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martedì, aprile 16, 2013

SIAMO PROPRIO A I' LUMICINO 



Qualcuno dei miei lettori forse si ricorderà che quando ho parlato della Compagnia dei Buonomini, ho citato la frase che riporto nel titolo; veniva usata da questi signori che facevano beneficenza senza fare clamore, quando le casse della loro associazione erano vuote e quindi non si poteva aiutare i bisognosi; l’immagine che sottostava a questa frase è quella di una candela (il famoso “lumicino”) che i “buonomini” accendevano su un apposito muretto al fianco della porta d’ingresso e che poteva essere vista da tutti coloro che passavano da quella piazza.
Perché apro questo mio post con questa immagine? Mi ha dato lo sprone una notizia che ho letto sui quotidiani in questi giorni: “Addio Italia. Il lavoro non c’è e quindi riparte l’emigrazione: +30%” che, in termini assoluti, significa che oltre 18.000 italiani in più rispetto al 2011 hanno preferito affrontare l’estero nel 2012.
Anzitutto vediamo dove sono andati; il 62% ha scelto l’Europa come Continente di destinazione e, scendendo alla suddivisione per Paesi, la Germania è la prima meta per destinazione degli italiani (oltre 10/mila) seguita da Svizzera (quasi 9.000), Gran Bretagna (7,500), Francia (7.000) Argentina (oltre 6.000), Stati Uniti (oltre 5.000),  fino ad arrivare alla lontana Australia che accoglie 1.683 nostri connazionali.
Ma da dove vengono questi nostri connazionali che emigrano: contrariamente alle aspettative, il primato lo ha la Lombardia con 13.156 emigrati, seguita dal Veneto e da quella che doveva essere la favorita e che si è piazzata solo al terzo posto, la Sicilia con poco più di 7.000 cittadini che hanno abbandonato l’isola.
Il nostro è un Paese di emigrazione e quindi non dovremmo stupirci più di tanto, anche se le fiumane di extracomunitari che arrivavano nei porti del Sud (adesso ne arrivano molti meno, visto che n on c’è più lavoro) ci dicono che un certo tasso di immigrazione sussiste nonostante le condizioni non siano più quelle di una volta.
Le prime emigrazioni in Europa furono quelle legate al lavoro in miniera – in Belgio e nella Ruhr – e buona parte di loro, prima di arrivare a destinazione,  non sapeva neppure che sarebbe finito sottoterra.
Il cinema ha raccontato con dovizia le avventure di questi nostri connazionali: ve ne ricordo due, la prima è la vicenda di Nino Manfredi, in “Pane e Cioccolata”, costretto a tingersi i capelli di biondo per non essere spernacchiato dagli svizzeri, e l’altra è l’immensa sequenza dell’arrivo degli immigrati a Ellis-Island, luogo simbolo nella Baia di New York, dove arriva un bambino che non sa neppure come si chiama – Vito – al quale viene aggiunto il luogo di origine – Corleone – e diventerà il più celebre “padrino” della storia della malavita italo-americana: Don Vito Corleone.
Ma si parte perché si è poveri o perché si cerca di meglio e poi si scopre che il meglio è sempre da un’altra parte? A Berlino siamo passati da 12/mila a 50/mila in pochi anni e, come ieri per i nostri padri e nonni si faceva un viaggio lunghissimo in seconda classe, oggi con due ore di aereo e pochi euro, siamo nella capitale tedesca ma le difficoltà sono ancora tante: se non conosci almeno l’inglese (al posto del tedesco) non lavori neppure alla catena di montaggio e quindi arrivano giovani diplomati e laureati ma scoprono ben presto che i loro titoli non servono a niente per trovare un posto; all’estero cercano tecnici e non dottori in lettere classiche e quindi le difficoltà  cominciano proprio dalla collocazione dell’immigrato.
Ma questi italiani che emigrano sono poveri o no? Si è poveri pure con cellulare e motorino, ma è difficile fare i paragoni con i loro nonni; e questa è un’altra difficoltà!!

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