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domenica, agosto 05, 2012

IL DILEMMA DI TARANTO 


Il dilemma di cui parlo in questo mio post è quello che si sta presentando a Taranto, alla più grande acciaieria d’Europa: “dare la precedenza alla salute o al lavoro?”.
La vicenda: dopo alcuni decenni, l’acciaieria dell’ILVA, privatizzata anni addietro a favore della famiglia Riva, è stata dichiarata “pericolosamente inquinante” e quindi dannosa per la salute della gente e sottoposta a “sequestro cautelare”, contemporaneamente agli arresti domiciliari per alcuni dirigenti dell’azienda.
Cominciamo col dire che la Magistratura è arrivata ad esaminare la questione delle polveri dell’ILVA con molto ritardo, stante che la gente del posto mostra da anni le polveri color rosa che si annidano nelle strade, sugli alberi e nelle case delle persone; è ragionevole pensare che vadano a finire anche nei polmoni della gente!! O no??
I sindacati hanno subito messo in agitazione la forza lavoro dello stabilimento e sono pronti a dichiarare scioperi ad oltranza; per il momento gli operai presidiano le strade d’ingresso in città  e si chiedono: “se l’alternativa deve essere ammalarsi di tumore tra 20 anni o morire di fame tra un mese, scelgo la prima strada; intanto dobbiamo fare la spesa e dare da mangiare alle nostre famiglie, poi si vedrà”.
Il Sindaco di Taranto si è espresso – con un po’ di ironia – sulla vicenda, affermando che “i magistrati hanno adottato una terapia d’urgenza per sanare una malattia nata 52 anni fa” ed ha invitato i lavoratori ad occupare il Municipio perché si comprenda che questa è la battaglia di tutta la città di Taranto per difendere il lavoro,l’ambiente e la salute”; gli fa eco il Governatore della Puglia, Vendola, che “dopo aver riaffermato che saremmo in presenza di una crisi drammatica (perdita di 20.000 posti di lavoro), si meraviglia che l’intervento della magistratura avvenga quando le emissioni di diossina sono scese da 500 a 3,5 grammi all’anno”.
A ben guardare, questo dilemma non è nuovissimo nel panorama italiano: i miei lettori non più giovanissimi si ricorderanno della vicenda Icmesa avvenuta nel 1976, in cui il risanamento ambientale della fabbrica dovette superare una serie di “no” dei sindacati per non mettere a rischio i posti di lavoro.
E dopo il caso della diossina dell’Icmesa, abbiamo avuto altre “fabbriche della morte”, da Porto Marghera all’Enichem di Mantova, dall’Eternit di Casale Monferrato all’Acna di Cengio, solo per citare le più famose; in tutte queste situazioni la proprietà aziendale ci ha rimesso poco o niente: chi ha pagato è stato lo Stato, cioè tutti noi, e soprattutto i soliti lavoratori che, dopo avere messo a grave rischio la salute, sono stati licenziati.
Insomma, rendiamoci conto che siamo in presenza di due diritti sanciti dalla Costituzione: il diritto al lavoro e quello alla salute; ad entrambi dovrebbe provvedere lo Stato, ma come si può vedere, è fortemente latitante ed allora – anche qui ripeto: come al solito – la Magistratura si surroga allo Stato e prende i provvedimenti che ritiene migliori senza tenere presente delle varie situazioni lavorative.
Come possiamo concludere? Dicendo che la situazione all’ILVA di Taranto è chiaramente “fuori legge” e quindi la Magistratura non poteva far altro che intervenire e, soprattutto, bloccare la causa del reato, cioè l’altoforno che produce la famosa “polvere rosa”; prendersela con i giudici non ha senso: non possono certo far finta di niente e lasciare che il tutto continui come prima; l’unica soluzione è quella di fare in modo che l’intervento della Magistratura proceda d’intesa con gli interventi delle autorità dell’ambiente per sistemare queste emissioni mortali; chiedo troppo?
Certo che ipotizzare 20.000 tagli di lavoratori in Puglia è drammatico!! O peggio!!

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