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mercoledì, marzo 31, 2010

TORNIAMO A PARLARE DELLA CINA 

Ci dicono gli storici che all’epoca in cui Cristoforo Colombo scoprì l’America, l’Asia contava per circa due terzi del prodotto interno lordo del mondo intero; invece, allo scoppio della seconda guerra mondiale – attorno al 1935/1940 - questa percentuale era scesa intorno al 17% e, per questo, la crescita prepotente dei ritmi cinesi dal secolo scorso fino ai giorni nostri: debbono recuperare il tempo perduto.
È sull’onda di questo breve accenno all’andamento dell’economia cinese, che parlo del più recente successo degli amici con gli occhi a mandorla: l’acquisizione della Volvo, storica casa automobilistica svedese, per la somma di 1.8 miliardi di dollari da parte del costruttore cinese Geely.
Ma il bello deve ancora venire; come pagherà quella somma l’azienda cinese? In un modo che mi è sembrato assai singolare: 800 milioni di dollari verranno prestati dalla Banca Europea degli Investimenti e altri 500 milioni dai governi di Svezia e Belgio (entrambe le nazioni ospitano gli impianti Volvo); il rimanente per saldare l’acquisizione verrà effettuato con “impegni a pagare”, cioè – per dirla in parole povere – “ a debito”.
Da notare che la casa automobilistica svedese – che ha 20mila dipendenti, 14mila dei quali all’estero – continuerà ad avere il management a Goteborg, anche se la Geely conta di realizzare una fabbrica anche in Cina.
È interessante notare che il rapporto tra il fatturato e l’importo dell’acquisizione è fortemente squilibrato: la Volvo infatti fattura poco meno di un quinto della cifra sborsata per la sua acquisizione, quindi c’è da chiedersi dove stia la convenienza dei cinesi: forse è semplicemente l’acquisizione di tecnologia o c’è qualcos’altro?
Certo è che la Cina continua a correre a tassi di sviluppo a doppia cifra anche quando l’occidente piomba in recessione e fatica non poco ad uscirne; il problema – che per noi tutti è considerato “usurpazione” – è invece una sorta di riequilibrio storico delle ricchezze e in questo obiettivo sta la forza della Cina.
Prendiamo per esempio gli ultimi dati dell’export cinese: a febbraio è cresciuto di ben il 45% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; ma possiamo aggiungere che lo stesso comparto mostra un dato ancora più significativo: dal 1998 al 2008, l’export è cresciuto con una media del 23% l’anno, cifre mostruose se riportate anche alla migliore nazione occidentale.
E c’è da aggiungere che anche l’import – nello stesso periodo – è cresciuto del 7% l’anno, cioè più di una qualsiasi altra grande economia mondiale salvo, di poco l’India.
Con queste cifre di sviluppo e vista la grande capacità di reazione alla crisi globale, ovviamente la Cina sarà chiamata da subito ad assumersi maggiori responsabilità e non è difficile immaginare che al prossimo G7, i governanti di tutti i Paesi faranno a gara per scodinzolare attorno al premier cinese.
Ed è altrettanto logico prevedere che tutti si impegneranno per spiegare ai responsabili di Pechino che è il momento di rivalutare lo Juan, sia per contenere i rischi interni d’inflazione che per aumentare il potere d’acquisto di prodotti occidentali da parte dei nuovi ceti medi cinesi; non è scritto da nessuna parte, specie nei testi cinesi, che i governanti occidentali abbiano qualcosa da insegnare ai cinesi, specie se guardiamo bene quello che è stato combinato prima, durante e dopo l’avvento della crisi finanziaria: si è vista tanta confusione, tanto pressappochismo e molto servilismo nei confronti dei veri colpevoli della crisi: gli speculatori selvaggi che hanno mirato soltanto ad un loro arricchimento, in barba ad ogni considerazione sociale ed economica.

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