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venerdì, ottobre 25, 2013

RIFLESSIONI SULLA FAMIGLIA 



La famiglia, così come l’ho vissuta io e tanti altri miei coetanei negli anni ’70, era composta dal padre – autentico capofamiglia – dalla madre e dagli eventuali figli; sotto il profilo simbolico, ogni eventuale discussione che poteva nascere, veniva troncata, ad un certo punto, dal padre che chiudeva la discussione con un gesto pieno di significati: le mani sulla fibbia della cintura, alludendo ovviamente all’uso che ne avrebbe fatto se fosse continuata la diatriba.
Se questo avvenisse oggi, interverrebbero i servizi sociali e il genitore rischierebbe di perdere la patria potestà, dato che l’uso della forza non è ammesso neppure in lontana allusione; già, perché di questo si tratta: di un’allusione relativa ad un gesto, mai messo in atto, che faceva parte di una educazione fondata sul “bastone e la carota”.
Adesso questo complesso di regole – non scritte – è completamente terremotato, tanto da far temere un imminente collasso della società, dato che non si capisce chi deve educare e sulla base di quali principi e chi deve essere educato.
È evidente che una crescita senza che il genitore non ponga mai le mani sulla fibbia della cintura aumenta le possibilità che la società si sbricioli, a partire appunto dal nucleo fondante, cioè dalla famiglia, con gravissimi danni per l’intero sistema.
Questo allarme è già scattato in Inghilterra, dove un’intera generazione è accusata di essere scarsamente responsabile nel seguire i figli, cioè di esagerare con “le carote” e di non ricorrere mai – metaforicamente – al “bastone”.
Scusate se a questo punto immetto un paragone equino: quando si monta un cavallo, questi si accorge subito se il cavaliere è dotato di senso dell’equilibrio e di tutte le necessarie conoscenze e – come prima e immediata reazione -  cerca di scrollarselo di dosso.
Ebbene, questo paragone, forse mal scelto, è applicabile anche all’educazione in quanto si verifica che i ragazzini detestano i genitori “mollaccioni”, quasi come se intuissero che questa eccessiva accondiscendenza verrà scontata più tardi e comporterà disagi nell’intera famiglia.
Un bambino ha bisogno di capire e di tenere presente cosa è giusto e cosa è sbagliato e non potrà mai arrivarci se verrà tolto dal box ogni volta che piange o se la nonna – complice di questa situazione di decadenza – gli allungherà venti euro tutte le volte che gli farà gli occhi dolci.
Tutto questo porta ad una conseguenza: diventare “viziati” che, badate bene, possiamo considerare il pericolo minore, se non fosse che porta diritto a ignorare il valore delle cose e a non considerare più il valore del meritarsele.
L’esempio che ci fornisce la cronaca, ci dice di una ragazzina di 16 anni stuprata durante una festa tra amici che – dopo essere stata anche oltraggiata e derisa – viene ripresa in un video hard che poi è stato scambiato tra gli amici.
E per finire l’episodio, i cinque ragazzi che hanno commesso il reato, quando di sono visti arrivare a casa i carabinieri che hanno chiesto loro il tampone salivale per confrontare il DNA con quello trovato sugli indumenti della ragazzina, sono caduti dalle nuvole – insieme ai genitori – in quanto convinti di non aver fatto niente di male.
Fra il genitore autoritario e quello permissivo, c’è una terza via che gli esperti auspicano: quello “autorevole” che dia le regole, le discuta e le faccia rispettare e usi correttamente sia il bastone che la carota; ma capisco che tutto questo comporta fatica e quindi è più semplice “permettere” che “discutere”; chiaro il concetto??

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