lunedì, luglio 31, 2006
NUOVE REALTA' LAVORATIVE
Nella nuova realtà del mondo del lavoro, si è avuto un rapido sviluppo dell’impiego di mano d’opera straniera (cosiddetta “extracomunitaria”) per ricoprire posti che i lavoratori italiani non intendono più coprire, sia per la particolare onerosità del lavoro e sia per la scarsità della remunerazione.
Questo è – detto in soldoni – quello che la struttura padronale tende a presentare come una situazione non più modificabile ed alla quale è gioco forza atteggiare i nostri futuri comportamenti (la colpa è della “globalizzazione” ci viene detto!).
La mia idea in materia l’ho espressa più volte e – guarda caso – non coincide con quella padronale che, dopo avere riscoperto la “schiavitù” non intende fare marcia indietro ma proseguire su questo cammino con passi sempre più pesanti.
Lasciamo però da parte questo discorso di ordine generale e spostiamoci su un particolare aspetto di questa realtà che vede l’estero fare aggio sull’Italia: il settore che intendo affrontare è quello della “prostituzione”, sì, avete letto bene, proprio quello che ingloba ragazze da marciapiede, entreneuses dei locali notturni e call-girl, cioè fanciulle che pubblicizzandosi in vari modi, segnalano il proprio numero di telefono per fissare incontri nelle loro case, ovviamente a pagamento; alcune di loro hanno messo su anche un sito internet nel quale mostrano le loro grazie ai potenziali clienti.
Anche in questo caso possiamo parlare di “lavoratrici” che hanno preso il posto di colleghe che non ne vogliono più sapere?
Ed allora facciamo un rapido esame della situazione e, in particolare, di come era fino a qualche decennio fa e di come si presenta adesso; la “prostituta nazionale” (in qualunque modo svolgesse la propria attività) partiva da un retroterra di miseria, anche morale, ma dal quale desiderava affrancarsi in qualsiasi modo, usando qualsiasi mezzo: il vendere il proprio corpo era uno di questi sistemi che le ragazze utilizzavano per raggiungere la propria evoluzione sociale.
Di questa attività le varie operatrici del settore (cioè le prostitute) non dovevano rendere conto a nessuno, almeno nella stragrande maggioranza dei casi; il vituperato sfruttatore (o “pappone”) come veniva chiamato una volta, solo in percentuali modeste faceva sentire la sua presenza e – sotto il profilo antropologico – quasi mai discendeva dalla malavita organizzata ma interpretava la propria attività come “un mestiere” di un certo prestigio, perché gli consentiva una certa agiatezza.
Quello che invece avviene adesso con l’arrivo di prostitute straniere – in gran parte dell’est Europa o dell’Africa – è molto diverso: anzitutto le ragazze giungono in Italia in forma clandestina e quindi coloro che ne facilitano l’ingresso hanno buon gioco a ricattarle con la minaccia del rimpatrio coatto da parte delle nostre autorità.
In secondo luogo, dobbiamo chiaramente dirci che quasi tutte vengono intrappolate con la scusa di trovare loro un lavoro da badante o cose similari, mentre poi lo sbocco che viene presentato è uno solo: la prostituzione; e si fa presto a dire che potrebbero rifiutarsi, ma proviamo a metterci nei loro panni, sono ragazze sole, in un Paese straniero del quale molto spesso neppure sanno la lingua, non conoscono nessuno se non il proprio aguzzino; non è facile lottare in simili condizioni, non è facile ribellarsi ed uscire dalla situazione degradante nella quale sono andate a cacciarsi.
Comunque sia, adesso e proprio per queste ragazze, possiamo parlare tranquillamente di “schiavitù di ritorno”; non saprei infatti come definire la condizione di queste disgraziate, delle quali ogni tanto si legge che un cittadino italiano “paga” una certa cifra per sposare una di loro, come se si trattasse di un cavallo o di una mucca.
Come possiamo definire questa situazione se non con il termine “schiavitù”? Pensiamoci bene e arrossiamo di vergogna, se ancora ci riusciamo!
Questo è – detto in soldoni – quello che la struttura padronale tende a presentare come una situazione non più modificabile ed alla quale è gioco forza atteggiare i nostri futuri comportamenti (la colpa è della “globalizzazione” ci viene detto!).
La mia idea in materia l’ho espressa più volte e – guarda caso – non coincide con quella padronale che, dopo avere riscoperto la “schiavitù” non intende fare marcia indietro ma proseguire su questo cammino con passi sempre più pesanti.
Lasciamo però da parte questo discorso di ordine generale e spostiamoci su un particolare aspetto di questa realtà che vede l’estero fare aggio sull’Italia: il settore che intendo affrontare è quello della “prostituzione”, sì, avete letto bene, proprio quello che ingloba ragazze da marciapiede, entreneuses dei locali notturni e call-girl, cioè fanciulle che pubblicizzandosi in vari modi, segnalano il proprio numero di telefono per fissare incontri nelle loro case, ovviamente a pagamento; alcune di loro hanno messo su anche un sito internet nel quale mostrano le loro grazie ai potenziali clienti.
Anche in questo caso possiamo parlare di “lavoratrici” che hanno preso il posto di colleghe che non ne vogliono più sapere?
Ed allora facciamo un rapido esame della situazione e, in particolare, di come era fino a qualche decennio fa e di come si presenta adesso; la “prostituta nazionale” (in qualunque modo svolgesse la propria attività) partiva da un retroterra di miseria, anche morale, ma dal quale desiderava affrancarsi in qualsiasi modo, usando qualsiasi mezzo: il vendere il proprio corpo era uno di questi sistemi che le ragazze utilizzavano per raggiungere la propria evoluzione sociale.
Di questa attività le varie operatrici del settore (cioè le prostitute) non dovevano rendere conto a nessuno, almeno nella stragrande maggioranza dei casi; il vituperato sfruttatore (o “pappone”) come veniva chiamato una volta, solo in percentuali modeste faceva sentire la sua presenza e – sotto il profilo antropologico – quasi mai discendeva dalla malavita organizzata ma interpretava la propria attività come “un mestiere” di un certo prestigio, perché gli consentiva una certa agiatezza.
Quello che invece avviene adesso con l’arrivo di prostitute straniere – in gran parte dell’est Europa o dell’Africa – è molto diverso: anzitutto le ragazze giungono in Italia in forma clandestina e quindi coloro che ne facilitano l’ingresso hanno buon gioco a ricattarle con la minaccia del rimpatrio coatto da parte delle nostre autorità.
In secondo luogo, dobbiamo chiaramente dirci che quasi tutte vengono intrappolate con la scusa di trovare loro un lavoro da badante o cose similari, mentre poi lo sbocco che viene presentato è uno solo: la prostituzione; e si fa presto a dire che potrebbero rifiutarsi, ma proviamo a metterci nei loro panni, sono ragazze sole, in un Paese straniero del quale molto spesso neppure sanno la lingua, non conoscono nessuno se non il proprio aguzzino; non è facile lottare in simili condizioni, non è facile ribellarsi ed uscire dalla situazione degradante nella quale sono andate a cacciarsi.
Comunque sia, adesso e proprio per queste ragazze, possiamo parlare tranquillamente di “schiavitù di ritorno”; non saprei infatti come definire la condizione di queste disgraziate, delle quali ogni tanto si legge che un cittadino italiano “paga” una certa cifra per sposare una di loro, come se si trattasse di un cavallo o di una mucca.
Come possiamo definire questa situazione se non con il termine “schiavitù”? Pensiamoci bene e arrossiamo di vergogna, se ancora ci riusciamo!