giovedì, dicembre 27, 2012
IL CARCERE E LA RIVOLUZIONE
Tra le tante nefandezze dell’agonizzante
governo, c’è la mancata approvazione di una norma – definita “decreto svuota
carceri” – che avrebbe tentato di sistemate la questione del sovraffollamento
carcerario, problema che angoscia da tempo il nostro grande Pannella e che lo
sta conducendo verso la morte.
Eppure il problema del carcere e del suo
affollamento ben oltre tre volte il consentito, è un argomento che tiene banco
tra i cosiddetti “rivoluzionari” fin dal 1971, quando Lotta Continua individuò
nelle carceri uno dei fronti principali su cui lavorare, specie dopo le scarse
soddisfazioni ricevute dal mondo operaio.
E quindi, anche i detenuti si conquistarono
un posto in prima fila tra le vittime di un sistema ingiusto, così come tutti
gli altri “dannati della terra”; i “compagni” di Lotta Continua ritenevano che
il crimine fosse in realtà una fondamentale risorsa che lo Stato capitalistico
utilizzava per legittimarsi; era infatti lo Stato stesso a creare le condizioni
perché nascessero le tentazioni che spingevano a delinquere.
E qui entrava in azione l’elemento
“detenzione”, cioè il carcere che aveva il compito di rieducare in maniera
afflittiva, imponendo cioè la disciplina autoritaria, l’egoismo, la divisione,
la miseria, la passività.
Da rilevare che se leggiamo i documenti
dell’epoca sulle carceri e il modo di trattare i detenuti, vediamo che il
sistema è cambiato ben poco in quanto si fonda ancora su alcune azioni punitive
previste dal codice: isolamento in cella di punizione, abolizione dell’ora
d’aria e altri similari.
È di quel tempo una famosa dichiarazione
rilasciata da un celebre carcerato, quel Sante Notarnicola che faceva parte
della famigerata banda Cavallero composta da rapinatori politicizzati che si erano
riuniti con l’impegno – peraltro non
mantenuto – di destinare i proventi al finanziamento della rivoluzione:
“mi si indica come esempio del “male”, mentre i fatti che voi giudicate altro
non sono che il prodotto di questa società borghese, corrotta e malvagia, che
pone i poveri di fronte ad un’unica alternativa, lo sfruttamento o il carcere;
quindi se io sono un criminale – e lo nego apertamente – sono esattamente
quello che voi mi avete fatto essere”.
Nell’ambito carcerario, la tattica di Lotta
Continua era quella di dimostrare quanto fossero efficaci i meccanismi di
oppressione, di spersonalizzazione, di negazione della personalità del recluso,
ma anche quanto egli fosse in parte già segnato dalla condizione di disagio
sociale e familiare da cui proveniva.
Ed a questo proposito, il giornale del movimento iniziò una rubrica che, partendo
dalla famosa frase “la civiltà di un popolo si misura dalle carceri”, si
intitolava significativamente “la storia di un popolo è scritta nelle sue
prigioni”.
Il programma politico di Lotta Continua fu
così esposto: “le carceri sarebbero state abolite per cancellare uno strumento
da sempre usato per ricattare, spaventare, torturare, ridurre a larve umane,
uccidere lentamente e legalmente tutte le volte che i padroni non avevano la
forza o il coraggio di fucilare o massacrare nelle piazze tutti quelli che non
accettavano passivamente lo sfruttamento e la miseria”.
Nacquero pochi anni dopo alcuni movimenti
specifici sul problema (Movimento proletari prigionieri e Movimento dei
proletari emarginati), ma non si andò oltre le parole e non scoccò mai la
scintilla rivoluzionaria.
E così siamo al giorno d’oggi, dove le
carceri rigurgitano di extracomunitari che dividono una cella di 3x3 in 8
persone e vivono così la loro vita; e Pannella……