giovedì, aprile 28, 2005
Di unica c'é solo la mamma
Il Cavaliere dovrebbe sapere che in Italia la sola cosa ad essere considerata “unica” è la mamma e lui vorrebbe fare invece il “partito unico”; niente di più assurdo e inconcepibile per il modo tutto nostrano di fare politica.
Forse qualcuno non si è accorto che in occasione delle recenti consultazioni al Quirinale è stato fatto una sorta di censimento dei gruppi parlamentari presenti, arrivando a contarne addirittura quaranta, il che equivale a quaranta segretari, a quaranta macchine blu, a quaranta prebende statali per le elezioni; insomma ognuno rappresenta uno staterello, ma in quel territorio è signore e padrone.
E lui invece vorrebbe che tutti i partiti riconducibili all’area del centro destra confluissero in una sorta di “rassemblement” da identificare in partito unico, il cui leader – bontà sua il Berlusca non si è autonominato – dovrebbe scaturire da una elezione primaria.
Ha poi soggiunto: chi non entra in questo partito entro una certa data poi corre da solo alle elezioni, paventando così una diminuzione feroce dei rappresentanti in Parlamento.
Va bene, caro Cavaliere, facciamo finta che tutto questo si realizza e che i vari “little leader” (per intenderci i vari Follini, De Michelis, Fini, Bossi, ed altri ancora “più minori”) confluiscano in questo erigendo partito unico; alle elezioni – svolte con il sistema maggioritario e facendo finta che il leader venga confermato in Berlusconi - questo partito acquisisca un certo numero di seggi che gli consente di governare. Una volta stabilito chi governa, c’è materialmente da mettere mano alla compagine ministeriale fatta di posti da ministro, vice ministro e sottosegretario.
A questo punto i nostri parlamentari entrati in aula con una unica giacca, si tolgono la giacca uguale e ognuno si rimette la propria maglietta indicativa della propria squadra e i singoli partito si riformano automaticamente nel momento in cui sono a dividersi il potere.
E quindi non cambia niente, perché gli scontenti rimangono scontenti – come singolo partito, anche se il partito unico ha vinto – e quindi pretendono dei cambiamenti programmatici e un aumento dei posti nel governo; insomma, passata la fase elettorale, ognuno di loro si scorda il benedetto partito unico, il suo “leader maximo” e ritorna ad interessarsi del proprio orticello, cioè del proprio mini-partito e del proprio “leader minimo”.
Così è, caro Berlusconi, e se credi di sparigliare la partita della politica italiana con la promessa di realizzare il partito unico ti sbagli di grosso, perché tutti diranno di sì, salvo poi rifare le stesse cose di sempre, cioè tirare ad ampliare sempre più il proprio campetto, arandolo sempre meglio e con un numero sempre maggiore di operai agricoli.
L’unica cosa che può rivestire un qualche interesse è l’adozione delle “primarie” per la scelta del leader: nel caso, però, che i vari Follini, Fini e compagnia bella acquisissero la piena consapevolezza di perdere, non parteciperebbero all’elezione e il Cavaliere si troverebbe a correre da solo, ma riceverebbe un coro di “bella forza che hai vinto, noi non abbiamo partecipato!”.
Ma tutte queste sono forse chiacchiere per riempire il vuoto di idee circa le cose da fare in questo ultimo scorcio di legislatura?
Questo perché al momento l’unico che parla è Tremonti, ma riesce solo a dire fesserie (vendita delle spiagge, detassazione dell’IRAP e degli aumenti salariali), tutte cose che non gli competono: forse lo usano per occupare il tempo, come una volta negli spettacoli di rivista veniva usato “il fine dicitore”.
Forse qualcuno non si è accorto che in occasione delle recenti consultazioni al Quirinale è stato fatto una sorta di censimento dei gruppi parlamentari presenti, arrivando a contarne addirittura quaranta, il che equivale a quaranta segretari, a quaranta macchine blu, a quaranta prebende statali per le elezioni; insomma ognuno rappresenta uno staterello, ma in quel territorio è signore e padrone.
E lui invece vorrebbe che tutti i partiti riconducibili all’area del centro destra confluissero in una sorta di “rassemblement” da identificare in partito unico, il cui leader – bontà sua il Berlusca non si è autonominato – dovrebbe scaturire da una elezione primaria.
Ha poi soggiunto: chi non entra in questo partito entro una certa data poi corre da solo alle elezioni, paventando così una diminuzione feroce dei rappresentanti in Parlamento.
Va bene, caro Cavaliere, facciamo finta che tutto questo si realizza e che i vari “little leader” (per intenderci i vari Follini, De Michelis, Fini, Bossi, ed altri ancora “più minori”) confluiscano in questo erigendo partito unico; alle elezioni – svolte con il sistema maggioritario e facendo finta che il leader venga confermato in Berlusconi - questo partito acquisisca un certo numero di seggi che gli consente di governare. Una volta stabilito chi governa, c’è materialmente da mettere mano alla compagine ministeriale fatta di posti da ministro, vice ministro e sottosegretario.
A questo punto i nostri parlamentari entrati in aula con una unica giacca, si tolgono la giacca uguale e ognuno si rimette la propria maglietta indicativa della propria squadra e i singoli partito si riformano automaticamente nel momento in cui sono a dividersi il potere.
E quindi non cambia niente, perché gli scontenti rimangono scontenti – come singolo partito, anche se il partito unico ha vinto – e quindi pretendono dei cambiamenti programmatici e un aumento dei posti nel governo; insomma, passata la fase elettorale, ognuno di loro si scorda il benedetto partito unico, il suo “leader maximo” e ritorna ad interessarsi del proprio orticello, cioè del proprio mini-partito e del proprio “leader minimo”.
Così è, caro Berlusconi, e se credi di sparigliare la partita della politica italiana con la promessa di realizzare il partito unico ti sbagli di grosso, perché tutti diranno di sì, salvo poi rifare le stesse cose di sempre, cioè tirare ad ampliare sempre più il proprio campetto, arandolo sempre meglio e con un numero sempre maggiore di operai agricoli.
L’unica cosa che può rivestire un qualche interesse è l’adozione delle “primarie” per la scelta del leader: nel caso, però, che i vari Follini, Fini e compagnia bella acquisissero la piena consapevolezza di perdere, non parteciperebbero all’elezione e il Cavaliere si troverebbe a correre da solo, ma riceverebbe un coro di “bella forza che hai vinto, noi non abbiamo partecipato!”.
Ma tutte queste sono forse chiacchiere per riempire il vuoto di idee circa le cose da fare in questo ultimo scorcio di legislatura?
Questo perché al momento l’unico che parla è Tremonti, ma riesce solo a dire fesserie (vendita delle spiagge, detassazione dell’IRAP e degli aumenti salariali), tutte cose che non gli competono: forse lo usano per occupare il tempo, come una volta negli spettacoli di rivista veniva usato “il fine dicitore”.