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lunedì, febbraio 27, 2012

PARLIAMO DI LAVORO 

Quale sarà il motivo “vero” per cui il governo Monti – con tutti i problemi che si ritrova – ha messo mano ad una riforma della normativa sul lavoro, nella quale primeggia un attacco al celebre articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quell’articolo che vieta i licenziamenti senza “giusta causa”?
La prima cosa che mi viene in mente è che il nostro governo, alla caccia di qualsiasi provvedimento che faccia imboccare al Paese la strada della “crescita”, si deve essere reso conto che la situazione della nostra imprenditoria è bloccata, stagnante, cioè non ci sono all’orizzonte degli industriali capaci di inventarsi qualcosa per uscire dalla secche attuali.
Ecco allora che lo sguardo di Monti e della Fornero è corso al di là dei nostri confini e cioè ha cercato di vedere quali possano essere le cose che invogliano un industriale straniero a venire in Italia a fare impresa; sembra – a detta di tutti – che oltre alle tante tasse, alla giustizia lentissima ed alla burocrazia famelica, il fatto che un proprietario d’azienda non possa licenziare qualcuno a suo insindacabile giudizio, sarebbe un elemento ostativo all’investimento nel nostro Paese; e quindi……aboliamo l’art.18.
Ho sentito la Marcegaglia che inveiva contro i Sindacati rei di difendere fannulloni e assenteisti e mi sono detto che questo atteggiamento – ripreso anche da alcuni industriali – è sicuramente indice di una situazione difficile, anche in Confindustria, dove peraltro sono iniziate le manovre per cambiare Presidente.
Ma veniamo al succo: è vero che i sindacati si comportano così oppure la Marcegaglia sbaglia? In parte è vero, in quanto al sindacato compete la difesa dei propri iscritti e nel fare questo, a volte, incappa in qualche errore, ma proviamo a metterci anche nei panni del lavoratore; prima di tutto una battuta: “oggi chi lavora non può diventare ricco: perde troppo tempo a lavorare!”.
Ma siamo seri e torniamo a bomba: anzitutto diciamo che il lavoro diventa un “valore” solo con la Rivoluzione Industriale; prima non esisteva neppure il concetto come adesso lo intendiamo, ma il tutto era riportato sul termine “mestiere” (contadini artigiani). Con la suddetta rivoluzione industriale, cambia anche il modo di concepire, di pensare e di sentire il lavoratore; il signore, il maestro artigiano o il padrone della bottega non considera i propri dipendenti “una merce” che si può vendere o comprare, né essi si sentono tali.
Oggi, il lavoratore è una merce come un’altra – tant’è vero che esiste un “mercato del lavoro” così come c’è un mercato delle vacche o dei latticini – e quindi l’atteggiamento dell’operaio o dell’impiegato nei confronti del “capo” è diventato una sorta di lotta al coltello; non dimentichiamo che gli scioperi alla FIAT vertevano su una manciata di secondi per eseguire buna determinata operazione di supporto al robot.
E non dimentichiamo che adesso, ipocritamente, per mascherare la mercificazione i lavoratori vengono definiti “risorse”; ma se sono tali, come mai i signori proprietari se ne liberano così volentieri?
Insomma, se vogliamo risolvere il problema, troviamo delle formule che salvino capra e cavoli e non mettiamo gli operai di fronte ad un fatto compiuto che potrebbe aumentare la loro frustrazione; ricordiamoci che la fabbrica la mandano avanti loro e non altri!!
Un’ultima battuta: i nostri parlamentari, saputo dell’affermazione della Marcegaglia che i sindacati proteggono i fannulloni, si sono messi in coda per tesserarsi e, di conseguenza, “per farsi proteggere”; chiaro il concetto??

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