mercoledì, marzo 11, 2009
IL PERICOLO VIENE DALL'EST
Non sto ripetendo il vecchio detto “addavvenì baffone” come minaccia di chissà quali arrivi di cosacchi che mangiano i bambini, ma di problemi legati all’economia ed in particolare alla crisi finanziaria in atto in tutto il mondo.
I Paesi dell’est Europa aderenti all’U.E. – Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania – attraversano un “logico” periodo di gravissimi problemi finanziari; quei paesi, tutti ex-comunisti, membri dell’UE da cinque anni, hanno chiesto aiuto per cercare di rimettere in sesto la loro disastrata economia e il premier ungherese si è fatto portavoce di tutti, chiedendo la costituzione di un fondo di circa 180 miliardi di euro, a sostegno della ripresa economica.
Il commento del cancelliere tedesco, Angela Merkel, è stato così gelido da affossare definitivamente questo piano: “sconsiglio di mettersi a discutere su cifre gigantesche”; a questa dichiarazione che non lascia molto spazio di discussione ha risposto il premier ungherese avvertendo che “dobbiamo evitare che una nuova cortina di ferro divida l’Europa”, precisando che – fatto mai visto nella storia della U.E. – i Paesi dell’Est hanno confrontato le proprie posizioni prima di prendere parte al vertice dei 27 membri dell’U.E.; come a dire: noi siamo tutti uniti!!
La prima conseguenza delle difficoltà in cui versano queste economie, è la ricaduta che avrebbe su alcuni Paesi europei che hanno investito fortemente nelle economie dell’Europa Orientale; si tratta di Irlanda, la più esposta in assoluto, ma anche della Grecia, dell’Austria e dell’Italia.
Un’altra problematica che si sta verificando è l’aumento della disoccupazione in quei paesi, con la conseguente spinta migratoria verso le altre Nazioni che – si ritiene – meno toccate dalla crisi e quindi più adatte ad accogliere questa mano d’opera.
Per gli aiuti, dopo la sostanziale bocciatura della Merkel al piano ungherese, restano i 24,5 miliardi messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale degli Investimenti; di tale cifra usufruiranno per prime Ungheria e Lettonia, le cui economie rischiano il tracollo completo, con conseguente dichiarazione di insolvenza per tutti i crediti vantati da terzi nei confronti di questi Stati.
Accanto alle problematiche dei paesi ex-comunisti, abbiamo la più grossa di queste economie – quella russa, non entrata nell’U.E. – che sta vivendo momenti drammatici, ripetendo la crisi del 1998, durante la quale l’allora premier, Putin, dichiarò “default” su 40 miliardi di dollari di debiti esteri; la crisi attuale, come la precedente, prende le mosse dalla caduta del prezzo del petrolio, giunto a poco più della metà di quanto indicato nel budget statale (70 dollari il barile contro gli attuali 40/45).
Il rublo ha perduto il 35% del suo valore dall’agosto 2008 a oggi e a nulla sono serviti i 210 miliardi di dollari immessi sul mercato dalla Banca Centrale russa per difendere la propria moneta attaccata da ogni parte; elemento di curiosità: in entrambe le crisi Putin si è ritrovato ad affrontarle da premier; sarà un caso?
Se la crisi dovesse continuare e fare ancora più disastri nella popolazione russa, quest’ultima potrebbe rimettere in discussione la fiducia in Putin e quest’ultimo – insieme al pupillo Medvedev – potrebbe venirne travolto; e allora gli orologi della storia rischierebbero veramente di essere rimessi all’indietro; non dimentichiamo che la Russia è ancora in possesso di 5.000 testate nucleari.
Non bastassero i nostri problemi, dobbiamo preoccuparci anche di quelli degli altri!
I Paesi dell’est Europa aderenti all’U.E. – Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania – attraversano un “logico” periodo di gravissimi problemi finanziari; quei paesi, tutti ex-comunisti, membri dell’UE da cinque anni, hanno chiesto aiuto per cercare di rimettere in sesto la loro disastrata economia e il premier ungherese si è fatto portavoce di tutti, chiedendo la costituzione di un fondo di circa 180 miliardi di euro, a sostegno della ripresa economica.
Il commento del cancelliere tedesco, Angela Merkel, è stato così gelido da affossare definitivamente questo piano: “sconsiglio di mettersi a discutere su cifre gigantesche”; a questa dichiarazione che non lascia molto spazio di discussione ha risposto il premier ungherese avvertendo che “dobbiamo evitare che una nuova cortina di ferro divida l’Europa”, precisando che – fatto mai visto nella storia della U.E. – i Paesi dell’Est hanno confrontato le proprie posizioni prima di prendere parte al vertice dei 27 membri dell’U.E.; come a dire: noi siamo tutti uniti!!
La prima conseguenza delle difficoltà in cui versano queste economie, è la ricaduta che avrebbe su alcuni Paesi europei che hanno investito fortemente nelle economie dell’Europa Orientale; si tratta di Irlanda, la più esposta in assoluto, ma anche della Grecia, dell’Austria e dell’Italia.
Un’altra problematica che si sta verificando è l’aumento della disoccupazione in quei paesi, con la conseguente spinta migratoria verso le altre Nazioni che – si ritiene – meno toccate dalla crisi e quindi più adatte ad accogliere questa mano d’opera.
Per gli aiuti, dopo la sostanziale bocciatura della Merkel al piano ungherese, restano i 24,5 miliardi messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale degli Investimenti; di tale cifra usufruiranno per prime Ungheria e Lettonia, le cui economie rischiano il tracollo completo, con conseguente dichiarazione di insolvenza per tutti i crediti vantati da terzi nei confronti di questi Stati.
Accanto alle problematiche dei paesi ex-comunisti, abbiamo la più grossa di queste economie – quella russa, non entrata nell’U.E. – che sta vivendo momenti drammatici, ripetendo la crisi del 1998, durante la quale l’allora premier, Putin, dichiarò “default” su 40 miliardi di dollari di debiti esteri; la crisi attuale, come la precedente, prende le mosse dalla caduta del prezzo del petrolio, giunto a poco più della metà di quanto indicato nel budget statale (70 dollari il barile contro gli attuali 40/45).
Il rublo ha perduto il 35% del suo valore dall’agosto 2008 a oggi e a nulla sono serviti i 210 miliardi di dollari immessi sul mercato dalla Banca Centrale russa per difendere la propria moneta attaccata da ogni parte; elemento di curiosità: in entrambe le crisi Putin si è ritrovato ad affrontarle da premier; sarà un caso?
Se la crisi dovesse continuare e fare ancora più disastri nella popolazione russa, quest’ultima potrebbe rimettere in discussione la fiducia in Putin e quest’ultimo – insieme al pupillo Medvedev – potrebbe venirne travolto; e allora gli orologi della storia rischierebbero veramente di essere rimessi all’indietro; non dimentichiamo che la Russia è ancora in possesso di 5.000 testate nucleari.
Non bastassero i nostri problemi, dobbiamo preoccuparci anche di quelli degli altri!