lunedì, novembre 26, 2012
C'E' LA FAMOSA "SALDATURA"
Chi è “meno giovane”, si ricorderà che
l’assunto tematico delle B.R. negli anni a cavallo tra il ’60 ed il ’70, fu la
ricerca di “saldare” le rivolte dei giovani studenti con il malessere degli
operai in preda a trasformazioni tecnologiche che ne proponevano licenziamenti
e conseguenti difficoltà di sbarcare il lunario.
Con questa “saldatura” le avanguardie della
sinistra provarono a “fare la rivoluzione”, ma commisero un grosso errore, cioè
non tennero conto che l’Italia non era un Paese adatto alla rivoluzione
comunista in quanto aveva un capitalismo avanzato e quindi una società
completamente diversa da tutti I Paesi dove simili rivoluzioni avevano avuto
successo; in Italia mancava l’elemento fondamentale: la fame; senza la fame,
senza una forte maggioranza della popolazione che stesse veramente male, non si
fanno rivoluzioni; è uno dei due presupposti indicati da Marx, insieme alla
presenza di un partito autenticamente rivoluzionario: una situazione sociale
che abbia i presupposti reali per una rivoluzione.
Perché questo lungo preambolo? Perché nei
giorni scorsi si sono avute due manifestazioni – una dei giovani studenti e
l’altra dei lavoratori in crisi – che potrebbero somigliare a quella situazione
di oltre 40 anni fa; cominciamo dai giovani e diciamo subito che sarebbe
assurdo chiamarli “ragazzi”, sia che manifestino a Roma o Milano o che siano
sulle ramblas della Spagna o in Portogallo o in Francia, non chiedono
“assurdità” come nel ’68, ma solo un lavoro e lo chiedono in tutte le lingue di
questa sorta di Babele europea.
Ripeto: non chiamiamoli ragazzi perché sono
uomini e donne, già invecchiati senza aver vissuto la gioventù, e i loro
sguardi non esprimono la gioia della rivolta come avveniva nel ’68, ma sono
sguardi senza speranza, perché è atroce essere all’inizio della vita e temere
che sia già tutto finito; non riescono a vedere un loro futuro e le cifre lo
mostrano chiaramente: in Europa un giovane su cinque è senza lavoro, ma queste
sono medie “raddrizzate” dalla situazione dei Paesi più fortunati o più bravi
(Germania e Austria), altrimenti sarebbe del 33% in Italia, 53% in Grecia e 55%
in Spagna; non sono delle percentuali ma delle descrizioni di una vera
catastrofe.
E i lavoratori che hanno sfilato quasi contemporaneamente
con loro? Lo slogan di base era questo: “l’austerità uccide il lavoro” e in
queste tre parole coniate dal segretario della CGIL, Susanna Camusso, può
essere riassunta la complessa questione che ha portato in piazza milioni di
lavoratori in 23 Paesi europei.
Lo slogan è in linea con la situazione che
attanaglia il nostro Paese: quasi due mila miliardi di debito pubblico contro
1.600 di Pil e una disoccupazione che si
avvia a superare i tre milioni di individui, non solo giovani, ma di tutte le età,
padri e madri di famiglia compresi.
I politici continuano a trincerarsi dietro
all’altro slogan “le nostre sciocchezze e sperperi di ieri (e qui il sindacato
è come minimo complice) uccidono il lavoro di oggi”.
Al momento si è utilizzata una sola leva:
spremitura dei “soliti noti”, cioè di coloro che sono a reddito fisso e quindi
abbondantemente schedati e facilmente colpibili; e gli altri? Gli altri sono
più difficili da scovare e, molte volte, sono amici fraterni di coloro che
fanno le leggi e quindi pretendono un po’ di tutela. In Francia il socialista
Hollande ha provato a far leva su una “patrimoniale” per colpire i ricchi, ma
sta facendo retromarcia perché il sistema si è rivelato non sufficiente per il
bilancio e estremamente ostico per la sua applicazione. Insomma, non è facile
per niente, ma si sapeva!!