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lunedì, maggio 11, 2009

TELEDIGIUNO 

La parola che appare nel titolo non la troviamo neppure sul Devoto-Oli e quindi dobbiamo cercarla in altro modo: è l’unione di due termini “tele” e “digiuno”, dei quali il primo si riferisce allo TV ed il secondo – dal dizionario sopra indicato – significa “astensione dagli alimenti, sia volontaria che imposta”; quindi, se agli alimenti ci sostituiamo la televisione il gioco è fatto è si comprende quanto avvenuto in un paese del parmense, dove la gente ha scelto di non guardare la TV per una settimana.
Tutto ha inizio quando David, un ragazzino di 12 anni, per imitare una esecuzione vista in TV, decide di impiccarsi, lasciando in un logico turbamento amici, conoscenti e, naturalmente l’intera famiglia che ancora non riesce a dimenticare l’accaduto.
Molto belle e sintomatiche del problema le parole usate dal Parroco del paese per commentare l’evento: “La TV purtroppo ruba l’infanzia. Guai a demonizzarla ma è nostro dovere renderla più a misura di bambino”; mi associo pienamente al pensiero del religioso, ma vorrei solo aggiungere che la TV non ruba solo l’infanzia, ma “la vita” a tutti coloro che vi si piantano davanti e quindi il problema è anche per gli adulti.
E aggiungo poi un’altra considerazione: guai a noi se pensiamo che i “creatori” della TV possano farla più o meno a misura d’uomo o di bambino, poiché il fine di costoro è uno solo: fare soldi attraverso il maggiore ascolto possibile, condizione realizzabile ad ogni costo, cioè facendo vedere qualsiasi cosa che possa essere utile a tal fine.
E allora? Allora bisogna rovesciare il problema e vederlo dalla parte dei fruitori dei programmi televisivi e comunque di coloro che vanno al cinema, leggono il giornale, le riviste e guardano le pubblicità sui cartelloni o altri mezzi: insomma dei normali cittadini che vengono investiti dai mezzi di comunicazione di massa.
Fra questi strumenti esistono alcune differenze e cioè, il cinema e la stampa subiscono una scelta preliminare (che film andiamo a vedere oppure che giornale compriamo), mentre per la TV il telecomando è solo un falso mito di libertà: se guardiamo bene, anche se scappiamo da alcuni programmi (Il Grande Fratello o consimili) ci ritroviamo a guardarne altri che solo in apparenza sono diversi e “fanno meno male”.
Quindi, amici cari, prima di ogni altra considerazione bisogna che la gente si attrezzi e “impari” il linguaggio tipico dei mezzi di comunicazione di massa, materia che non viene insegnata nelle scuole, dove si “fanno vedere film” come se quello fosse il modo di risolvere il problema. Cerchiamo di capirci: il linguaggio dell’immagine tecnica è un complesso di regole specifiche per l’argomento; se nessuno ce le insegna, significa che “il potere” (politico, economico, religioso, ecc.) ha interesse che noi non lo impariamo, ma continuiamo a subirlo, ricevendo – come avviene quotidianamente – le comunicazioni inavvertite e quelle clandestine che sono tipici modi dell’immagine per veicolarci delle idee che diventano nostro patrimonio idealogico; con queste idee – forniteci da “altri” – andiamo a fare le nostre scelte, sia etiche che commerciali, sia morali che politiche e così il gioco è fatto e arriviamo a “pensare con le idee di altri”.
Badate bene, non buttiamo via il bambino insieme all’acqua sporca; la TV è un grandissimo strumento di evoluzione della gente, ma deve essere “usato” con attenzione e soprattutto con la conoscenza del linguaggio che viene adoperato per comunicare “l’idea dell’autore sull’evento”. Quando diciamo che “l’abbiamo visto in TV” come se lo avessimo visto dalla nostra finestra, commettiamo il primo errore, perché inconsciamente accettiamo quel fatto come se fosse la realtà, mentre è l’idea che il mezzo televisivo vuole propinarci su quella realtà. Chiaro il concetto; capito il trucco?

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