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lunedì, febbraio 10, 2014

DOVE VANNO A FINIRE LE TASSE? 



Circa due anni fa, maggio 2012, il governatore della Banca d’Italia ribadì che occorreva tagliare le tasse per dare fiato alla crescita; ovviamente tutti ad applaudire e a dargli ragione; dopo questo tempo trascorso, nulla è cambiato, anzi, il fisco ed il suo seguito di balzelli erode profitti e stipendi e questo fa sì che la crescita arranchi e di conseguenza il mondo del lavoro chiede a gran voce di tagliare la tassazione;  per fare questo, tagliare la mostruosa spesa della macchina dello Stato.
Sembra un moloch che procede meccanicamente, registrato solo per una funzione: mantenere un apparato mastodontico e perennemente affamato.
Mi sto ripetendo, perché tali concetti li ho espressi altre volte, ma penso che le tasse – pur non essendo “il male assoluto” – dovrebbero essere il meccanismo solidale che consente allo Stato di funzionare, erogare servizi e garantire i diritti che sono alla base del vivere civile: sanità, scuola, giustizia, viabilità, protezione civile: nulla di tutto questo potrebbe funzionare senza le tasse dei contribuenti; sono servizi ma sono anche diritti fondamentali per uno stato democratico.
Il problema è che nel corso degli anni lo Stato ha gonfiato a dismisura la fame di risorse, a scapito dei cittadini paganti (quelli cioè che non evadono il fisco) ma anche operando palesi ingiustizie al suo interno.
Così – tanto per fare un esempio – un usciere della Camera è valutato economicamente molto di più di un insegnante che nella sua carriera forma migliaia di giovani. Voglio dire che la spesa per la “casta” burocratica non può essere così spropositata rispetto a ciò che si investe per chi lavora in altri servizi considerati, a torto, delle cenerentole; allo stesso modo non è giustificabile il divario di risorse fra un consigliere regionale e un dirigente scolastico.
Tagliare, quindi, è un imperativo inevitabile, ma tagliare non basta, anzi i tagli lineari hanno un sapore ingiusto e sono alla fin fine inefficaci perché indeboliscono i servizi costringendo a chiedere maggiori esborsi ai cittadini (si pensi ai “contribuiti volontari” nella scuola, per fotocopie ed anche per la carta igienica).
Mi viene subito in mente la spesa mostruosa per la macchina dello Stato, intendendo con questo tutti gli stipendi a politici e similari che non hanno mai subito un ridimensionamento, e la gamma interminabile di rimborsi non ha mai avuto un ritocco.
Adesso qualche numero, indispensabile per comprendere la dimensione del problema; si riferiscono al 2012 e ci dicono che l’introito totale della tassazione è stato di circa 690 miliardi di euro, il cui utilizzo è così suddiviso: 217/miliardi finanziano pensioni e misure sociali, 364/miliardi affluiscono nelle casse dello Stato, mentre 79/miliardi vanno a quelle delle Regioni, 24/miliardi in quelle dei Comuni e poco più di 4/miliardi in quelle delle Province.
Come appare dai numeri sopra indicati,  la fetta più grande entra nelle casse dello Stato e serve per pagare l’immensa e vorace macchina pubblica in cui affluiscono stipendi e rimborsi per politici di ora o di qualche tempo addietro, spese per far funzionare i tanti carrozzoni che hanno spese sibaritiche (si pensi che il Quirinale costa molto di più dell’Eliseo e della reggia della Regina Elisabetta).
Insomma, se lo Stato usa i nostri soldi per far funzionare meglio la scuola, la sanità e la giustizia, saremmo tutti contenti, ma se li usa per mantenere una burocrazia inefficace e spropositata nonché una casta politica sempre tentata dal rimborso facile, allora rompe il contratto che lega l’individuo allo Stato. Sono stato chiaro?

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