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martedì, giugno 06, 2006

E' UN ESEMPIO PER I GIOVANI ? 

La polemica sul caso D’Elia sta montando sempre più, proprio per la risposta che l’interessato – con la tipica “spocchia” degli intellettuali di sinistra - mostra di avere nei confronti del problema e soprattutto, dei diretti interessati (la gente).
Per rispondere il neo deputato ha scelto la forma di una lettera indirizzata ai “colleghi” onorevoli, nella quale afferma che “lo Stato deve essere fiero” della sua elezione” e, continua con alcune inesattezze, se non falsità, come quando afferma di essere stato condannato in base alla legislazione emergenziale dell’epoca quale responsabile di una organizzazione terroristica, mentre il capo di imputazione per cui ha subito la condanna è ben più semplice e facilmente comprensibile da tutti: “associazione a delinquere e “associazione terroristica volta a sovvertire l’ordine democratico”.
Come dicevamo alcuni giorni addietro il nostro D’Elia ha eseguito le sue “cattive azioni” nel 1978 a Firenze, a Ciampino e a Bergamo; incastrato da alcune intercettazioni telefoniche è stato processato nel 1979 e si è preso 15 anni a Bergamo e 30 a Firenze, poi ridotti a 25 e successivamente dimezzati in base alla legge sulla dissociazione; quindi ne ha scontati circa dodici, dei quali circa la metà in regime di semilibertà.
Siamo infatti nel 1986 quando si iscrive al Partito Radicale e ottiene la semilibertà; inizia a lavorare nella sede del partito e fonda l’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” insieme alla compagna Maria Teresa Dilascia, prematuramente scomparsa.
Se vogliamo, paradossalmente, tirare le somme di una “carriera”, il D’Elia – dal 1978 al 2006, cioè in 28 anni – ha compiuto una scalata niente male arrivando fino al vertice della politica e riuscendo a intascare uno stipendio che tanti suoi compagni non sono riusciti neppure a sognare; se poi vogliamo continuare in questa – ripeto: paradossale – analisi dei fatti, possiamo forse consigliare a chi desidera scendere in politica, di raggiungere tali vette passando anche per la prigione che, specie se fatta come l’ha fatta lui, non mi sembra troppo pesante, diciamo quasi a livello di “servizio militare”.
Smettendo di scherzare, questo signore non può rappresentare un esempio per nessuno, tanto meno per i giovani, in quanto è lo stereotipo di tutto quanto di negativo si possa immaginare: inizia con la violenza nel gruppuscolo “Prima Linea” (grosso modo insieme a Sofri e compagnia bella) continua con una detenzione facilitata al massimo che culmina con la Presidenza dell’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” (degna quanto mai!) e quindi con l’elezione a deputato e, ciliegina sulla torna, nomina a Segretario di Presidenza della Camera; nella circostanza della polemica sulla sua elezione, non ha sentito il dovere di rivolgersi alla gente che lo ha votato ma direttamente ai colleghi, tipico atteggiamento di superiorità dell’intellettuale di sinistra che non vuole avere niente da spartire con “il popolo”.
Per la verità, è con gioia e stupore che ho letto alcune dichiarazioni di un assessore comunale di Firenze – di matrice socialista – che afferma di “non essere stato convinto dalle argomentazioni di D’Elia” e continua con una battuta fulminante: “Ci sono molte forme di rieducazione dopo la pena, ma nessuna si conclude con l’elezione in Parlamento”.
La sinistra – tutta, fino all’estrema – ha sempre avuto un occhio di riguardo per queste frange estreme, definendoli “compagni che sbagliano”: in questa frase c’è tutto il mondo della sinistra che, sconfitto dalla storia, anziché ritirarsi a meditare sugli errori, evita di chiedere perdono e cerca invece di arrabattarsi per trovare posti ben retribuiti: provate a vedere come si sono sistemati, nelle Università e nelle strutture statali, tutti i “rivoluzionari” di allora – sessantotto e dintorni - alla faccia del proletariato che ci ha creduto!

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