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mercoledì, ottobre 09, 2013

LO SHUTDOWN 



Il significato del termine indicato nel titolo è “chiusura”, spesso solo temporanea, ma negli Stati Uniti indica che il bilancio statale è andato oltre ogni deficit previsto ed ha generato una sorta di dissesto finanziario; credevate che fosse appannaggio solo dell’Italia e invece è quello che sta accadendo negli Stati Uniti dove  siamo arrivati a non potere pagare un gran numero di impiegati federali che, di conseguenza, sono stati rimandati a casa senza farli lavorare; oppure continueranno a lavorare – se impiegati in lavori essenziali – ma senza paga.
È la paralisi? È il collasso? La bancarotta dello Stato? Non esageriamo, non è esattamente così; anzitutto diciamo che dal 1976 lo shutdown si è già verificato 17 volte, senza che per questo l’America sia andata a ramengo.
L’ultima volta è stato nel 1995, Presidente Clinton (democratico) , speaker della Camera il repubblicano Gingrich, il tutto come adesso, dove abbiamo Obama (democratico) e lo speaker repubblicano Boehner; e anche questa volta il motivo dello scontro è specificatamente la spesa dell’”Obamacare”, cioè della riforma sanitaria che rischia di provocare un rallentamento della crescita e, di conseguenzaa, un aumento della disoccupazione.
Tutti dicono che alla fine un accordo sarà trovato, ma non dicono quanto; si spera in tempi brevi, dato che ogni giorno di blocco costa 300/milioni di dollari e quindi un blocco di due settimane causerebbe una diminuzione del Pil dell’1%.
Ma il problema serio è probabilmente un altro; sto alludendo al debito pubblico, nel senso che lo Stato americano può funzionare anche se il bilancio non è – scusate il bisticcio – bilanciato, vale a dire se le spese non sono coperte dalle entrate, ma non se il debito pubblico  arriva a toccare un certo “tetto” e un voto del Congresso non ne autorizza l’innalzamento; questa circostanza accade sempre più frequentemente, pensate che questo tetto è già stato toccato: il debito pubblico americano è 17,6/trilioni di dollari (un trilione è pari a mille miliardi); provate a scriverla questa cifra e vedrete che vi occorre un bello “spazio”. I più preoccupati sono ovviamente i cinesi che detengono una gran parte di questo debito.
Questo debito pubblico supera il 10% del Pi secondo i dati ufficiali; in realtà il debito è circa il doppio, 33/trilioni di dollari secondo Robert Samuelson, che mette nel conto anche i passivi delle Agenzie federali e il debito privato. Pertanto, il governo americano necessita di un nuovo indebitamento, il tutto a brevissima scadenza: prima del 17 ottobre p.v. Se non ce la fa rischia di essere dichiarato “non più solvibile” e allora sì che sarebbe veramente la bancarotta.
E quindi gli Stati Uniti, che grazie a Putin hanno sistemato la faccenda di al-Assad, si ritrovano a dover pensare a un altro problema; pertanto, i problemi finanziari si mischiano alla distruzione delle armi chimiche e alle reazioni dei cinesi.
Ma al tempo stesso, visto che la distruzione delle armi chimiche avrà termine nel 2014, anche al-Assad può tirare un sospiro di sollievo  almeno fino a tutto il 2014 quando oltre al termine per la distruzione delle armi scadrà anche il suo mandato presidenziale.
Tutto questo legame a tre (Stati Uniti – Russia – Siria) è una sorta di garanzia per il dittatore siriano, che potrebbe vedersi assicurarata un’uscita si scena “morbida”, risparmiando così a se stesso ed alla propria famiglia la triste sorte capitata a tanti altri rais mediorientali, vedasi Mubarak.

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