domenica, marzo 26, 2006
LA GRANDE TRUFFA
In questi giorni ricomincia la solita sceneggiata dalla Coppa America di vela, nella quale una serie di team capitanati da straricchi si disputa una Coppa il cui valore non è certamente paragonabile con quanto viene speso.
Noi italiani abbiamo nomi di scafi assolutamente suggestivi, da “Mascalzone Latino” a “Luna Rossa” o, come sembra vogliano modificare, “Luna Nera”.
Ho preso l’avvio per questo mio post dalla Coppa di vela, manifestazione che nel periodo in cui si svolge, trattiene di fronte alla televisione una gran massa di italiani che il giorno dopo tira fuori neologismi del tipo “vado di bolina” oppure “cazzo la randa” ed altri del genere dei quali non si conosce il significato esatto ma che è molto fine pronunciare.
Di questa competizione, noi italiani che viviamo come il maggior evento marino i quindici giorni a Rimini, rimaniamo affascinati, la seguiamo come se fosse il Campionato Mondiale di calcio.
Ma non volevo parlare di questo, volevo invece parlare di truffe: i nostri rappresentanti sono Tronchetti Provera, misterioso ultramiliardario, del quale non si conosce bene come sia arrivato dove è arrivato, seguito come un’ombra dalla splendida anche se non più di primo pelo Afef; ma non volevo parlare neppure di loro, ma dell’altro “velista”, il Bertelli titolare della griffe “Prada” del quale si conosce benissimo come abbia fatto a ritrovarsi tutti i soldi che si ritrova; ed allora parliamo di lui – in quanto archetipo di titolari di griffe – e facciamo il proverbiale passo indietro.
Alcune settimane fa ho avuto notizia che un oggetto griffato, acquistato fuori dal normale circuito ma di provenienza assolutamente lecita – cioè dall’azienda che lo realizza – costa un ottavo del suo prezzo al pubblico.
Cioè, mi spiego meglio e vorrei anche rincarare la dose: nella filiera del prodotto, dalla sua realizzazione all’acquisto da parte del cliente, l’oggetto aumenta dell’ottocento per cento; cosa è che imprime questa accelerata – a mio modo di vedere – eccessiva, direi quasi truffaldina?
Poiché l’oggetto non ha molti passaggi, ma passa dall’azienda produttrice al negozio, quasi sempre di proprietà della stessa griffe, dobbiamo ritenere che l’aumento venga messo esponenzialmente nella fase finale.
Quale il ragionamento che il titolare della griffe pone in essere? E’ molto semplice, questo oggetti che viene da me marchiato con la griffe, non vale per valori intrinseci all’oggetto stesso ma soltanto perché è in possesso di questa griffe.
Ponendoci poi nei panni dell’acquirente, il ragionamento è il medesimo anche se ovviamente all’opposto e cioè: io cerco la griffe che è l’elemento conferente valore all’oggetto e quindi mi disinteresso del valore intrinseco dello stesso.
Badate bene che quando parliamo di valore intrinseco intendiamo – oltre che la qualità della materia prima usata – anche lo stile e la bellezza dell’oggetto; cioè questo elemento di “bellezza” che – come dice la stessa parola – è totalmente soggettivo, al di là dell’opera d’arte che non mi sembra il caso di scomodare.
Tutto questo discorso per dire che i titolari di griffe sono coloro che hanno i maggiori “guadagni” (cioè ricavi meno costi) e da qui discende la loro potenzialità a mettere in campo queste tipiche “spese pazze” come paiono essere quelle della sponsorizzazione delle barche da Coppa America.
E le tasse? Va bene, questo è un altro discorso, visto che in Italia riusciamo a “scaricare” anche il rifacimento delle condutture del bagno di casa, come ha fatto di recente il nostro Roberto Cavalli.
Noi italiani abbiamo nomi di scafi assolutamente suggestivi, da “Mascalzone Latino” a “Luna Rossa” o, come sembra vogliano modificare, “Luna Nera”.
Ho preso l’avvio per questo mio post dalla Coppa di vela, manifestazione che nel periodo in cui si svolge, trattiene di fronte alla televisione una gran massa di italiani che il giorno dopo tira fuori neologismi del tipo “vado di bolina” oppure “cazzo la randa” ed altri del genere dei quali non si conosce il significato esatto ma che è molto fine pronunciare.
Di questa competizione, noi italiani che viviamo come il maggior evento marino i quindici giorni a Rimini, rimaniamo affascinati, la seguiamo come se fosse il Campionato Mondiale di calcio.
Ma non volevo parlare di questo, volevo invece parlare di truffe: i nostri rappresentanti sono Tronchetti Provera, misterioso ultramiliardario, del quale non si conosce bene come sia arrivato dove è arrivato, seguito come un’ombra dalla splendida anche se non più di primo pelo Afef; ma non volevo parlare neppure di loro, ma dell’altro “velista”, il Bertelli titolare della griffe “Prada” del quale si conosce benissimo come abbia fatto a ritrovarsi tutti i soldi che si ritrova; ed allora parliamo di lui – in quanto archetipo di titolari di griffe – e facciamo il proverbiale passo indietro.
Alcune settimane fa ho avuto notizia che un oggetto griffato, acquistato fuori dal normale circuito ma di provenienza assolutamente lecita – cioè dall’azienda che lo realizza – costa un ottavo del suo prezzo al pubblico.
Cioè, mi spiego meglio e vorrei anche rincarare la dose: nella filiera del prodotto, dalla sua realizzazione all’acquisto da parte del cliente, l’oggetto aumenta dell’ottocento per cento; cosa è che imprime questa accelerata – a mio modo di vedere – eccessiva, direi quasi truffaldina?
Poiché l’oggetto non ha molti passaggi, ma passa dall’azienda produttrice al negozio, quasi sempre di proprietà della stessa griffe, dobbiamo ritenere che l’aumento venga messo esponenzialmente nella fase finale.
Quale il ragionamento che il titolare della griffe pone in essere? E’ molto semplice, questo oggetti che viene da me marchiato con la griffe, non vale per valori intrinseci all’oggetto stesso ma soltanto perché è in possesso di questa griffe.
Ponendoci poi nei panni dell’acquirente, il ragionamento è il medesimo anche se ovviamente all’opposto e cioè: io cerco la griffe che è l’elemento conferente valore all’oggetto e quindi mi disinteresso del valore intrinseco dello stesso.
Badate bene che quando parliamo di valore intrinseco intendiamo – oltre che la qualità della materia prima usata – anche lo stile e la bellezza dell’oggetto; cioè questo elemento di “bellezza” che – come dice la stessa parola – è totalmente soggettivo, al di là dell’opera d’arte che non mi sembra il caso di scomodare.
Tutto questo discorso per dire che i titolari di griffe sono coloro che hanno i maggiori “guadagni” (cioè ricavi meno costi) e da qui discende la loro potenzialità a mettere in campo queste tipiche “spese pazze” come paiono essere quelle della sponsorizzazione delle barche da Coppa America.
E le tasse? Va bene, questo è un altro discorso, visto che in Italia riusciamo a “scaricare” anche il rifacimento delle condutture del bagno di casa, come ha fatto di recente il nostro Roberto Cavalli.