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venerdì, giugno 02, 2006

SEMPRE A PROPOSITO DI PERDONO 

Ricorderete che un paio di giorni fa ho fatto un post nel quale l’idea tematica che esprimevo era la difficoltà di perdonare da parte di coloro che tanto hanno sofferto a causa delle malefatte compiute da colui che deve essere perdonato; ricorderete che nel caso che prendevo in esame i perdonatori erano rispettivamente gli ebrei e gli ungheresi e coloro da perdonare erano i nazisti e i fiancheggiatori del comunismo sovietico.
I personaggi che sono protagonisti del post di oggi, pur nella stessa chiave di lettura, hanno però spessore diverso e importanza decisamente inferiore.
Sono due gli eventi: il primo si riferisce alla grande agitazione che il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella (il nome à tutto un programma) ha messo al Presidente della Repubblica per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi, condannato all’ergastolo dal Tribunale di Milano per l’omicidio del commissario Calabresi.
Parlo di grande agitazione, ma potrei dire grande fretta nel chiudere la pratica: entrambi – il ministro ed il presidente – non hanno ancora preso dimestichezza con il loro incarico e la prima cosa che hanno realizzato è la grazia a Bompressi, in attesa – aggiungo io – di mettere in cantiere anche quella a Sofri.
In tutta questa fretta i due personaggi, evidentemente abituati a gestire il potere ma non le buone maniere, si sono dimenticati di compiere un gesto che definire “dovuto” è il minimo: avvertire la vedova di Calabresi (non dimentichiamolo: servitore dello Stato) della decisione che la combriccola di intellettuali di sinistra che sta dietro all’operazione ha loro “imposto” di fatto; comunque sia, la signora Calabresi ha appreso della grazia attraverso la televisione e si è dichiarata sconcertata e addolorata dalla mancanza di tatto (aggiungerei anche “educazione”); i due sono corsi ai ripari e, sia pure in ritardo hanno telefonato alla vedova Calabresi per scusarsi ufficialmente della gaffe compiuta: non si hanno notizie di come ha reagito la signora.
Il secondo evento ha come protagonista tale Sergio D’Elia, condannato a 30 anni – ridotti a 25 in appello – per concorso nell’omicidio, avvenuto nel 1978, dell’agente di polizia Fausto Dionisi, durante l’azione di un gruppo di militanti di “Prima Linea” che voleva liberare alcuni detenuti nelle carceri di Firenze.
La permanenza in carcere (non so per quanti anni) deve essere stata così fruttifera che si potrebbe consigliare anche ai nostri giovani in alternativa all’Università: pensate che questo signore (il D’Elia), è già stato per alcuni anni presidente dell’Associazione Internazionale di matrice radicale “Nessuno tocchi Caino”, che lotta contro la pena di morte, e a queste elezioni è diventato deputato per “La rosa nel pugno” e, dopo l’insediamento delle Camere, è stato nominato addirittura Segretario d’aula a Montecitorio.
La signora Mariella Magi, vedova dell’agente ucciso, non l’ha presa bene e possiamo pure dire che c’è rimasta malissimo: “Ha ucciso mio marito e ora è deputato”, questa la prima sua dichiarazione dopo avere appreso dello svolgimento della vicenda.
Ecco, anche la signora Mariella è una di quelle persone che trova difficoltà a perdonare, ma soprattutto trova difficile perdonare uno che non si pente di niente e anzi sembra quasi che abbia utilizzato le sue gesta da brigatista per fare carriera in campo politico.
Alla signora è stato chiesto come si comporterebbe se D’Elia chiedesse il suo perdono; sentite la risposta: “Quale perdono? Quello cristiano non va chiesto né a me né a mia figlia. Se parliamo invece di quello giudiziario rispondo che non lo avrei mai concesso…ma lui ormai non ne ha bisogno” e, aggiungo io: “neppure lo ha mai chiesto”.
Così va il mondo; meditiamo gente, meditiamo!

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