giovedì, febbraio 17, 2011
RIVOLTE E SBARCHI
In Africa scoppia una rivolta dietro l’altra, gli ex “Capi” (eletti “democraticamente” dal popolo) fuggono all’estero, con l’autorizzazione più o meno tacita dei rivoltosi, eppure, mai come in questo periodo la gente scappa da Tunisia, Algeria, Egitto (si preparano Iran e Libia); come si spiega questo che apparentemente sembra un paradosso? Cioè: hai partecipato alla rivolta dei “poveri”; l’hai “vinta”, in quel modo ma insomma l’hai vinta, e invece di partecipare al “cambiamento” del tuo Paese, te ne scappi in Italia, con probabile ulteriore destinazione in Germania o Inghilterra.
Dunque, per capirci qualcosa facciamo un passo indietro: le rivolte – da non confondersi con le rivoluzioni, come ho già spiegato tempo fa, all’inizio delle manifestazioni di piazza – hanno avuto vita facile perché l’esercito non si è schierato a difesa del potere e quindi i rivoltosi hanno avuto la strada spianata dall’unica autorità rimasta in piedi che non si è schierata “contro” i rivoltosi.
Dopo la “fuga” degli ex comandanti (Ben Alì per la Tunisia e Mubarack per l’Egitto) il potere è passato all’unica realtà viva e vitale del Paese, cioè l’esercito che, anche se non in prima persona, ha preso il comando di tutto l’apparato di comando ed ha compiuto le prime due mosse che sempre vengono effettuate in questi casi: chiusura del Parlamento e abolizione della Costituzione; il tutto beninteso, in attesa dell’esecuzione di nuove elezioni (anch’esse “democratiche” naturalmente).
I “rivoltosi” ovviamente ci sono rimasti un po’ male, ma hanno fatto buon viso ed hanno accettato; ma quelli un po’ più “smagati”, per intenderci: i giovani, coloro che hanno iniziato la rivolta, quelli anche più acculturati in quanto in possesso di laurea o diploma, hanno compreso che la via a riforme significative è ancora lunga e lastricata da fame e dolore ed hanno deciso di andarsene all’estero, approfittando anche del diminuito controllo delle autorità nei porti di imbarco.
Adesso, come andamento della vita nei Paesi in rivolta, bisogna vedere il comportamento nei confronti di quella polveriera che è rappresentata da Israele nella regione: al momento l’Egitto, con l’accordo di pace successivo alla guerra del golfo, fungeva da regolatore delle tensioni anti israeliane; adesso, anche se i militari hanno confermato il mantenimento dell’accordo di pace, bisogna vedere come andranno le cose, specialmente in Palestina e nella striscia di Gaza.
In tutte queste vicende, mentre si è visto e sentito molto spesso Obama, non si è mai avuto sentore dell’altra “potenza”,cioè dell’Europa che non ha manifestato alcun indirizzo di politica estera: l’Europa non è esistita nella crisi tunisina e neppure in quella egiziana, limitandosi a delineare le vie di fuga dei cittadini europei.
E neppure nell’emergenza degli sbarchi a Lampedusa, l’Europa ha manifestato una presenza visibile: tanti i progetti sulla carta, dall’Unione per il Mediterraneo di Sarkozy all’accordo di Barcellona, ma a nessuno di questi sono state assegnate le risorse necessarie, in quanto il problema è stato sottovalutato oppure – ed è molto peggio – è stato considerato “di pertinenza italiana” e quindi lasciato al nostro Paese che rappresenta una sorta di “portaerei” nel Mediterraneo; che poi, a ben vedere, questi clandestini anelano a spargersi per l’Europa (Germania, Inghilterra e Paesi nordici in testa), per cui il problema, presto o tardi diventa di comune approccio per quasi tutti.
D’altro canto, la nobildonna inglese signora Ashton, nominata di recente Ministro degli Esteri dell‘U.E., con tutti i tè che deve organizzare per le sue altolocate amiche, non ha certo il tempo di pensare a queste quisquiglie; chiaro il concetto??
Dunque, per capirci qualcosa facciamo un passo indietro: le rivolte – da non confondersi con le rivoluzioni, come ho già spiegato tempo fa, all’inizio delle manifestazioni di piazza – hanno avuto vita facile perché l’esercito non si è schierato a difesa del potere e quindi i rivoltosi hanno avuto la strada spianata dall’unica autorità rimasta in piedi che non si è schierata “contro” i rivoltosi.
Dopo la “fuga” degli ex comandanti (Ben Alì per la Tunisia e Mubarack per l’Egitto) il potere è passato all’unica realtà viva e vitale del Paese, cioè l’esercito che, anche se non in prima persona, ha preso il comando di tutto l’apparato di comando ed ha compiuto le prime due mosse che sempre vengono effettuate in questi casi: chiusura del Parlamento e abolizione della Costituzione; il tutto beninteso, in attesa dell’esecuzione di nuove elezioni (anch’esse “democratiche” naturalmente).
I “rivoltosi” ovviamente ci sono rimasti un po’ male, ma hanno fatto buon viso ed hanno accettato; ma quelli un po’ più “smagati”, per intenderci: i giovani, coloro che hanno iniziato la rivolta, quelli anche più acculturati in quanto in possesso di laurea o diploma, hanno compreso che la via a riforme significative è ancora lunga e lastricata da fame e dolore ed hanno deciso di andarsene all’estero, approfittando anche del diminuito controllo delle autorità nei porti di imbarco.
Adesso, come andamento della vita nei Paesi in rivolta, bisogna vedere il comportamento nei confronti di quella polveriera che è rappresentata da Israele nella regione: al momento l’Egitto, con l’accordo di pace successivo alla guerra del golfo, fungeva da regolatore delle tensioni anti israeliane; adesso, anche se i militari hanno confermato il mantenimento dell’accordo di pace, bisogna vedere come andranno le cose, specialmente in Palestina e nella striscia di Gaza.
In tutte queste vicende, mentre si è visto e sentito molto spesso Obama, non si è mai avuto sentore dell’altra “potenza”,cioè dell’Europa che non ha manifestato alcun indirizzo di politica estera: l’Europa non è esistita nella crisi tunisina e neppure in quella egiziana, limitandosi a delineare le vie di fuga dei cittadini europei.
E neppure nell’emergenza degli sbarchi a Lampedusa, l’Europa ha manifestato una presenza visibile: tanti i progetti sulla carta, dall’Unione per il Mediterraneo di Sarkozy all’accordo di Barcellona, ma a nessuno di questi sono state assegnate le risorse necessarie, in quanto il problema è stato sottovalutato oppure – ed è molto peggio – è stato considerato “di pertinenza italiana” e quindi lasciato al nostro Paese che rappresenta una sorta di “portaerei” nel Mediterraneo; che poi, a ben vedere, questi clandestini anelano a spargersi per l’Europa (Germania, Inghilterra e Paesi nordici in testa), per cui il problema, presto o tardi diventa di comune approccio per quasi tutti.
D’altro canto, la nobildonna inglese signora Ashton, nominata di recente Ministro degli Esteri dell‘U.E., con tutti i tè che deve organizzare per le sue altolocate amiche, non ha certo il tempo di pensare a queste quisquiglie; chiaro il concetto??