lunedì, dicembre 17, 2012
IL POPULISMO: CHE VUOL DIRE?
In occasione del ventilato ritorno di
Berlusconi sull’agone politico, si è sentito molte volte usare un termine – “populismo”
– in forma dispregiativa, ma senza che se ne desse un qualche motivo lessicale.
Cominciamo quindi a vedere cosa significa:
secondo il fido Devoto-Oli, il termine si riferisce ad un movimento
politico-culturale russo che si sviluppò tra la fine del 19esimo e l’inizio del
20esimo secolo, aspirante ad una sorta di socialismo rurale in opposizione al
burocratismo zarista e all’industrialismo occidentale; per estensione possiamo
dire che siamo in presenza di un movimento politico socialistoide diretto
all’esaltazione delle qualità e capacità delle classi popolari sia pure in
connessione con una certa faciloneria e demagogia. E se torniamo allo spregio,
possiamo definire il populismo come un atteggiamento che mira ad accattivarsi
il favore popolare mediante proposte demagogiche e di facile presa.
Detta questa storia del termine populista, andiamo
avanti nel ricercare le origini e i significati del “populismo”; nella Russia
dell’800, si doveva andare verso il popolo, stare col popolo, ridiventare
popolo. Chi diceva questi slogan? Anzitutto Fiodor Dostoevskji, ma anche Lev
Tolstoj, entrambi non lontani dalle idee e dai sogni dei “populisti”.
Come molte cose che venivano dalla Russia –
sionismo compreso – questa “passione popolare” contagiò ben presto lo stesso
Occidente contro il quale era nata; soprattutto certi ambienti francesi che si
riconoscevano nella reazione monarchica o nell’estremismo anarco-socialista e
nacque quello strano connubio che in breve volger di anni avrebbe fatto
incontrare gli estremisti di destra con quelli di sinistra.
Qualcosa del genere accadeva anche in altri
Paesi europei, dalla Spagna alla Germania fino alla stessa Inghilterra ed era
una reazione violenta al sorgere delle contraddizioni di carattere sociale.
Possiamo anche aggiungere che il futuro Duce
del Fascismo, Benito Mussolini, attinse a piene mani da quel mondo nel quale le
rivoluzioni socialiste future somigliavano tanto alle rivolte contadine di
Masaniello.
Quindi, in alcune sue caratteristiche –
antintellettuale, anticapitalista, antiburicratico e antiborghese – il
populismo sfiorò il socialismo ma fu respinto dalle tesi aristocratiche e
oligarchiche del “partito guida” e del “moderno principe”; si può aggiungere
che fu Stalin a dare una sterzata populista alla sua dittatura.
Invece Hitler condannò duramente qualunque
uso politico della parola “popolo”, definendola, nel suo “Mein Kampf”, come
fumosa, inutile e velleitaria.
Ma il populismo non si dette per vinto e
varcò l’Oceano per radicarsi nell’America latina dove avrebbe offerto vita e
linfa al socialismo dei lavoratori di Buenos Aires e al “fasciocomunismo” di
Peron.
Viste queste premesse, appare strano che oggi
sembri poter rivivere in un brodo di coltura piccolo borghese; ma il bello è
che si tratta di piccoli borghesi che hanno paura di proletarizzarsi e scendere
quindi di una categoria sociale.
Il nostro problema è che dobbiamo sempre dare
una parola ad ogni idea o complesso di idee; a volte questo nome non c’è e
allora andiamo a ricercarlo nell’archivio di quello che “è stato ed è passato”,
cercando di appioppargli un qualcosa che lo possa far sembrare attuale.
Qualcuno diceva che: in politica è importante dare un nome a tutto, così è più
facile distruggerlo!!