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mercoledì, settembre 14, 2005

I "PACS" 

L’acronimo PACS deriva dalle iniziali di tre vocaboli - esattamente “Patto Civile di Solidarietà – e fa discendere i suoi effetti, appunto, da questa sorta di accordo tra due persone (Il Patto) che genera effetti di natura civilistica (Civile) e che riguarda una solidarietà tra le due persone circa la loro esistenza (di Solidarietà).
Una cornice così ampia e generica può contenere tutto ed il suo contrario: ad esempio due pensionati che uniscono le loro due pensioni e vivendo nella stessa casa ottimizzando le spese al fine di tentare di arrivare alla fine del mese; come si vede l’esempio non si riferisce a pensionati maschi o femmine, in teoria potrebbero essere anche maschio e femmina.
In quasi tutti gli stati europei – ultima la Spagna – questa normativa quadro è stata riempita da norme specifiche ed è stata utilizzata anche per le convivenze omosessuali (dal greco “omo”, cioè uguali, entrambi uomini oppure donne) fornendo questi soggetti di una serie di schemi sociali circa l’affitto dell’appartamento (è intestato a entrambi o a uno solo), circa la possibilità di concorrere all’assegnazione di alloggi popolari non come singolo ma come “duo”, il tutto condito da normative afferenti la sfera finanziaria ma non pensionistica (non è mai prevista la cosiddetta “reversibilità”), e neppure – in quasi tutta Europa – la possibilità di adozione.
Questa normativa è adesso al centro delle polemiche politiche perché sembrerebbe che il Centro Sinistra intenda porre nel suo programma uno specifico riferimento a questi PACS e, già al suo interno, smuove la consueta litigiosità che cerca soltanto un appiglio per scatenarsi.
Al suo esterno poi ci pensano i vescovi a gettare una sorta di anatema: giù le mani dalla famiglia e dal matrimonio; come se questi patti mettessero a rischio il matrimonio, un po’ come venne detto ai tempi del divorzio che sembrava innescare una spirale antimatrimonialista che poi non c’é stata.
Il discorso del vescovi – e delle loro “truppe cammellate” travestite da uomini politici – è in sostanza questo: la normativa equipara di fatto anche se non lo dice esplicitamente la famiglia fondata sull’unione di un uomo e di una donna con le cosiddette coppie di fatto, la cui composizione viene ad essere del tipo “omo”, cioè uguale, conferendo a queste ultime le stesse prerogative della famiglia.
Si aggiunge anche che la Chiesa intravede in questa operazione un modo di innescare la politica dei piccoli passi, prima equiparando nei fatti e poi in termini di diritto, la famiglia ad altre forme di unione.
In tutta Europa – ma in quei Paesi non hanno il Vaticano – la normativa sta andando di pari passo con quella matrimonialista che – a quanto dicono le statistiche – non è stata messo in crisi da queste nuove formule.
Credo che la dichiarazione più azzeccata sia quella di Niki Vendola, gay, che afferma che con questa nuova normativa non si intende minare le fondamenta della famiglia tradizionale, ma si tratta invece di fare i conti con quella che è la realtà dei nostri giorni.
Poi c’è anche chi afferma che la normativa è stata messa in Spagna da Zapatero nel suo programma elettorale ed egli ha vinto; anche per scaramanzia la sinistra italiana si adegua!

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