martedì, agosto 18, 2009
ALTRE FORME DI GELOSIA
Nel post di ieri l’altro ho trattato del problema delle gelosie viste in controluce con un rapporto di natura sentimentale; ma vorrete convenire con me che esistono altre forme che vengono chiamate “gelosie” – forse impropriamente – e che si riferiscono più propriamente alle “invidie”, cioè a quelle forme di malanimo provocate dalla vista dell’altrui soddisfazione, sia essa materiale o morale.
Quindi, nel campo delle invidie, pur essendo di natura diversa, abbiamo sempre una persona che noi consideriamo “superiore” a NOI e che – senza andare a indagare più di tanto su questa condizione – ci diventa immediatamente antipatica; ovviamente, queste vere o presunte superiorità agiscono nei nostri confronti in relazione alla nostra condizione fisica o materiale.
Mi spiego meglio: se abbiamo problemi di natura fisica (malattie o quant’altro), la cosa che invidiamo agli altri è la buona salute, arrivando persino a invocare – ovviamente dentro di noi – che anche alla fortunata persona sana, venga un malanno e si configuri così praticamente il detto “mal comune mezzo gaudio”.
Si badi bene che nell’invocare il “male comune”, non si ottiene – naturalmente – l’allontanamento del proprio male, ma questa circostanza che dovrebbe bastare a impedire l’invidia, non ci viene fuori e si continua a detestare colui che sta bene in contrapposizione alla nostra malattia.
Un’altra forma di invidia molto in voga nel nostro tempo è quella del benessere materiale, cioè dell’opulenza o, come si dice adesso, del poter spendere a proprio piacimento, insomma una sorta di Bill Gates o di Berlusconi; ovviamente coloro che sono portatori di questa forma di invidia sono principalmente quelli che non hanno “niente” oppure “poco o niente” oppure “soltanto poco”, oppure “il necessario e niente più”, oppure anche “qualcosa oltre il necessario”.
Come vedete ho costruito tutta una scala del benessere che parte dall’indigenza ed arriva fino ad una sorta di agiatezza: ebbene, tutti questi signori (o signore) hanno ancora desiderio di “avere di più” e quindi, tale invidia, se è comprensibile nello stadio dell’indigenza, lo è molto meno in quello dell’agiatezza.
E qui entra in funzione il meccanismo su cui si fonda tutto il nostro mondo: il non essere mai contento della propria condizione e così facendo, lavorare per migliorarla a scapito di tutte le altre cose che avrebbero potuto essere realizzate.
Ma questo meccanismo – che mi permetto di definire “perverso” – è quello che ci induce a guardare sempre avanti, cioè a chi ha più di noi e assai raramente, dietro di noi, cioè a chi ha molto meno di noi e avrebbe bisogno di essere aiutato.
Ma, come dice una battuta in voga nel mondo capitalista, “oggi chi lavora non può diventare ricco: perde troppo tempo a lavorare”; ed allora ecco che sorgono mestieri nuovi, in linea con le moderne tecnologie e con i quali si arriva a guadagnare – alcune volte!! – molto denaro; ma non arriva la felicità, perché il nostro vizio di “guardare davanti” ci induce a volere sempre di più, a proiettarsi verso il futuro con sempre maggiore energia da spendere e così facendo, appena colto un obiettivo, lanciarsi ad inseguirne uno nuovo, fino a quando il salire i gradini del grattacielo della vita non ci fa ruzzolare di sotto e….allora, accidenti all’invidia e a chi l’ha inventata; ma non scagliamoci contro nessuno, perché siamo stati proprio noi a diventare, piano piano, così come siamo e ad essere felici solo se – come i cani del cinodromo – abbiamo di fronte una “finta lepre” che rappresenta il nostro traguardo estremo: il NULLA.
Quindi, nel campo delle invidie, pur essendo di natura diversa, abbiamo sempre una persona che noi consideriamo “superiore” a NOI e che – senza andare a indagare più di tanto su questa condizione – ci diventa immediatamente antipatica; ovviamente, queste vere o presunte superiorità agiscono nei nostri confronti in relazione alla nostra condizione fisica o materiale.
Mi spiego meglio: se abbiamo problemi di natura fisica (malattie o quant’altro), la cosa che invidiamo agli altri è la buona salute, arrivando persino a invocare – ovviamente dentro di noi – che anche alla fortunata persona sana, venga un malanno e si configuri così praticamente il detto “mal comune mezzo gaudio”.
Si badi bene che nell’invocare il “male comune”, non si ottiene – naturalmente – l’allontanamento del proprio male, ma questa circostanza che dovrebbe bastare a impedire l’invidia, non ci viene fuori e si continua a detestare colui che sta bene in contrapposizione alla nostra malattia.
Un’altra forma di invidia molto in voga nel nostro tempo è quella del benessere materiale, cioè dell’opulenza o, come si dice adesso, del poter spendere a proprio piacimento, insomma una sorta di Bill Gates o di Berlusconi; ovviamente coloro che sono portatori di questa forma di invidia sono principalmente quelli che non hanno “niente” oppure “poco o niente” oppure “soltanto poco”, oppure “il necessario e niente più”, oppure anche “qualcosa oltre il necessario”.
Come vedete ho costruito tutta una scala del benessere che parte dall’indigenza ed arriva fino ad una sorta di agiatezza: ebbene, tutti questi signori (o signore) hanno ancora desiderio di “avere di più” e quindi, tale invidia, se è comprensibile nello stadio dell’indigenza, lo è molto meno in quello dell’agiatezza.
E qui entra in funzione il meccanismo su cui si fonda tutto il nostro mondo: il non essere mai contento della propria condizione e così facendo, lavorare per migliorarla a scapito di tutte le altre cose che avrebbero potuto essere realizzate.
Ma questo meccanismo – che mi permetto di definire “perverso” – è quello che ci induce a guardare sempre avanti, cioè a chi ha più di noi e assai raramente, dietro di noi, cioè a chi ha molto meno di noi e avrebbe bisogno di essere aiutato.
Ma, come dice una battuta in voga nel mondo capitalista, “oggi chi lavora non può diventare ricco: perde troppo tempo a lavorare”; ed allora ecco che sorgono mestieri nuovi, in linea con le moderne tecnologie e con i quali si arriva a guadagnare – alcune volte!! – molto denaro; ma non arriva la felicità, perché il nostro vizio di “guardare davanti” ci induce a volere sempre di più, a proiettarsi verso il futuro con sempre maggiore energia da spendere e così facendo, appena colto un obiettivo, lanciarsi ad inseguirne uno nuovo, fino a quando il salire i gradini del grattacielo della vita non ci fa ruzzolare di sotto e….allora, accidenti all’invidia e a chi l’ha inventata; ma non scagliamoci contro nessuno, perché siamo stati proprio noi a diventare, piano piano, così come siamo e ad essere felici solo se – come i cani del cinodromo – abbiamo di fronte una “finta lepre” che rappresenta il nostro traguardo estremo: il NULLA.