martedì, maggio 06, 2008
ANCORA CALO DEI CONSUMI
Nel primo trimestre del 2008 i consumi – in particolari quelli dei generi di prima necessità (alimentari bevande e tabacchi) – hanno subito un calo vistoso, - 1,7%, e i soliti giornalisti/giornalai hanno lanciato l’ennesimo grido d’allarme; a questo proposito – prima di sviscerare la questione in modo, spero, diverso dagli altri, mi corre l’obbligo di fare subito una prima distinzione: la diminuzione è avvenuta certamente perché ci sono sempre meno soldi in tasca, ma anche – e forse soprattutto – a causa della “specializzazione” dei consumi da parte degli italiani, cioè la scelta che viene fatta con i pochi soldi in tasca non sempre è a vantaggio di quelli che noi conoscevamo come generi di prima necessità.
Insomma, voglio dire, la scheda del cellulare (minimo uno per individuo in ogni famiglia) la possiamo considerare genere indispensabile o voluttuario? E la gita fuori porta della domenica o durante un “ponte” come la etichettiamo? Questi valori assegnati a nuove categorie merceologiche o a nuovi servizi, mandano all’aria le rilevazioni statistiche redatte ancora con parametri non attualizzati: comunque il dato dei minori soldi a disposizione rimane ben saldo al suo posto; si tratta ora di vedere come agiscono i meccanismi messi in moto per “creare i bisogni”.
Tutti voi avrete sentito dire mille volte da economisti, da sindacalisti, da uomini politici di ogni tendenza: “Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione”; se guardiamo bene al significato di questa frase, siamo in piena follia, in quanto l’attuale società ha come slogan sulla propria operatività, non più “produrre per consumare”, ma il. suo contrario, cioè “consumare per produrre”; e questo significa, in parole povere, che il meccanismo economico non è al nostro servizio, ma siamo noi ad esserlo al suo.
Possiamo dire che siamo i tubi digerenti, i lavandini, i water attraverso cui deve passare, il più rapidamente possibile, ciò che altrettanto rapidamente viene prodotto.
L’uomo quindi è la variabile dipendente dell’economia, anzi vorrei aggiungere che il termine “uomo” non è neppure più appropriato in quanto dobbiamo parlare di “consumatore”; e non siamo neppure consumatori coscienti e volontari, ma delle rane che, opportunamente stimolate, devono saltare anche quando vorrebbero stare ferme, per non ostacolare l’onnipotente meccanismo che sovrasta ogni cosa (ricordate il treno del mio post di ieri l’altro?).
E si badi bene che di questo processo chiamato globalizzazione – vale a dire omologazione dell’intero pianeta ad un unico modello economico – se ne parla da non più di una quindicina d’anni, anche se la sua origine può esser fatta risalire alla “Rivoluzione industriale” partita dall’Inghilterra alla metà del 1700, per effetto della quale il vecchio “mercante” viene sostituito dall’industriale che crea così il “capitalismo commerciale”.
L’industrialismo – a differenza del commercio – non si limita a trasferire dei beni, ma li crea e, una volta creati, ha la necessità di venderli e si arriva così alla prima pazzesca legge di un certo Jean-Baptiste Say, il quale codifica una delle prime norme anche della moderna pubblicità: “è l’offerta che crea la domanda”; e in questo contesto viene anche scoperto la natura illimitata dei bisogni o meglio, la irrisoria facilità con cui gli esseri umani si lasciano influenzare e – attraverso tutta una serie di tecniche psicologiche – diventano “consumatori”.
Questo è il mondo che stiamo vivendo; “volerlo rinnegare è come rinnegare la legge di gravità” (Fidel Castro, 1998); e allora cosa ci resta da fare? Poco, ma proprio poco!!