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sabato, novembre 12, 2005

E adesso parliamo di donne 

Per affrontare un discorso che, spero, piacevole ma anche serio, sul rapporto uomo/donna, mi rifaccio ad un fatto di cronaca recente e a come i mezzi di informazione ce lo presentano.
“Ammazza Stefano, va con mia moglie”: questo è il titolo con cui un quotidiano presenta una storia di furti, violenze sessuali e, infine, delitto su commissione: due giovani rubano e rapinano per realizzare i soldi per commettere un omicidio e, in attesa di avere il contante si sollazzano con una giovane donna alla quale rubano anche i due cellulari; saranno proprio questi strumenti che consentiranno alla Polizia di incastrarli, all’indomani di un orrendo delitto compiuto nelle campagne della Brianza: scaricato l’intero caricatore della pistola nel petto di un ventitreenne reo di essere stato un (presunto) amante della moglie, già spedita “di forza” in Calabria dai parenti fin da questa estate.
Lasciamo stare le rapine, lasciamo stare la violenza sessuale e concentriamoci sul delitto su commissione che l’amico del marito compie per vendetta nei confronti del presunto amante della moglie: la prima considerazione che mi viene è che il marito ritiene la moglie puramente un oggetto (ed infatti la punisce blandamente) mentre l’amante viene ucciso in quanto considerato un “ladro” di mogli.
Quindi, si considera la donna come un oggetto che è lì a disposizione di chi la prende e l’uomo (in questo caso l’amante) uno che non si sarebbe dovuto permettere di osare.
Cosa voglio dire con questo? Anzitutto che in alcuni ambienti la donna continua ad essere considerata come un essere umano di serie B, alla quale non si può neppure imputare il tradimento, quasi non la si considerasse capace di effettuare una scelta; è soltanto un oggetto, a disposizione del marito e guai se qualche altro si frappone a questo rapporto, ci scappa la vendetta e conseguentemente il morto.
Non credevo neppure che potessero esistere degli uomini che continuano a pensare in questo modo, dopo oltre ventanni dalle prime lotte femministe e dopo la scontata vittoria del movimento: qualcuno si ricorderà i primi slogan “il corpo è mio e lo gestisco come voglio”, oppure “donna è bello” ed altri del genere, con cui la parte femminile del nostro creato cercava (e ci riusciva) di riappropriarsi dei propri diritti e affermare le proprie esigenze psicologiche.
La cosiddetta “rivoluzione femminista”, vera ed unica rivoluzione del dopoguerra, è stata fatta e vinta anche contro i maschietti che, prima di tutto non volevano perdere la propria egemonia e in secondo luogo avevano (come hanno, o forse è meglio se dico “abbiamo”) una paura fottuta di questo nuovo “animale” sconosciuto all’apparenza perché aveva perso quella docilità che era stata una delle sue caratteristiche principali.
Le donne infatti – da un certo tempo in poi – hanno cominciato ad affermare, giustamente, il desiderio di vedere riconosciuta la propria personalità di essere umano, simile all’uomo, con gli stessi suoi diritti, uguale nei desideri e nelle aspirazioni anche se diverse per ovvie diversità fisiologiche.
E mi sembrava che ci fossero abbastanza riuscite, ed invece debbo assistere a queste scene da Medio Evo oppure a quell’altra manfrina – veramente antifemminista – delle “quote rosa” per le prossime elezioni, come se ad esse venisse assegnato una parte del territorio considerandolo “riserva esclusiva”: direi che in questo modo ci comportiamo con i panda o comunque con gli animali in via di estinzione; le donne – cari amici – sono ben lontane dall’estinzione, per nostra fortuna, e sono sempre più agguerrite non solo nei nostri confronti, ma nei confronti del mondo intero.

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