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sabato, giugno 15, 2013

LA PAURA DEL FUTURO 



Un giovane che tra pochi giorni sosterrà l’esame di maturità, ha detto una frase che mi ha colpito: “ho una tremenda paura di rimanere disoccupato per molto tempo”; e, sia pure cambiando discorso, il giovane ha così concluso “basta con l’Unione Europea, basta con l’euro: solo così potremo risollevarci”.
Quindi il nostro giovane è “preoccupato” ed è anche molto “arrabbiato”, ma non so se potremmo definirlo un antieuropeista, quando afferma che l’Europa, o meglio questa Europa, è più una zavorra che una risorsa; adesso possiamo anche dire che questa condizione spirituale non è propria solo dei giovani ma anche dei “meno giovani”, cioè dei trentenne o quarantenni o, peggio ancora, cinquantenni che sono rimasti sul lastrico e dei quali “nessuno” in questo dannatissimo Stato, sembra preoccuparsi.
Chi sono queste persone che hanno una paura fottuta del loro futuro? A titolo esemplificativo, citerò le donne della Mabro di Grosseto, messe a casa, insieme agli operai della Thyssen di Terni ed ai lavoratori della Indesit di Fabriano, così come i tantissimi che vivono lo stillicidio della disoccupazione nelle aziende artigiane e commerciali, quelle strutture che vengono alla ribalta giornalistica o televisiva soltanto quanto qualcuno degli ex dipendenti si butta sotto un treno o da una campanile.
Dopo aver citato la frase del giovane “maturando”, riporto un’altra affermazione che forse è molto più preoccupante dell’altra: “senza prospettive per il futuro non resta che la rivolta”; autore di questa drammatica affermazione è stato addirittura Jacopo Morelli, presidente dei giovani industriali della Toscana; ed il presidente di Confindustria, insieme al ministro Saccomanni,  gli fa eco, ricordando che l’allarme sociale che questa situazione sta generando è “forse peggiore di quello del ‘29”.
E coloro che determinano le sorti del Paese che fanno? Sostanzialmente generano un sacco di chiacchiere, un fiume di chiacchiere, uno tsunami di chiacchiere: dibattiti, interviste, meeting, riunioni e via di questo passo; molti si chiedono perché, invece di chiacchierare non fanno le cose che servono; forse perché non sanno da che parte rifarsi e le idee, come dice una battuta popolare, sono poche e confuse.
Anzitutto quello che chiederei loro è una cosa semplice e complessa al tempo stesso: stare vicini alla gente, a tutti, giovani e meno giovani, per conoscere le varie e complesse situazioni che non sempre si assomigliano; e cercare di dare “il possibile” per alleviare la solitudine e la sofferenza di queste persone che al momento hanno un solo modo di sistemare la loro situazione:  il suicidio.
Ma nel continuare a “fare”, bisognerebbe saldare i debiti dello Stato nei confronti delle imprese, cercando un metodo per legare queste dazioni a ingressi di nuovi dipendenti; ovviamente senza farne un odioso ricatto!!
Per la verità il pagamento è partito, ma con un metodo che assomiglia tanto ad un lento sgocciolio che a tanti non basta per evitare la morte per sete. Quindi diamoci una mossa ed andiamo con i tempi almeno simili a quelli di Equitalia!!
Un’altra cosa che si è provato tante volte a “fare” ma nessuno c’è riuscito, sarebbe la scarnificazione della burocrazia, con netto e importante risparmio di uomini; e questi burocrati che sono un surplus come sistemarli? Utilizzarli in altri settori, senza guardare tanto per il sottile sul grado e la carriera di appartenenza, ma fissare un solo parametro certo: non i debbono rimetterci dei soldi, purché vadano a fare quello di cui la comunità necessita e quindi ben venga il funzionario del Catasto che va ad occuparsi di bambini handicappati (è solo un esempio). È chiaro il concetto?!

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