lunedì, gennaio 28, 2013
LA MORTE DI GALLINARI
Nei giorni scorsi è morto uno dei pochi
rimasti delle BR, quel Prospero Gallinari, carceriere di Aldo Moro e che non ha
mai voluto svelare i misteri dell’assassinio del Presidente della DC , a costo
di farsi diversi anni di galera in più.
Alcuni capi storici delle BR, tra cui Renato
Curcio, Barbara Balzarani e Raffaele Fiore, hanno preso parte ai funerali del
compagno, per i quali avevano sperato in “funerali togliattiani”, come quelli
del leader del PC nel 1964; peccato che alle esequie di Gallinari hanno
partecipato solo un migliaio di persone, quasi tutti anziani, senza che si
intravedesse tra loro un giovane.
È appunto per i giovani che scrivo queste
righe che vogliono riflettere le sensazioni sugli eventi accaduti negli anni
’60-70; l’atmosfera della rivolta dei cosiddetti anni di piombo, viene ben
descritta in un film che ho visto al Festival di Venezia, “Qualcosa nell’aria”,
del francese Assayas, che racconta il ’68 – o meglio quello che successe dopo –
ai ragazzi che nel 1971 avevano 17 anni e cominciavano a sognare una vita
diversa e soprattutto quello che si anelava più di ogni altra cosa: la libertà.
Le Brigate Rosse, organizzazione
dichiaratamente terroristica di estrema sinistra, è stata fondata nel 1970 da
Alberto Franceschini, Renato Curcio e Margherita Cagol; secondo i fondatori e i
successivi dirigenti, le B.R. “dovevano indicare il cammino per il
raggiungimento del potere, l’instaurazione della dittatura del proletariato e
la costruzione del comunismo anche in Italia”; i brigatisti ritenevano non
conclusa la fase della “resistenza” all’occupazione nazi-fascista, alla quale
si era sostituita una più subdola ”occupazione” economico – imperialista del
SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali), a cui bisognava rispondere con
un processo di lotta armata che potesse scardinare i rapporti di oppressione
dello Stato e fornire le azioni necessarie allo sviluppo di un processo
insurrezionalista; per questo motivo le B.R. hanno sempre rifiutato l’etichetta
di terroristi, attribuendosi invece quella di “guerriglieri”.
Uno dei primi è Prospero Gallinari, il quale
nasce a Reggio Emilia nel 1951, da una famiglia contadina, aderisce
giovanissimo alla Federazione Giovanile Comunista Italiana dove milita fino
agli anni ’70, per poi entrare a far parte delle B.R. dove scalerà tutte le
posizioni fino al vertice dell’organizzazione.
Nel sequestro Moro il “guerrigliero” emiliano
assume una veste importante, partecipando agli interrogatori ed alle
trascrizioni degli stessi; è stato detto da più parti che Gallinari è stato
l’esecutore materiale della condanna a morte di Moro nel 1993; Mario Moretti lo
discolpa, prendendosi la responsabilità del gesto, ma questa “confessione”
avviene quando Gallinari fa richiesta di uscire dal carcere per motivi di
salute, richiesta poi accolta; che fosse tutta una manovra??
Ai funerali hanno partecipato anche alcuni attuali
esponenti politici impegnati nelle prossime elezioni, come l’ex senatore
reggino Claudio Grassi di Rifondazione Comunista, che nelle prossime elezioni
correrà per la lista Ingroia; deve essere difficile per l’ex PM, entrato in
magistratura con Falcone e Borsellino, presentare un personaggio che,
inevitabilmente, fa tornare alla mente degli elettori l’impressionante tributo
di sangue di tanti innocenti, magistrati compresi; e che non ha mai rinnegato
la sua fede politica e “guerrigliera”.
Da un punto di vista prettamente iconico,
quello che mi ha colpito nelle foto del funerale di Gallinarfi è stato
l’unanime (del migliaio) cordoglio manifestato con il pugno chiuso e disteso,
saluto “internazionalista” reso ad un comunista
mai pentito.