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domenica, novembre 07, 2004

La nostra giustizia 

Alcuni eventi del settore giustizia accaduti in questi ultimi giorni, mi inducono a ricapitolarli per i miei amici lettori e quindi passare a esaminare lo stato di salute della nostra giustizia.
Il primo caso riguarda – ancora una volta – la vicenda del bambino, figlio di un pentito di mafia, ucciso per soffocamento e poi sciolto nell’acido; sapevo che l’autore del misfatto era stato un tale Giovanni Brusca. Adesso apprendiamo che altrettanto colpevole era un certo Vincenzo Chiodo: il tipo, presentatosi spontaneamente nel 1996 e immediatamente “pentitosi” è stato immesso nel cosiddetto “programma di protezione”, in attesa della condanna. Il galantuomo – ripeto, ancora non conosce minimamente la vita carceraria – ha avuto alcuni mesi fa la conferma del terzo grado di giudizio (la Cassazione) che lo ha condannato a 15 anni (mi sembrano pochi, ma insomma..); ci saremmo aspettati che il pentito fosse rinchiuso nelle patrie galere per il periodo sopra indicato.
Apprendiamo invece che il galantuomo è ancora a piede libero perché il Tribunale di Sorveglianza di Roma – udite, udite – non ha stabilito “in quale modo” fargli scontare la condanna, cioè la prigione oppure gli arresti domiciliari; in attesa di sciogliere l’amletico dilemma, il bravo Chiodo rimane libero.
Volete fare qualche commento in materia? Io credo che siamo alla pazzia allo stato puro! All’uopo apprendiamo che il Ministro di Giustizia, molto arrabbiato, ha promesso di inviare gli ispettori alla struttura romana di sorveglianza. Complimenti per l’eccezionale tempismo: se non ci fosse stato il battage della stampa avremmo continuato con il “campa cavallo”.
L’altro evento che mi ha particolarmente colpito riguarda la vicenda di Suor Laura e della sua uccisione “in nome di Satana”.
Ricorderete che a compiere il delitto furono tre ragazzine (allora, siamo nel 2000) che affermarono di avere ucciso la monaca perché “comandate” da Satana.
La pena comminata alle tre giovani fu – già confermata – di 8 anni per due di loro e di 12 per la terza (anche qui mi sembrano pochi, ma insomma…).
Una di loro, Veronica condannata a 8 anni, dopo meno di quattro anni di reclusione è stata immessa in un programma di reinserimento e adesso fa la maestra d’asilo in una scuola materna.
Interpellata all’uscita dal carcere ha detto: “Di Chiavenna (il paese dell’omicidio) e di quello che è successo non mi interessa più niente. Sono tranquilla. Sono serena”.
Evidentemente per tutti gli psicologi che si sono avvicendati attorno alla ragazza, questa frase contiene chiarissimi segni di pentimento; io, confesso, dall’alto della mia ignoranza non rilevo proprio niente.
Comunque sia, se proprio la giovane veniva riconosciuta pentita e quindi potenzialmente reinseribile in un programma apposito, si poteva evitare di coinvolgere dei bambini.
Mi spiego meglio: andare a pulire il sedere a vecchi incontinenti non viene considerato “reinserimento”? Imboccare e aiutare degli anziani non autosufficienti non è considerato “reinserimento”? Occuparsi di handicappati è “reinserimento”?
Credo che l’opinione pubblica abbia il diritto di conoscere cosa è “reinserimento” e cosa invece è altra cosa.
Alla fin fine, vorrei ricordare – l’ho già detto altre volte – che tutte le sentenze vengono emanate “in nome del popolo italiano”, quindi mi sembra che questo popolo abbia qualche diritto. O no!


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