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mercoledì, ottobre 27, 2004

Men on fire (L'uomo infuriato) 

Confortato da alcune vostre richieste (non moltissime, ma dobbiamo contentarci, pubblico un’altra “lettura” di un film che – per la spettacolarità e per la presenza in “dozzina d’oro” (record d’incassi) per svariate settimane, appare di un certo interesse; il film è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia “fuori concorso” ed ha avuto un ottimo successo sia di pubblico che di critica.
E’ la storia di John Creasy, un ex agente della CIA ormai bruciato, sull’orlo dell’alcolismo e alla ricerca di qualcosa di interessante da fare; in Messico un’ondata di rapimenti sconvolge il paese e alimenta il panico tra le classi ricche che si affrettano a stipulare sostanziose polizze assicurative che però li obbligano ad assumere guardie del corpo per i loro figli. E’ quello che capita a John che, tramite l’amico Rayburn, anche lui ex CIA, trova un ingaggio presso la famiglia dell’industriale Ramos, con incarico di guardia del corpo della figlia Pita (diminutivo di Lupita).
Il rapporto con la bambina, iniziato in modo turbolento, si sviluppa poi in maniera soddisfacente quando la bambina riesce a scalfire la sua apparentemente inattaccabile corazza e l’uomo allenta le sue difese e si apre con lei: le insegna la partenza nelle gare di nuoto, l’aiuta a non frequentare le lezioni di pianoforte; in una parola diventano amici. Quando tutto sembra andare per il meglio, la situazione viene sconvolta da un violento rapimento che, oltre a lasciare sul terreno alcuni rapitori, si conclude con il ferimento di John e la cattura della bambina.
Dopo che viene data la notizia della morte della bimba, il suo amico John – appena dimesso dall’ospedale – si mette in caccia dei rapitori e scopre tutto una specie di associazione – al cui vertice sta un poliziotto – che si occupa di questi crimini. A questo punto Creasy diventa una sorta di vendicatore e si pone in caccia del rapitori uccidendoli uno ad uno; riesce a raggiungere il vertice dell’organizzazione e vi trova un alto funzionario di Polizia: lo uccide e scopre che il vero vertice è rappresentato da un altro delinquente che ancora tiene Pita in ostaggio. Libera la bambina in un conflitto a fuoco, durante il quale però viene ferito gravemente e, dopo aver riconsegnato la bambina alla madre, si lascia condurre alla morte dai rapitori.
Realizzato con circa venticinque minuti di troppo, il film si fa tollerare sia per il ritmo impresso alla narrazione, sia per la buona recitazione di tutti gli attori e sia per la splendida regia; intendiamoci, si tratta di un film di vicenda che pone alla base della sua realizzazione una spettacolarità accattivante nei confronti del pubblico, ma il modo come è girato mostra anzitutto un uso sapiente della macchina da presa e quindi una forte presa nei confronti del pubblico.
Non a caso mi è scappato, subito dopo la proiezione, un accostamento della seconda parte del film all’epopea di Rambo: il nostro John Creasy ha una forza distruttrice che richiama il “berretto verde” dianzi citato; anche lui è un solitario che si dimostra praticamente invincibile, anche lui ha un nobile scopo e combatte contro conformismi e tradimenti. Non ci dimentichiamo che nel rapimento della bambina – oltre alla banda, chiamiamola così, ufficiale – ci sono implicati tutta una serie di personaggi che hanno attinto al malloppo del riscatto, pagato peraltro dall’assicurazione: dall’avvocato di famiglia, fino addirittura al padre che spera di sopperire alle difficoltà economiche della sua azienda con il malloppo esente tasse.
Al vendicatore che uccide in modo atroce tutti i componenti della banda, vanno sinceramente gli applausi degli spettatori: ma i consensi derivano dall’alonatura che l’autore ci porta davanti agli occhi, laddove qualunque azione del nostro John, anche la più spregevole, assume il contorno della vendetta “nuda e pura” nei confronti di una banda di feroci criminali.
Ed è così che tutti noi ci schieriamo dalla parte del nostro ex-CIA, impegnato a commettere più brutalità e scorrettezze dei suoi avversari: ma attenzione, è la forza dell’immagine che ci induce a ciò, se invece riuscissimo a ragionare il negro bellimbusto sarebbe da mettere quasi insieme agli altri.
Nel film c’è da notare un piccolo cammeo di Giancarlo Giannini nei panni di uno scafato Capo della Squadra Investigativa che lascia Creasy fare il lavoro sporco che dovrebbe essere il suo e si presenta in fondo a raccogliere il trionfo: la classe non è acqua e Giannini è sempre lui, anche se mi sembra di rilevare una sorta di “superficialità” derivata forse dalla pochezza del personaggio, veramente poco approfondito a livello di sceneggiatura.
Non voglio dire che siamo in presenza di un film assolutamente da non perdere, ma una sua visione ci farà trascorrere un paio di orette in piena tranquillità.

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