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martedì, febbraio 15, 2011

MORIRE PER AMORE 

Nel titolo metto in correlazione strettissima l’amore e la morte, come se la seconda fosse una diretta conseguenza del primo; ma come può essere possibile che l’amore – sentimento sublime che rende sublime tutto quello che lo circonda - possa condurre uno dei due protagonisti ad una fine tragica?
Parlo di questo, richiamato da due eventi che comprendono entrambe queste realtà: l’amore e la morte; il primo è accaduto nella mia città, dove un giovane, dopo una serata in compagnia della fidanzata, contrappuntata da vari battibecchi, si è ritrovato insieme all’amata sulla spalletta di un fiume e si è gettato in acqua; forse per inesperienza, forse per qualche altra causa, quando sono intervenuti i sommozzatori l’uomo era già morto; a posteriori la ragazza – con poco spirito di carità – definisce il giovane ed il suo gesto con un poco lusinghiero: “voleva solo fare una bravata”.
Se è un “incidente”, non c’entra niente con questo mio scritto, ma se invece è un suicidio – più o meno cosciente – diventa l’estremo atto di colui che desidera “uscire di scena” ma, allo stesso tempo, vuole relazionarsi con qualcuno (l’amata? forse!).
E cosa vuole dire alla donna che fino a poco prima è stata sua? Forse dimostrarle con questo gesto tragico ma al tempo stesso coraggioso, che lui è in possesso di doti e di sentimenti al di sopra di tutte quelle cattive parole che lei ha usato nei suoi riguardi; insomma una sorta di rivalsa sui pensieri della donna e una vendetta che si instaura attraverso il dolore ed il rimorso che lui pensa di infliggere a colei che non lo ama più.
Il secondo caso è quello dell’uomo che, separato (o divorziato, non so!) dalla moglie, si reca a casa di lei per “ritirare” le due gemelline che – secondo le disposizioni del Tribunale – dovevano trascorrere il fine settimana con lui.
E da quel momento inizia una sorta di viaggio verso la morte: comincia l’uomo, con una cartolina che invia alla moglie nella quale scrive: “senza di te non ce la faccio”; la donna riceverà la missiva solo quando l’allarme per l’assenza delle bambine sarà già in atto; dopo queste poche parole, l’uomo compie il gesto estremo: dalla Svizzera si dirige fino a Cerignola e in quella stazione ferroviaria “abbraccia un treno” come si dice dalle mie parti, cioè si getta sotto i binari e viene ovviamente ridotto in poltiglia.
Ma questo atto lo compie “solo lui” e quindi tutti – la moglie per prima – si chiedono: e le gemelline dove sono? Che fine hanno fatto? Inizia così una gigantesca ricerca delle bambine che – come al solito – vengono viste in varie parti del mondo, tra la Svizzera, la Francia, l’Italia, la Corsica; insomma “sono” dappertutto ma non si trovano.
Mentre è ancora in corso la caccia alle bambine, la moglie riceve una nuova cartolina dall’ex marito: “le bambine riposano in un posto tranquillo; non hanno sofferto; non le rivedrai più” ed aggiunge “sarò l’ultimo a morire; volevo morire con loro ma non è stato così” e conclude con un emblematico “spero non ti suiciderai”.
La drammaticità del gesto – se ovviamente verrà confermato dalle ricerche delle due bambine – ci riporta alle tragedie greche, con i figli che vengono spesso usati per ricreare gesti terribili all’interno della famiglia, luogo di metastasi per coloro che vi si avventurano con una vena di follia.
L’uomo sembra essersi voluto vendicare di un amore non più corrisposto e per fare questo ha ucciso quello che – a suo giudizio – era l’oggetto di maggiore amore della moglie; la vena di follia è passata sopra anche all’amore per le figlie; è passata sopra alla pietà, è passata sopra alla misericordia, mirando diritto alla vendetta dopo avere scansato anche la bellezza dei due piccoli angeli biondi che poteva fermare la follia.

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