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sabato, marzo 04, 2006

GHEDDAFI E LE TRUPPE CAMMELLATE 

Il leader libico Muammar Gheddafi ha ripreso i suoi attacchi all’Italia, attacchi che si ripetono costantemente – quasi uguali – da trent’anni a questa parte.
Questa volta è un comizio a Sirte che scatena gli animi dei libici; di questo discorso mi piace riprendere due frasi: la prima “Il popolo libico detesta l’Italia e bisogna che non sia dominato dal sentimento della vendetta. I libici erano decisi ad uccidere il console italiano e i suoi familiari. Dicevano che gli italiani avevano ucciso 700mila libici” e l’altra ancora più inquietante: “Perché questo atto non si ripeta (attacco al consolato) occorre che l’Italia versi il prezzo affinché le sue compagnie, consolati ed ambasciate e i suoi cittadini residenti in Libia vivano in pace”.
La prima frase contiene una serie di bugie, anche storiche, in quanto non è assolutamente vero che ci sia inimicizia tra il popolo libico e quello italiano, anzi…Purtroppo questa inimicizia esiste – ed è violentissima – tra il colonnello Gheddafi e la frangia più estremista del paese, quei “Fratelli Musulmani” che sono stati esclusi dai gangli del potere e che non perdono occasione per creare difficoltà al governo.
A Gheddafi, infatti, di una una cosa dobbiamo dare atto: è tra i pochi leader mediorientali (insieme all’egiziano Mubarak) ad essere riuscito a creare uno stato laico, sia pure dittatoriale, ma fuori dal controllo islamico: il colonnello sa benissimo che questa laicità deve essere difesa strenuamente giorno dopo giorno e che per difenderla bisogna creare quelli che in politica si chiamano “i falsi scopi”.
La seconda frase – quella del dover pagare, sennò… - mi sembra di puro stampo mafioso, figlia di una cultura del racket che non credevo fosse patrimonio della Libia: voglio sperare che sia sfuggito a Gheddafi il senso esatto della frase e che si sia concentrato soltanto sul “dovete pagare” che è un grosso elemento da usare per la propaganda anti islamica.
Si noti pure che il leader libico ha l’onestà intellettuale di ammettere che i disordini scoppiati a Benghasi non hanno niente a che vedere con le vignette su Maometto, anche se i dimostranti sembravano motivati da questo evento; infatti, proprio a Benghasi c’è la colonia islamica più forte del paese e prende spunto da ogni possibile fatto per scagliarsi contro il dittatore libico, in questo caso cercando di metterlo in imbarazzo nei confronti dell’Italia, notoriamente paese amico.
Gheddafi però, con l’astuzia che gli è tipica, ha rovesciato verso gli “amici” una serie di contumelie distraendo così l’opinione pubblica libica dal vero problema e cioè dalla volontà dei “Fratelli Musulmani” di acquisire maggiore (o tutto!!) potere; l’astuzia del colonnello è stata anche quella di aver agitato le acque nei confronti dell’Italia proprio nel periodo pre-elettorale, certo che avrebbe trovato tutta una serie di truppe cammellate che lo avrebbero sostenuto.
E così è stato, in quanto molti esponenti politici dell’opposizione – ligi al detto “piove, governo ladro” – hanno fatto da cassa di risonanza per le accuse all’Italia e, sia pure con alcuni distinguo, si sono ritrovati a fare comunella con il dittatore libico, posizione non certo invidiabile ma utile per colpire gli avversari.
La dimostrazione che le cose stanno come le ho descritte io, si ricava soprattutto dal fatto che Gheddafi non ha ventilato alcuna ritorsione commerciale (leggi: forniture petrolifere) e si è limitato a vaghe e immotivate minacce per la sorte di consolati e strutture commerciali italiane; ben altra deterrenza avrebbe avuto la frase, già pronunciata dall’iraniano Ahmadinejad: “vi tolgo il petrolio e lo do a un altro Paese”.

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