sabato, giugno 27, 2009
LA CRISI "SGONFIA" IL PALLONE?
Un comparto che non viene preso quasi mai in considerazione per quantificare la crisi che ci attanaglia è quello del mondo del calcio, con le sue spese folli e le “pazzie” dei presidenti sull’onda dell’entusiasmo e dell’incitamento dei tifosi.
A leggere i giornali specializzati e ad ascoltare i soliti “bene informati”, l’andamento della Borsa sembra non avere influito più di tanto sugli emolumenti di giocatori e tecnici: faccio un primo esempio, citando il trasferimento dal Milan al Real Madrid del brasiliano Kaka per 50milioni di euro, con un compenso assicurato al giocatore per i prossimi cinque anni di 10milioni netti all’anno; nota di servizio: quando si dice una cifra “netta” s’intende che la società o comunque il datore di lavoro paga anche le tasse del collaboratore che corrispondono all’incirca alla stessa cifra dell’ingaggio; quindi, così stando le cose, il “costo” viene ad essere quasi raddoppiato; chiaro?
Ma andiamo avanti: lo svedese Ibrahimovic, se dovesse passare dall’Inter al Barcellona, guadagnerebbe 12milioni di euro a stagione (sempre netti; da ora in poi non lo preciserò più), mentre Cassano, in caso di trasferimento dalla Sampdoria all’Inter, avrebbe un contratto di 3.5 milioni l’anno.
Potrei continuare, ma se tra i miei lettori c’è qualcuno interessato al genere, gli consiglio di seguire i quotidiani e le trasmissioni televisive specializzate.
Ma possiamo ancora considerare il gioco del calcio “uno sport”? Io che sono appassionato di cinema, ricordo con nostalgia il barattolo che i protagonisti de “I Vitelloni” di Fellini, fanno rotolare per una strada buia; forse il grande regista ha realizzato questa sequenza seguendo l’immagine poetica che scaturisce da questa frase di Louis Borges, il poeta cieco e visionario: “Dovunque un bambino fa rotolare un barattolo con i piedi, lì comincia, ogni volta, la storia bellissima del calcio”.
Ma allora, mi chiedo e vi chiedo, questo mercato delle vacche così impazzito rappresenta ancora la realtà del “gioco più bello del mondo” oppure ne è una conseguenza tumorale? Eppure, a tenere in piedi tutto il baraccone è “la povera gente”, coloro cioè che si privano di qualcosa per andare a versare nelle casse della società o in quelle della Pay-TV, le cifre occorrenti a far girare questi bilanci che peraltro sono sempre deficitari; mi dicono che le due squadre che hanno disputato a Roma la finale della Coppa dei Campioni – Manchester e Bercellona – hanno dei bilanci con debiti di qualche miliardo di euro!
Ma la ruota continua a girare perché se dovesse fermarsi cadrebbe tutto il giochino che fa campare un sacco di faccendieri, una miriade di procuratori o presunti tali, e tanti “esperti” spalmati tra giornali e televisioni.
Tutti questi personaggi sono coautori del più bello e più miserevole spettacolo del mondo, pieno di genialità e di classe pura nei giocatori e altrettanto ricolmo di teppismo e di cialtroneria; speriamo che venga adottato da noi quanto stabilito dalla normativa, per cui la partita verrà sospesa alla prima rissa tra tifosi, ai primi lanci di petardi (o peggio), ai primi accenni di xenofobia e razzismo.
Ma in tutto questo, dove si trova il “bambino” della frase di Borges? Non certo allo Stadio, perché “è pericoloso”, lì ci sono il padre ed i fratelli che si scazzottano con gli ultras, mentre lui – dalla TV – impara questa stupida lezione.
E allora? Forse, come ultima speranza di rivoltare il mondo, dovremo insegnare ai bambini che non va bene prendere a calci i barattoli e così il gioco del calcio, piano, piano, andrà a finire, ricoperto dai miliardi e dall’ignoranza dei suoi frequentatori.
A leggere i giornali specializzati e ad ascoltare i soliti “bene informati”, l’andamento della Borsa sembra non avere influito più di tanto sugli emolumenti di giocatori e tecnici: faccio un primo esempio, citando il trasferimento dal Milan al Real Madrid del brasiliano Kaka per 50milioni di euro, con un compenso assicurato al giocatore per i prossimi cinque anni di 10milioni netti all’anno; nota di servizio: quando si dice una cifra “netta” s’intende che la società o comunque il datore di lavoro paga anche le tasse del collaboratore che corrispondono all’incirca alla stessa cifra dell’ingaggio; quindi, così stando le cose, il “costo” viene ad essere quasi raddoppiato; chiaro?
Ma andiamo avanti: lo svedese Ibrahimovic, se dovesse passare dall’Inter al Barcellona, guadagnerebbe 12milioni di euro a stagione (sempre netti; da ora in poi non lo preciserò più), mentre Cassano, in caso di trasferimento dalla Sampdoria all’Inter, avrebbe un contratto di 3.5 milioni l’anno.
Potrei continuare, ma se tra i miei lettori c’è qualcuno interessato al genere, gli consiglio di seguire i quotidiani e le trasmissioni televisive specializzate.
Ma possiamo ancora considerare il gioco del calcio “uno sport”? Io che sono appassionato di cinema, ricordo con nostalgia il barattolo che i protagonisti de “I Vitelloni” di Fellini, fanno rotolare per una strada buia; forse il grande regista ha realizzato questa sequenza seguendo l’immagine poetica che scaturisce da questa frase di Louis Borges, il poeta cieco e visionario: “Dovunque un bambino fa rotolare un barattolo con i piedi, lì comincia, ogni volta, la storia bellissima del calcio”.
Ma allora, mi chiedo e vi chiedo, questo mercato delle vacche così impazzito rappresenta ancora la realtà del “gioco più bello del mondo” oppure ne è una conseguenza tumorale? Eppure, a tenere in piedi tutto il baraccone è “la povera gente”, coloro cioè che si privano di qualcosa per andare a versare nelle casse della società o in quelle della Pay-TV, le cifre occorrenti a far girare questi bilanci che peraltro sono sempre deficitari; mi dicono che le due squadre che hanno disputato a Roma la finale della Coppa dei Campioni – Manchester e Bercellona – hanno dei bilanci con debiti di qualche miliardo di euro!
Ma la ruota continua a girare perché se dovesse fermarsi cadrebbe tutto il giochino che fa campare un sacco di faccendieri, una miriade di procuratori o presunti tali, e tanti “esperti” spalmati tra giornali e televisioni.
Tutti questi personaggi sono coautori del più bello e più miserevole spettacolo del mondo, pieno di genialità e di classe pura nei giocatori e altrettanto ricolmo di teppismo e di cialtroneria; speriamo che venga adottato da noi quanto stabilito dalla normativa, per cui la partita verrà sospesa alla prima rissa tra tifosi, ai primi lanci di petardi (o peggio), ai primi accenni di xenofobia e razzismo.
Ma in tutto questo, dove si trova il “bambino” della frase di Borges? Non certo allo Stadio, perché “è pericoloso”, lì ci sono il padre ed i fratelli che si scazzottano con gli ultras, mentre lui – dalla TV – impara questa stupida lezione.
E allora? Forse, come ultima speranza di rivoltare il mondo, dovremo insegnare ai bambini che non va bene prendere a calci i barattoli e così il gioco del calcio, piano, piano, andrà a finire, ricoperto dai miliardi e dall’ignoranza dei suoi frequentatori.