<$BlogRSDUrl$>

sabato, dicembre 27, 2008

L'ANDAMENTO DEL PETROLIO 

Ricordate i tempi antecedenti alla crisi? C’era una materia prima che andava a gonfie vele (per i petrolieri), cioè il petrolio che nel luglio di quest’anno ha toccato i 147 dollari al barile; adesso a crisi in pieno svolgimento, il suo deprezzamento ha del mostruoso, pensate che sta costando una cifra a cavallo dei 40 dollari al barile, dico a cavallo in quanto va un po’ sopra e un po’ sotto tale somma; quindi si è mangiato oltre 100 dollari per barile di costo e, pertanto, i paesi produttori dell’oro nero sono adesso in gravi ambasce, presi come sono tra i piani di sviluppo della loro economia e l’impoverimento indotto dal minore costo della principale materia prima da esportare..
Allora possiamo dire che il costo attuale del barile è per l’Europa, l’Asia e l’America, una nota estremamente positiva, l’unica in questa situazione gravida di problemi; di contro, un barile così a buon mercato rappresenta una vera catastrofe per tutti i produttori del petrolio; si pensi che per assicurare profitti il barile non deve scendere al di sotto di una certa soglia, se la supera si vende in perdita e – a gioco lungo – il vendere in perdita non è mai una saggia politica aziendale.
Per il Venezuela tale soglia – definita “di profittabilità – è di 97 dollari, per la Nigeria di 71, per l’Iran di 58, per l’Arabia Saudita di 62, per il Kuwait di 48, per gli Emirati Arabi di 51, per l’Algeria di 35, per la Russia, che peraltro non fa parte dell’OPEC, dovrebbe essere circa 60 dollari.
Come si vede, al momento attuale soltanto l’Algeria sta vendendo con un certo profitto, sia pure di piccola entità, mentre tutti gli altri produttori stanno cedendo petrolio ad una cifra che per loro rappresenta una perdita secca.
C’è da aggiungere che queste oscillazioni dell’oro nero hanno una valenza, oltre che economica, anche politica in quanto i paesi maggiormente produttori sono quasi tutti governati da “dittature” (più o meno mascherate) o da regimi autoritari o teocratici e quindi la loro stabilità dipende in larga misura dagli incassi derivanti dal petrolio: se il prezzo del greggio non è più remunerativo, le tensioni sociali, pur soffocate dal sistema, si fanno comunque sentire.
Il caso più eclatante è quello del Venezuela, in testa alla classifica di cui sopra, che con la profittabilità di 97 non riesce a raggranellare neppure il 50% del costo del petrolio; da notare che il governo di Chavez sopravvive grazie ad una politica distributiva che privilegia i “descamisados”, veri sostenitori del Presidente, i quali cesseranno di sostenerlo se verranno meno le provvidenze di cui godono; più o meno lo stesso discorso vale per l’Iran, il quale ha il proprio regime teocratico che si regge su provvidenze che provengono dal petrolio: adesso ci sta rimettendo circa 18 dollari al barile; quanto potrà reggere?
Da questi due personaggi – Chavez e Akhmadinejad – c’è da aspettarsi anche qualche colpo di testa che possa rimettere in ballo il profitto petrolifero, altrimenti rischiano entrambi, come minimo, dei sommovimenti politici interni che potrebbero sfociare anche in un ribaltone del governo.
Perciò, quando inneggiamo alla caduta del prezzo del petrolio, andiamoci cauti, perché potrebbe avere delle conseguenze al momento non ipotizzabili ma certamente di larga portata internazionale; e così non ci possiamo godere neppure l’unico lato positivo di questa crisi: il calo della benzina che ci invoglia tutti – anche noi poveracci - a riprendere l’uso dell’automobile per i nostri spostamenti e sentirci così, almeno questa volta, uguali ai “signori” nei consumi; ve l’avevo detto che per noi non c’è gioia!!

This page is powered by Blogger. Isn't yours?