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mercoledì, maggio 31, 2006

QUANDO E' DIFFICILE DIMENTICARE 

La recente visita di Papa Benedetto XVI in Polonia ha avuto uno dei momenti più significativi nel campo di sterminio nazista di Auschwitz; in tale occasione il Sommo Pontefice ha avuto parole di viva commozione e di forte riprovazione per i crimini commessi da Hitler e dai suoi accoliti.
In particolare il Papa, che non dobbiamo dimenticare essere di origine tedesca, ha sostenuto la tesi che un manipolo di “criminali” si era impadronito della Germania e, con futili e vane promesse di benessere e di grandezza storica, aveva convinto il popolo – anche con la violenza quando le aspettative non erano sufficienti – a seguire questa ideologia pazzesca.
Il Santo Padre ha anche “rimproverato” Dio per avere permesso tutto questo e ha sostenuto che i nazisti “ammazzando gli ebrei come pecore da macello volevano uccidere Dio e quindi anche il cattolicesimo”; nessun accenno a eventuali colpe o responsabilità delle alte gerarchie ecclesiastiche del Vaticano nell’olocausto, ovviamente non dirette ma indirette, cioè il non avere stigmatizzato abbastanza e al tempo debito l’operato di Hitler.
La comunità ebraica, sia pure sottovoce, non ha apprezzato totalmente il discorso del Papa, al quale ha rimproverato alcune “dimenticanze” su argomenti che loro vanno sostenendo da tempo: le gerarchie vaticane, con Papa Pio XII in testa, hanno avuto responsabilità, come minimo per non aver avuto il coraggio di intervenire; il popolo tedesco non può essere assolto in questo modo semplicistico dall’accusa di complicità con il nazismo; nessuno in Germania può onestamente affermare di “non aver saputo” che era in atto un autentico sterminio razziale.
Più o meno negli stessi giorni, si è verificato un altro fatterello che forse non siete venuti a conoscenza in quanto la nostra stampa – sempre più formata da “pennivendoli” – ha bellamente taciuto o relegato in trafiletti sperduti nelle ultime pagine dei quotidiani; per quanto riguarda le televisioni, silenzio totale, nessun TG ne ha minimamente accennato.
Ecco cosa riguarda: un gruppo di insorti ungheresi contro l’invasione sovietica del 1956 ha protestato con il governo di Budapest per l’invito ufficiale rivolto al nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di partecipare alle celebrazioni del 50esimo anniversario dell’insurrezione.
La parlamentare ungherese Maria Wittner, facendosi portavoce anche di due celebri insorti, Sandor Racz e Laszlo Balas Piri, ha inviato una lettera al presidente ungherese, nella quale “protesta fermamente per l’invito a un politico – anche se egli è diventato Presidente della Repubblica Italiana – che diede sostegno internazionale agli assassini sovietici che hanno schiacciato nel sangue l’aspirazione dell’Ungheria alla libertà”.
Il portavoce della presidenza ungherese ha dichiarato che l’invito non sarà ritirato in quanto “il punto di vista espresso da Napolitano al momento dell’ingresso dei carri armati sovietici in Ungheria si é modificato nel corso del tempo”.
Mi chiederete perché ho messo insieme questi due episodi lontani tra loro – almeno in apparenza – anni luce; ebbene, la motivazione che mi ha mosso è nel titolo stesso di questo post, laddove il dimenticare è reso difficile dalle sofferenze che un popolo o una comunità ha subito nel corso della storia.
Queste sofferenze sono ancora talmente “a galla” nei loro spiriti da sorpassare qualsiasi concetto ispirato alla “convenienza” ed al comportamento “politically correct”, come si usa dire ai giorni nostri: ci sono patimenti che non possono essere né dimenticati né perdonati e qua sopra abbiamo parlato proprio di un paio di questi.

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