venerdì, giugno 20, 2014
IL BOSS DELLA CAMORRA SI ARRENDE
Il boss della camorra Antonio Iovine,
soprannominato “’o ninno” per il suo
viso da bimbo, ha deciso di collaborare con la giustizia e sta cominciando a
fare dei nomi dei collegi e delle circostanze malavitose.
Ha 49 anni ed è sposato con Enrichetta
Avallone, 45 anni, con la quale ha un figlio, il 25enne Oreste; per entrambi
sono scattate le misure di sicurezza del programma di protezione per i parenti
dei pentiti.
Da giorni Iovine ha iniziato a ricostruire
gli intrighi trentennali tra criminalità organizzata ed affari, politica e
istituzioni. Il suo curriculum comprende quindici anni di latitanza, quattro
anni di carcere duro e ora la decisione di raccontare “la sua verità”.
Antonio Iovine sembra una sorta di juke box:
passato dal banco degli imputati a quello dei collaboratori di giustizia, parla
di tutto; anticipa una cosa “agghiacciante”: non si ricorda quanti omicidi ha compiuto
nella sua carriera!
Si ricorda invece benissimo il nome dei
sindaci che erano nel suo libro paga (tanti e di ogni colore politico); parla
anche dei tanti appalti vinti con i suoi “metodi” e i politici collusi, tanti
che il clan dei Casalesi finisce per diventare una terza Camera politica.
Ha raccontato della sua affiliazione: “fui
affiliato con la pungiture nel 1985, lo stesso giorno dell’omicidio Nuvoletta;
ad affiliarmi furono Antonio Bardellino e Vincenzo De Falca, pezzi grossi della
struttura malavitosa; mi punsero un dito e fecero cadere alcune gocce di sangue
su un santino; pronunciai un giuramento le cui parole esatte non ricordo, ma
nel quale mi impegnavo a non tradire il clan”.
Ripete che non ricorda assolutamente tutte le
persone che ha ammazzato, ma il primo assassinio – come il primo bacio – non si
scorda mai: fu quello di Ciro Nuvoletta, fratello del boss di Marano, Aniello;
l’omicidio – ha spiegato Iovine – rientrava nello scontro tra mafiosi
corleonesi, alleati di Nuvoletta, e i Casalesi.
Ovviamente, questa diuturna attività di
Iovine non era certo gratuita: ogni mese “o’ ninno”poteva contare su centomila
euro per pagare gli stipendi ai suoi affiliati e per soddisfare le esigenze
personali; altri compensi – più elevati – andavano a coloro che erano detenuti
col 41bis: insomma, un buono stipendio ma niente di favoloso, visto il daffare
che c’era.
Interessante quanto ha dichiarato sugli
imprenditori: “all’inizio noi non li cercavamo, aspettavamo che fossero loro a
fare i primi passi per gli appalti; poi nel corso del tempo ognuno di noi
veniva scelto da uno o dall’altro; insomma, furono loro a scegliere noi; ognuno
di loro cercava un riferimento con qualcuno di noi”.
Iovine ha parlato anche dell’affare
“rifiuti”: l’emergenza rifiuti era un affare per il clan dei Casalesi e nel
periodo più nero per la
Campania, il boss
Michele Zagaria, grazie a sue importanti conoscenze in Regione, riusciva
a pilotare l’assegnazione delle piazzole di stoccaggio per le ecoballe.
Forse ci sarebbe da chiedersi fino a che
punto “la conoscenza” possa regalare l’impunità e soprattutto quale sia il
limite oltre il quale entra in vigore il “libera-tutti”. Da circa un mese il
pentito Iovine vive protetto dallo Stato, gode di un’identità segreta, di un
congruo stipendio e, magari, anche di un lavoro di copertura.
La concessione dei benefici, subordinata a rivelazioni
davvero risolutorie e sensazionali, diventa così il “premio” al contributo
fornito; una sorta di gratifica, assai lontana comunque da un qualunque tipo di
perdono; anche il Padreterno creò il Purgatorio per far vedere agli uomini che
non tutto poteva essere depenalizzato.