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giovedì, agosto 20, 2009

GLI ANGELI "BADANTI" 

Questo agosto l’ho trascorso quasi interamente in città e quindi mi sono reso conto – meglio che negli altri anni – del problema degli anziani; ne ho incontrati tantissimi, quasi che i giovani se ne fossero andati tutti, ma i nostri nonni erano tutti, o quasi, accompagnati dal nuovo angelo del focolare domestico: la badante, quella figura femminile proveniente dall’estero – spesso Romania o altre nazioni dell’Est Europeo, ma ce ne sono anche sudamericane e qualche africana – che, tenendo a braccetto la persona affidata loro, ne fa una specie di impegno vitale nei confronti dei tanti pericoli che circondano l’anziano.
Un recente dato ISTAT ci dice che una famiglia italiana su dieci ricorre a questa nuovissima figura di “assistente per anziani” e questo numero è destinato a crescere in quanto le persone da assistere aumentano sempre di più e lo Stato – inefficiente in sede di assistenza – ha trovato chi lo surroga e quindi si sta attrezzando a compiere una operazione che a definire ovvia non si sbaglia certo: mettere in regola queste signore o signorine che si preoccupano dei nostri anziani e che – se non ci capita qualcosa prima – si occuperanno anche di noi.
Il rapporto che va ad instaurarsi tra la badante e il o la “badata”, è dei più svariati, ma in tutti c’è una iniziale diffidenza reciproca che piano piano si va a stemperare in una logica comprensione dei problemi di entrambi; a questo proposito, lo scrittore Marcello Veneziani ha narrato di un signore di 95 anni che – in uno slancio romantico e in un rimpianto struggente – ha chiesto alla ragazza che lo assiste di coricarsi accanto a lui in quel lettone ormai vuoto da così tanto tempo e per una notte è tornato a dormire nell’alcova di una volta; non si conoscono i particolari di come è finita la cosa, ma non importa poi più di tanto: l’importante è la purezza dell’intenzione.
Ma torniamo con i piedi per terra e vediamo un po’ meglio il problema dell’assistenza agli anziani: come ho avuto modo di dire altre volte, possiamo dire con uno slogan, che questa società “non ci permette di morire ma neppure di vivere”; mi spiego meglio: con tutte le diavolerie della tecnica medica siamo diventati delle macchine alle quali possiamo cambiare quasi tutto e quindi la nostra morte – cioè la fine della macchina – è resa sempre più difficile ed è allontanata sempre più nel tempo, proprio per effetto di queste nuove tecnologie. Le quali comunque ci fanno “andare avanti” ma non ci consentono certo di condurre una vita regolare, perché la macchina, oltre un certo uso, deve essere buttata e cambiata; ecco quindi il “non vivere” a cui alludo nello slogan.
La conservazione della vita umana è diventata un valore così assoluto che è finito per diventare un dis-valore in quanto è contro la dignità della vita. E dobbiamo aggiungere che il portare sempre più avanti la data media della morte dell’individuo, crea problemi anche allo Stato che dovrebbe sobbarcarsi l’assistenza dell’individuo ormai inutile per la società e tenuto in vita da medicinali e dalle tecniche mediche.
Negli anni ’50 fece scalpore lo slogan che venne lanciato dalla socialdemocrazia scandinava sul concetto di assistenza: “dalla culla alla bara”, sottintendendo che lo Stato si sarebbe occupato dell’individuo per l’ intera esistenza: non conosco l’attuale sistema dell’Europa del Nord ma temo che non sia più così.
Insomma, se la vita dell’individuo dura più di quanto lo Stato può permettersi di sostenerlo, come si può fare? Ecco che l’unica salvezza sono diventate le badanti; in alternativa ci sarebbe solo la “data di scadenza vita” che lo Stato assegna a ciascuno di noi, trascorsa la quale l’individuo viene soppresso: macabro, ma efficace!!

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