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domenica, novembre 06, 2005

Ancora sui disordini a Parigi 

Il contribuito di un amico – mi permetto di chiamarlo così anche se non lo conosco – che ha commentato un mio post di ieri, mi ha aperto gli occhi sulla situazione parigina più di tanti giornali o servizi televisivi: in pratica l’amico, che ha abitato a lungo in Francia, mi fornisce una sorta di spaccato socio antropologico sui giovani delle banlieu parigine ed anche sui metodi della polizia francese.
Per il primo aspetto egli afferma che le bande di rivoltosi sono composte da figli di immigrati musulmani ma anche da giovani di origine italiana, francese, polacca, portoghese, ecc. i quali sono stufi di essere considerati dei pezzenti e di essere totalmente esclusi da qualunque forma di integrazione sociale (e quindi il problema non è solo razziale) e di dover rimanere ai margini di questa società in apparenza così luccicante ed opulenta.
Tutto quello che l’amico mi riporta mi torna assai con quello che era il mio pensiero, forse dovrei chiamarlo pensiero fisso, e cioè che la colpa di tutte queste situazioni di degrado è della stramaledetta globalizzazione che – come ho avuto modo di affermare molte volte – è responsabile di tantissime storture sul piano sociale in quanto demanda tutto l’andamento delle leggi del vivere civile a quello che può considerarsi “il mercato”, quell’entità cioè che è formata da coloro che stanno sempre e comunque a galla e che se un anno guadagnano 100 e l’anno dopo 80, affermano che hanno perduto 20.
Tutte queste situazioni portano a cattiverie ed a strozzature di interventi in forza dei quali le grandi capitali europee, laddove più alta è la concentrazione abitativa, sono stracolme di situazioni che rasentano e superano la miseria assimilabile al terzo mondo; chiamo miseria anche l’impossibilità di comprarsi il cellulare e di utilizzare Internet, poiché gli slogan che ci arrivano dalla pubblicità ci fanno apparire questi beni come irrinunciabili ai fini della vita contemporanea.
Ed ora mi quadra anche la paura che si va espandendo in tutta Europa: è ovvio che anche i governanti di queste altre nazioni stiano in campana, poiché nelle loro megalopoli ci sono altrettanti assembramenti abitativi che sono stracolmi di storture sociali.
A fronte di tutte queste prese di posizione mi sembra poi che non ci siano delle idee di intervento né da parte delle forze politiche e neppure da parte di economisti ed intellettuali in genere; ed ecco perché serpeggia la paura, perché non si hanno risposte a queste istanze.
E mi quadra anche la non presenza del tipico “capopopolo”, di colui cioè che detta la strategia e quindi la tattica: questo è per il momento un movimento assolutamente spontaneo dettato da esigenze “di pancia” che niente ha a che fare con gli sbrodolamenti intellettualistici che si incontrano nei nostri paesi; speriamo che non si guasti in futuro!
Per quanto riguarda poi l’atteggiamento della Polizia francese, l’amico me la descrive a livello statunitense, ferocemente repressiva con gente di colore e immigrati in genere e mi fornisce anche vari particolari su questi atteggiamenti, da lui vissuti in prima persona; non posso fare altro che crederci e, in effetti, qualcosa mi era già venuto agli orecchi.
Comunque sia, nel caso che la situazione sia veramente quella che neppure oso immaginare, l’incendio parigino è l’avanguardia di un incendio di ben più vaste proporzioni, nel quale tutti noi siamo implicati e tutti noi siamo chiamati ad operare in qualità di pompieri prima e di “riallineatori” poi.

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