venerdì, aprile 29, 2005
Come si risolve il caso Calipari?
Accanto alla mia proposta di ritiro delle nostre truppe dall’Irak nel caso che gli USA non dovessero riconoscere la colpevolezza dei loro soldati, si è avuto una “new entry” di grosso spessore: addirittura l’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, amico di vecchia data con Berlusconi e sicuramente altrettanto amico degli americani lòa pensa esattamente come me!
Come si sta sviluppando la questione: stiamo andando verso una doppia relazione della commissione d’inchiesta, una firmata dagli americani ma non dai due italiani presenti e l’altra invece sottoscritta dai nostri rappresentanti e, ovviamente, non dagli americani.
In concreto, gli americani scaricano tutta la responsabilità sul capo missione, Nicola Calipari, accusato di non avere opportunamente avvertito le autorità militari statunitensi e anche di aver fatto viaggiare l’auto ad una velocità eccessiva (80 Kmh contro i 40 ammessi in quella strada che è quotidianamente teatro di attentati). Per questo motivo i militari U.S.A. sono stati “costretti” ad applicare le procedure previste in questi casi e cioè apertura del fuoco in modo da costringere l’automezzo a fermarsi prima.
Gli italiani controbattono che la dinamica dell’evento è esattamente opposta: in primo luogo le autorità americane sono state avvertite più volte (una addirittura con una telefonata partita da Roma e diretta ai militari di stanza all’aeroporto di Bagdad); inoltre la velocità dell’auto era all’interno di quanto prescritto e di ciò è testimone l’autista sopravvissuto.
Entrambi gli schieramenti hanno testimoni che avvalorano le singole tesi (gli americani i soldati e noi i due superstiti, Giuliana Sgrena e l’agente del SISMI che guidava la Toyota) e a questo punto c’è veramente il rischio che la commissione partorisca due relazioni.
Adesso il problema diventa politico e quindi i militari dovrebbero essere messi fuori dal gioco; adesso i due governi dovrebbero trovare una soluzione in modo tale che nessuno dei due perda la faccia.
Gli americani, che pure hanno uno degli slogan elettorali più belli (“compreresti un’auto usata da questo tizio?”) hanno il brutto vizio di costruire delle bugie che poi regolarmente vengono scoperte; probabilmente è la convinzione dell’intangibilità che li porta a commettere questi errori, ma da Nixon nel caso Watergate a Clinton nella vicenda Lewinski, si è assistito a dei casi che sono diventati tali soprattutto per effetto della “bugia” che è stata detta all’inizio della vicenda e che poi è stata sostenuta con pervicacia nonostante l’evidenza mostrasse il contrario.
Probabilmente anche in questo caso le cose stanno prendendo questa piega e quindi ritorno all’inizio di questo post: il nostro premier deve convocare una conferenza stampa nella quale annuncia i risultati della “nostra” indagine e “avvertire” gli amici americani che se le conclusioni non seguiranno questa traccia (con conseguente punizione per esecutori ed eventuali mandanti) noi entro tre mesi ce ne andremo dall’Irak.
Che poi, caro Berlusca, sarebbe per lei come vincere all’Enalotto, perché potrebbe prendere due piccioni con una fava: risparmiare sulle spese militari in maniera imponente – e Dio solo sa se abbiamo bisogno di risparmiare – e rifarsi un’immagine da autentico leader di un grande paese che ha l’autorità di trattare da pari a pari anche con il capo della maggiore potenza mondiale.
A margine poi ci sarebbe una delle armi dell’opposizione che in caso di messa in pratica di questa strategia, andrebbe a spuntarsi (l’eccessivo filo americanismo), ed anche qui Dio solo sa quanto ne avrebbe bisogno – il Cavaliere – di spuntare le armi dell’opposizione che sono tante e ben appuntite.
Come si sta sviluppando la questione: stiamo andando verso una doppia relazione della commissione d’inchiesta, una firmata dagli americani ma non dai due italiani presenti e l’altra invece sottoscritta dai nostri rappresentanti e, ovviamente, non dagli americani.
In concreto, gli americani scaricano tutta la responsabilità sul capo missione, Nicola Calipari, accusato di non avere opportunamente avvertito le autorità militari statunitensi e anche di aver fatto viaggiare l’auto ad una velocità eccessiva (80 Kmh contro i 40 ammessi in quella strada che è quotidianamente teatro di attentati). Per questo motivo i militari U.S.A. sono stati “costretti” ad applicare le procedure previste in questi casi e cioè apertura del fuoco in modo da costringere l’automezzo a fermarsi prima.
Gli italiani controbattono che la dinamica dell’evento è esattamente opposta: in primo luogo le autorità americane sono state avvertite più volte (una addirittura con una telefonata partita da Roma e diretta ai militari di stanza all’aeroporto di Bagdad); inoltre la velocità dell’auto era all’interno di quanto prescritto e di ciò è testimone l’autista sopravvissuto.
Entrambi gli schieramenti hanno testimoni che avvalorano le singole tesi (gli americani i soldati e noi i due superstiti, Giuliana Sgrena e l’agente del SISMI che guidava la Toyota) e a questo punto c’è veramente il rischio che la commissione partorisca due relazioni.
Adesso il problema diventa politico e quindi i militari dovrebbero essere messi fuori dal gioco; adesso i due governi dovrebbero trovare una soluzione in modo tale che nessuno dei due perda la faccia.
Gli americani, che pure hanno uno degli slogan elettorali più belli (“compreresti un’auto usata da questo tizio?”) hanno il brutto vizio di costruire delle bugie che poi regolarmente vengono scoperte; probabilmente è la convinzione dell’intangibilità che li porta a commettere questi errori, ma da Nixon nel caso Watergate a Clinton nella vicenda Lewinski, si è assistito a dei casi che sono diventati tali soprattutto per effetto della “bugia” che è stata detta all’inizio della vicenda e che poi è stata sostenuta con pervicacia nonostante l’evidenza mostrasse il contrario.
Probabilmente anche in questo caso le cose stanno prendendo questa piega e quindi ritorno all’inizio di questo post: il nostro premier deve convocare una conferenza stampa nella quale annuncia i risultati della “nostra” indagine e “avvertire” gli amici americani che se le conclusioni non seguiranno questa traccia (con conseguente punizione per esecutori ed eventuali mandanti) noi entro tre mesi ce ne andremo dall’Irak.
Che poi, caro Berlusca, sarebbe per lei come vincere all’Enalotto, perché potrebbe prendere due piccioni con una fava: risparmiare sulle spese militari in maniera imponente – e Dio solo sa se abbiamo bisogno di risparmiare – e rifarsi un’immagine da autentico leader di un grande paese che ha l’autorità di trattare da pari a pari anche con il capo della maggiore potenza mondiale.
A margine poi ci sarebbe una delle armi dell’opposizione che in caso di messa in pratica di questa strategia, andrebbe a spuntarsi (l’eccessivo filo americanismo), ed anche qui Dio solo sa quanto ne avrebbe bisogno – il Cavaliere – di spuntare le armi dell’opposizione che sono tante e ben appuntite.