giovedì, maggio 29, 2014
IL GAS RUSSO AI CINESI
Ricordate Kondorkoskij, l’oligarca russo
della Yukos che aveva osato sfidare il Cremino facendosi una ventina di anni di
galera, parte in Siberia? Ebbene, al giorno d’oggi si trova in occidente, pieno
di soldi e assiste al completamento del “suo” gasdotto siberiano destinato a
rivoluzionare i rapporti energetici tra occidente e oriente.
Il gasdotto siberiano – costo 80/miliardi di
dollari – della lunghezza di oltre 5/mila chilometri, dovrebbe arrivare
addirittura a Shanghai spostando così a favore della Cina i rapporti secolari
della Russia con l’Europa e l’Asia.
Dopo 10 anni di trattative, è stato firmato
un accordo tra Russia e Cina in forza
del quale la prima riceverà 400/miliardi di dollari per fornire alla Cina
38/miliardi di metri cubi all’anno di gas, a partire dal 2018 e per la durata
di 30 anni.
Questo rinnovato interesse per le intese con la Cina, potrebbe non finire
qui: si sta parlando, al momento solo a livello di trattativa, di un interesse
cinese per la Rosneft,
il colosso petrolifero russo; e così gli equilibri energetici globali
cambierebbero, con la Russia
che volge il proprio interesse verso la
Cina e tutto questo a danno, ovviamente dell’Europa, quel
continenti – non si scordi – che nella recente crisi con l’Ucraina, si è
schierato nettamente contro la
Russia; questo è il risultato e credo che fosse facile
prevederlo.
E così Putin, il più filo-occidentale degli
“zar” che si sono susseguiti al Cremino, volta le spalle all’occidente e volge
lo sguardo – e soprattutto gli interessi – verso un mercato nuovo e forse più
appetitoso, quello dell’altro colosso, la Cina.
Questo sommovimento nelle strategie delle
fonti energetiche può creare difficoltà all’Europa? Direi senz’altro di sì,
anche sulla scorta di quanto tanti economisti rilanciano in base ai dati che
vogliono le fonti energetiche alla base dello sviluppo di ogni economia.
Per la verità, l’Italia con il suo 11,2% è il
Paese che si approvvigiona meno del gas Russo, al pari, o quasi, della Francia
(15,6); i più esposti sembrano essere i paesi dell’Europa Centrale e gli ex
appartenenti al Patto di Varsavia: Gerrmania (35,7%) Austria (71%), Grecia (59,5%)
Ungheria (43,7%); tutti gli altri dipendono dal gas russo con percentuali che
oscillano tra l’80 e il 100%.
Naturalmente, al momento dell’entrata in
vigore del nuovo accordo tra Russia e Cina, quest’ultima potrà annoverarsi tra
i paesi maggiormente dipendenti da Mosca, con una percentuale di circa il 75%.
E noi? Ha scritto Romano Prodi in tempi
recentissimi che “l’Italia, assurdamente, non è un paese povero di petrolio e
di gas ma preferisce importarli piuttosto che aumentare la produzione interna”;
nell’ultimo decennio abbiamo pagato all’estero 500/miliardi di euro per
procurarci la necessaria energia, un lusso che dobbiamo sicuramente rivedere. È
chiaro che il lusso di impedire qualsiasi “novità” sull’onda della puzza al
naso, non può certamente durare: chiaramente il pozzo petrolifero vicino alle
coste non è bello, ma poi quando si torna a casa si chiede il gas e l’energia
per vivere e la benzina per potersi spostare; continuare a comprare tutto dagli
altri, prima di tutto ci espone a rischi anche ricattatori e poi ci costa molto
di più di quanto ci verrebbe a costare l’energia da noi stessi prodotta.
L’ultimo caso è quello del gasdotto che
dovrebbe portare il metano dell’Azerbaijan fino alle coste della Puglia: la
comunità locale non lo vuole e quindi la politica locale si adegua; il motivo
trainante: minaccerebbe l’accoppiamento delle tartarughe marine!!