancora una volta invano. Il proletariato non si dividerà mai sulla giusta fine che meritano di fare i servi della borghesia come Taliercio e gli infami come Peci”.
Tutte queste affermazioni suscitano in noi sentimenti di riso mischiato al ridicolo; subito dopo però, ridiventati seri, dobbiamo convenire che le stesse assonanze letterarie si possono leggere nelle attuali “dichiarazioni” della Lioce o di altri brigatisti durante il processo in corso per l’uccisione del poliziotto aretino.
Ma di quelle dichiarazioni il nostro esimio prof. Senz’ani “si rammarica”: vi sembra sufficiente oppure lo Stato – cioè i cittadini – dovrebbero pretendere qualcosa di più?
A me sembra che l’analisi nuda e cruda dell’ex brigatista, scarna nella forma e nella sostanza, appare quasi come una dichiarazione rilasciata di mala voglia tanto per far contento qualcuno che lo sta scocciando.
Qualcuno chi? Forse noi? Ho paura di si. Allora siamo degli scocciatori!
Comunque io non sono soddisfatto; ben altro dovrebbe dire l’anziano professore per recuperare la libertà.
Era considerato uno degli ultimi irriducibili, perché non si è mai pentito, non si è mai dissociato e non ha mai chiesto perdono a nessuno, né tanto meno ha chiesto la grazia.
La Magistratura italiana lo ha considerato ravveduto in base a questa frase pronunciata dall’ex brigatista: “..sento molto forte il rammarico per i danni e le vittime causate dalla lotta armata”.
Con questa frase e per l’uso del termine “rammaricarsi”, i giudici hanno disposto la scarcerazione del Senzani sottoponendolo a restrizioni che definire risibili è poco.
Vediamole: 1) darsi a lavoro stabile (lo vorrebbero in tanti!!); 2) non uscire di casa dalle 23.00 alle 6 del mattino; 3)non associarsi a pregiudicati; 4) non detenere armi o oggetti atti ad offendere; 5) portare sempre addosso il decreto precettivo ; 6) presentarsi due volte al mese ai servizi sociali; 7) non allontanarsi dalla provincia di Firenze (suo luogo di residenza) senza il consenso dell’organo di vigilanza.
Parlare di Giovanni Senzani ad un giovane è come ricordargli Giulio Cesare o Catilina, tanto distante appare la sua vicenda; eppure tanto distante non è, ed anzi la possiamo collocare nel pieno fulgore della lotta armata (primi anni ’80).
Dopo aver rapito l’assessore regionale campano Ciro Cirillo, l’organizzazione rapisce il Giudice D’urso e uccide il generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi; ma la vicenda più efferata e che lo accomuna ai farneticanti brigatisti “attuali” (Lioce, Moranti, ecc) è senz’altro quella che si riferisce all’uccisione dell’operaio Roberto Peci, la cui unica colpa era quella di essere fratello di Patrizio Peci, brigatista catturato e poi dissociato.
Il volantino fatto trovare in occasione di quell’omicidio recita: “L’unico rapporto della rivoluzione proletaria con i traditori è l’annientamento. Morte al traditore Roberto Peci. Il processo è concluso e la condanna a morte è la giusta sentenza che emettono le forze rivoluzionarie”.
Se il discorso dovesse apparire poco chiaro consiglio una seconda lettura e la considerazione che questa sorta di epitaffio era vergato per il fratello del traditore che, ripeto, non c’entrava niente con loro e la loro lotta.
Invece, dopo l’esecuzione dell’ing. Taliercio, direttore del Petrolchimico di Porto Marghera si poteva leggere la seguente rivendicazione: “Di fronte all’esecuzione del porco Taliercio gli avvoltoi borghesi, i corvi revisionisti e le cornacchie radicali si troveranno ad aver lavorato ancora una volta invano. Il proletariato non si dividerà mai sulla giusta fine che meritano di fare i servi della borghesia come Taliercio e gli infami come Peci”.
Tutte queste affermazioni suscitano in noi sentimenti di riso mischiato al ridicolo; subito dopo però, ridiventati seri, dobbiamo convenire che le stesse assonanze letterarie si possono leggere nelle attuali “dichiarazioni” della Lioce o di altri brigatisti durante il processo in corso per l’uccisione del poliziotto aretino.
Ma di quelle dichiarazioni il nostro esimio prof. Senz’ani “si rammarica”: vi sembra sufficiente oppure lo Stato – cioè i cittadini – dovrebbero pretendere qualcosa di più?
A me sembra che l’analisi nuda e cruda dell’ex brigatista, scarna nella forma e nella sostanza, appare quasi come una dichiarazione rilasciata di mala voglia tanto per far contento qualcuno che lo sta scocciando.
Qualcuno chi? Forse noi? Ho paura di si. Allora siamo degli scocciatori!
Comunque io non sono soddisfatto; ben altro dovrebbe dire l’anziano professore per recuperare la libertà.